Nord e Sud - anno XIX - n. 155 - novembre 1972

Il marxisrno come teologia tura del proletariato, ossia una dittatura esercitata nell'interesse del proletariato, sarebbe riuscita a mutare rapidamente l'organizzazione sociale e politica esistente e a creare al suo posto la società senza stato della terza fase, avrebbe insomma realizzato il passaggio da Hobbes a Rousseau. Leggendo Marx, tanto nel Manifesto quanto nella Critica al programma di Gotha, o gli stessi rilievi di Lenin in Stato e rivoluzione, risulta chiaran1ente che entrambi pensavano al potere statale come a qualcosa che si può eliminare con la massima facilità. Si prende, si conquista, si esercita e poi basta. Nelle loro concezioni vi è una scarsa considerazione per quella che la scienza politica moderna definisce la fluidità del potere, vale a dire il fatto che il potere è qualcosa che esiste solo nel suo esercizio. Essi non hanno tenuto conto che prendere il potere significa, in realtà, distruggere il potere di una parte (non sempre di una « classe ») e che, in seguito, è necessario edificare il proprio potere, che non si conquista semplicemente mediante la rivoluzione perché consiste nelle azioni degli uomini che lo esercitano. Non è solo e non è tanto questione di scalzare i detentori del potere e sostituirsi ad essi; bisogna, secondo la lezione del Machiavelli, « edificare un ordine politico », « costruire uno stato ». Ed è su questo terreno che ogni determinismo si scontra con quella che vien detta la « opacità » della storia, la resistenza che essa oppone alle idee ed agli schemi che gli uomini pretendono in1porle dall'esterno, « l'infinita libertà di determinazione della storia», come diceva Vittorio de Caprariis. Ogni concezione etico-religiosa della società e dell'uomo, invece di allargarsi a concezione etico-politica dello sviluppo storico, ha finito col trasformarsi in teologia della storia. Riteneva giustamente de Caprariis che al fondo della crisi della filosofia politica contemporanea vi fosse la crisi definitiva della filosofia cristiana della storia, la crisi della teologia della storia. « Può 5embrare paradossale - scriveva de Caprariis - ma anche agli scrittori in apparenza più lontani dal cristianesimo, perfino un Voltaire, perfino i teorici giacobini o quelli della democrazia o gli evoluzionisti, perfino un Marx sono tributari della filosofia oristiaria della storia: essi hanno tutti creduto· che per spezzare lo schema agostiniano fosse sufficiente cambiare l'ultima epoché, mettere il regno della ragione tutta spiegata e lo stato proletario o la democrazia, una città terrena, ins_omma, al posto della città di Dio. E non si avvedevano che, immaginando a questo modo un termine 19

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