Cronache meridionaliste anche una politica regionale moderna e ben costruita non può dare alcun frutto positivo. Se questo sia ancora possibile nel quadro nazionale ed internazionale a cui si è fatto cenno in precedenza può essere oggetto di dubbio, ma è certo che, senza questa politica il Mezzogiorno è destinato a perdere ancora terreno nei confronti del resto d'Italia e dell'Europa. Le previsioni sugli investimenti industriali recentemente elaborate dalla Confindustria per il prossimo quadriennio sono una conferma precisa e letterale di queste pessimistiche aff ennazioni: se non interverranno elementi nuovi (soprattutto nella politica dell'operatore pubblico) il -flusso degli investimenti aumenterà in minin1a misura in tutto il Paese, ma avrà un andamento addirittura negativo nel Mezzogiorno, nonostante il massiccio contributo delle Partecipazioni Statali. Le conseguenze dell'attuale stagnazione dimostrano ancora una volta che lo sviluppo delle aree depresse non può dipendere dal trasferimento di imprese da altre regioni (a loro volta affiitte da problemi di occupazione) ma da una maggiore partecipazione agli investimenti aggiuntivi. Se il ritorno ad un elevato ritmo di sviluppo è condizione necessaria per il decollo del A1ezzogiorno, la passata esperienza dimostra tuttavia che non è una condizione sufficiente. È infatti necessaria l'elaborazione di una nuova politica regionale. Finora la politica n1.eridionalista ha fondato l'azione a favore dell'industria soprattutto su incentivazioni finanziarie e creditizie, senza tener presente che questi sono strumenti ormai generali di politica industriale e sono largamente usati in tutti i Paesi per promuovere la formazione e lo sviluppo delle in1.prese ad alto contenuto tecnologico, per provocare fusioni e concentrazioni aziendali, per ristrutturare imprese in difficoltà, per incentivare l'attività innovativa ed anohe per raggiungere un migliore equilibrio fra regioni a diverso livello di sviluppo. La generalizzata adozione di questo strumento spinge evidentemente anche le imprese del Nord a premere sulla classe politica (graziosa dispensatrice del beneficio medesimo) perché esso sia applicato almeno negli stessi casi in cui viene elargito ai diretti concorrenti dal governo inglese, francese, tedesco o giapponese. Allora è ovvio che l'Olivetti chieda molto denaro a condizioni particolari per rilanciare la propria_ organizzazione innovativa e produttiva e che la Montedison ne chieda moltissimo per la propria ristrutturazione, e così facciano le imprese tessili, grandi, 1nedie e piccole. Il loro q~tadro di riferimento per chiedere facilitazioni finanziarie non è il Mezzogiorno, ma sono le politiche degli altri Paesi industrializzati. 35
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