La politica territoriale degli incentivi localizzazioni prioritarie, di cui, a ben vedere, la 853 non parla mai. E non si trattava solo di una diversità terminologica: era la sostanza a cambiare. In pratica si stava configurando un ritorno a quella concentrazione degli interventi nelle Aree e nei Nuclei di sviluppo industriale prev,ista dalla 717, che l'esperienza aveva dimostrato poco rispondente alla necessità di uno sviluppo più armonico ed equilibrato dell'area meridionale. La conferma di ciò si aveva con il decreto 15 maggio 1972 relativo alla determinazione delle « localizzazioni prioritarie » (con validità fino al 31 luglio 1974), che altro non era se non un elenco di ben 84 dei 112 agglomerati industriali esistenti all'interno delle Aree e dei Nuclei industriali. Ogni organico disegno territoriale, così come si configurava nell'idea delle « direttrici territoriali » veniva in tal modo meno. E non era neppure raggiunto l'obiettivo minimo, cioè l'esclusione di tutti gli agglomerati costieri e di quelli che già contavano su un consistente sviluppo industriale. Non a caso tra le localizzazioni prioritarie - tanto per fare alcuni esempio dei più macroscopici - trovian10 gli agglomerati della Val Pescara, quelli di Anagni, Frosinone, Cisterna, Latina, Caserta Sud, Lecce, Gallipoli, Termini Imerese, Carini. Si poteva sperare che quanto non riuscito con le iniziative di medie dimensioni fosse messo in atto con quelle di piccole dimensioni, anche perché su questa rnateria il CIPE aveva portato avanti il discorso, articolandolo in maniera più precisa con apposite direttive. Cosa dicevano queste direttive? Innanzitutto veniva ribadito come il disposto del legislatore mirasse « a mettere in atto uno sforzo di riadeguamento progressivo delle tendenze localizzative dei nuovi insediamenti industriali verso l'interno del territorio meridionale, in termini sia di investimenti che di occupazione ». Su tale presupposto venivano indicati due parametri per l'individuazione delle « zone caratterizzate da più intensi fenomeni di spopolamento ». Il primo riguardava la consistenza e la composizione dei Comuni, facendo in particolare riferim nto alla presenza di forze di lavoro giovanili e all'aggravarsi dell'emigrazione; il secondo era relativo all'esistenza di risorse naturali tali da rendere favorevole la loro valorizzazione e quella dei territori interessati che « col perpetuarsi dell'esodo, verrebbero irrimediabilmente compromessi». Dalle direttive del CIPE emergevano, dunque, con una certa chiarezza, due linee di fondo: da una parte l'esigenza di riservare esclusivamei1te alle zone più depresse dell'interno i cospicui incentivi finanziari previsti per le piccole imprese; dall'altra quella di 25
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==