Nord e Sud - anno XX - n. 157 - gennaio 1973

Cronache meridionaliste dieci anni gli addetti dell'intero settore secondario sono aumentari nella provincia di Napoli di appena 14 mila unità (tra il 1951 ed il 1961 l'aumento era stato di oltre 45 mila unità), con un incremento percentuale pari all'8,6% ( tra il 1951 ed il 1961 era stato pari al 38,9%), e per contro i prin1i dati del censimento demografico ci dicono che la popolazione è aumentata di oltre 300 mila unità, pari al 12,2 %, non vi è dubbio che nell'intervallo tra i due censimenti lo squilibrio tra offerta di lavoro e domanda di lavoro nell'industria si è allargato. I primi dati del censimento industriale non fanno altro che confermare, d'altronde, quanto è accaduto in questi ultimi anni nell'apparato industriale napoletano: una forte congiuntura sfavorevole ha colpito un apparato indus:triale debole in fase di crescita e di assestamento. Basti ricordare che soltanto nel biennio 1970-1971oltre 90 aziende npoletane, tra piccole e grandi, si sono trovate in crisi per un numero complessivo di occupati che sfiora le 10 mila unità. Ed i nomi che ricorrono sono sia nomi prestigiosi ed antichi, di vecchia e consolidata indus'trializzazione tessile, metalmeccanica e conserviera, sia nomi meno noti, perché di industrializzazione più recente, di aziende di Casoria come di Arzano. È a questo punto, di fronte a tale situazione, che riappare e prende piede, sia pure in forme nuove, un discorso vecchio. Di fronte, cioè, all'ulteriore degradazione del tessuto economico della città di Napoli, di fronte all'ulteriore indebolimento delle sue funzioni metropolitane (dal porto alle attività creditizie, dall'Università ai centri della ricerca), di fronte ai successi solo parziali dell'industrializzazione (che non sarebbe riuscita, peraltro, a mutare il volto di Napoli da città medio-orientale in città europea), di fronte ad una realtà sociale ed economica che, malgrado tutto, sembra avere il dono dell'immutabilità e della non intaccabilità, non pochi si sono chiesti se non fosse la stessa ricetta della « terapia della industrializzazione » una ricetta non solo inutile ma anche sbagliata. E torna quindi ad essere attuale la vecchia polemica tra il liberale Nitti ed il socialista Ciccotti, tra una presunta « civiltà agraria » ed una impossibile « civiltà industriale » quale quella voluta da Nitti. Quest'ultima sarebbe comunque uno sforzo vano poiché « la creazione al Sud dei poli industriali » ha un limite invalicabile nella « loro incapacità strutturale di suscitare alcun effetto positivo nel contesto socioeconomico in cui vengono a trovarsi inseriti ». Di qui, con1e si dicev_a, la ricetta inutile e sbagliata della « terapia dell'industrializzazione », in quanto, ieri come oggi, la politica per il Mezzogiorno si risolverebbe in un « cimitero di opere pubbliche » e l'industrializzazione, nel migliore dei casi, in .una serie di « cattedrali nel deserto ». E Napoli e l'industrializzazione di Napoli avrebbero dato il via a tale fallimento. Scrivono, in53

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