Nord e Sud - anno XX - n. 157 - gennaio 1973

Autori vari Anzitutto, se la struttura industriale allenta la pressione della popolazione sulle grandi città, è possibile che l'attuazione delle riforme possa proseguire nei ritmi attenuati osservati finora, senza sollevare attriti sociali eccessivi, anche se tali ritmi sono del tutto inadeguati rispetto al progra1nma di intervento straordinario che un vero schema di riforme richiederebbe. Ma vi è anche un secondo aspetto. La ristrutturazione dell'industria produce effetti considerevoli sul mercato del lavoro. Da un lato, i lavoratori di fabbrica, il cui numero crescerà a ritmi ridotti, ma la cui produttività crescerà invece assai velocemente per fare fronte alle esigenze di competitività, si troveranno presumibilmente in posizione rafforzata. La frangia limitata di lavoratori legati a contrattazioni salariali collettive troverà ora più facile monetizzare sotto forma di aumenti salariali i successivi incrementi di produttività. Ma, al tempo stesso, i lavoratori di fabbrica diverranno sempre meno disponibili ad un programma di riforme concordate. Un programma simile, infatti, imporrebbe una rinuncia in termini di salari monetari ad una frangia ristretta di lavoratori, i quali dovrebbero accollarsi un costo per consentire benefici a vantaggio dell'intera collettività. Contrattazioni simili sono concepibili quando l'intera forza lavoro sopporta i sacrifici e gode i benefici; ma essi divengono pressoché impossibili in una struttura dualistica e squilibrata come quella italiana, nella quale i sacrifici vengono richiesti ad una porzione limitata di lavoratori ed i benefici non possono che andare all'intera collettività. Le operazioni riformiste si appoggiano necessariamente su un tessuto economico equilibràto ed omogeneo. Accade così che, mentre i lavoratori di fabbrica potranno uscire da questa vicenda rafforzati, l'intero insieme dei lavoratori, frazionati sempre più profondamente nei due gruppi dei lavoratori di fabbrica e dei lavoratori dispersi, non potrà che trovarsi in una posizione indebolita. In questo clima, non sarà fonte di meraviglia se il tema delle riforme continuerà ad essere al centro del dibattito ed ai margini delle realizzazioni. A dieci anni dal culmine del miracolo economico, l'economia italiana sembra dunque pronta per una ripresa produttiva. Essa dispone di una grande industria pubblica che raccoglie nelle sue mani la parte preponderante delle imprese di grandi dimensioni; essa dispone di una rete di piccole e medie imprese che hanno trovato il modo di organizzarsi, sfruttando la forza-lavoro non utilizzata dalle imprese maggiori; essa è riuscita ad accantonare i proble26

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