Nord e Sud - anno XIX - n. 156 - dicembre 1972

Giornale a più voci svagata, era spinto da un sincero desiderio di aiutare i giovani che stimava. E Flaiano mi introdusse anche a certi aspetti di Roma che altrimenti avrei forse frainteso o male interpretato. Ho sempre pensato che Orazio doveva rassomigliare a Flaiano, che è forse l'unico dei nostri scrittori che sentiva ancora Roma con animo classico. Come Orazio era venuto a Roma, dalla provincia meridionale, dall'Abruzzo, e difendeva gelosamente la sua libertà intellettuale, il diritto al suo « ozio» di scrittore. Ricordo una sua battuta quando, una volta, un comune amico gli rimproverò di non voler accettare un rapporto di lavoro fisso (in quel momento Flaiano stava pensando di lasciare il posto di redattore capo del settimanale, perché preso dalla passione per il cinema). Flaiano, con gli occhi ridenti dietro gli occhiali spessi, rispose: « l'vli spezzo ma non mi piego ». Per questo credo che era stato attratto dal cinema in cui, soprattutto nella Roma di quel tempo, tutto poteva sembrare estemporaneo e provvisorio anche se poi lui era un lavoratore rigoroso che portava nelle sceneggiature le stesse esigenze di gusto, la stessa aspirazione alla perfezione che metteva nei suoi scritti, fossero un racconto o un articolo di costume. Non avremmo avuto quei due grandiosi affreschi cinematografici di Roma che sono « La dolce vita» e « Otto e mezzo» di Federico Fellini se questo regista di genio non avesse incontrato il grande scrittore raffi.nato che era Flaiano, in cui si mescolavano satira e n1alinconia. Nella Roma di oggi, devastata dal traffico e soffocata dalla speculazione edilizia, Flaiano non si sentiva più a suo agio anche se sono convinto che non avrebbe potuto vivere in nessun'altra città del mondo. Ogni tanto « mitizzava » la vita in un'altra città italiana o straniera, esaltava l'ordine di Milano, la silenziosa grazia di Ginevra, il cosmopolitismo di Parigi, ma si capiva che a Roma lo legava un rapporto insopprimibile di odio e amore, dal quale prendeva linfa il suo talento. Credo che pochi scrittori abbiano rappresentato l'eterna essenza di Roma meglio di Flaiano che era, insieme, astratto e atterrito dallo sconfinato scetticismo del vero romano, un sentimento che a lui passionale e, in fondo, idealista dava una consolazione, quasi un metro di misura della realtà. Certe descrizione di Fregene d'inverno sono degne della « Morte a Venezia » di Thomas Mann, come certi racconti dedicati all'ambiente intellettuale o cinematografico romano fanno pensare appunto, alle satire oraziane. Basta, fra tanti suoi scritti, spesso regalati alle stampe all'ultimo momento, per un improvviso generoso estro, citare il suo racconto « Un marziano a Roma», una parabola straordinariamente felice dalla quale egli trasse poi una comn1edia che fu rappresentata a Milano senza successo, ma che crediamo resterà fra le maggiori opere teatrali del novecento. Eravamo verso la fine degli anni cinquanta ed erano tempi in cui si fa~ voleggiava di dischi volanti, guidati da misteriose creature extraterrestri (tempi, a ben pensarci, molto più sereni degli attuali). Flajano immagina che un disco volante atterri a Villa Borghese e ne esca un marziano. La sorte del personaggio astrale, che discende dalla entusiastica ammirazione dei primi giorni tutti i gradini della degradazione e del dileggio, simboleggia la terri39

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