I resti del piano chi,nico una crisi ormai gravissin1a, in cui le terapie tradizionali possono risultare troppo rischiose e certamente scomode, non è incomprensibile che la Montedison tenti la scorciatoia di utilizzare l'occasione chimica quale alibi per nascondere un disegno ben più ampio e che passa attraverso il risana1nento dell'azienda per mirare al definitivo consolidamento del gruppo di potere che, grazie all'apporto determinante del capitalismo pubblico, da qualche tempo si è insediato al vertice di Foro Buonaparte. L'operazione, consistente nella solita equazione in cui alla privatizzazione degli utili si giunge attraverso la pubblicizzazione delle perdite, senza, per tanto, nulla cedere nel controllo dell'Azienda, non poteva passare inosservata, anche se particolari contingenze del mornento politico giocavano a indubbio favore del piano Montedison. Non sono certo le docun1entazioni degli errori di nzenagement in cui si sarebbe incorsi a Foro Buonaparte, né è il contropiano di RovelJi a consolidare in noi il convincin1ento che la Montedison stia tentando la carta decisiva della conquista del potere industriale, facendo leva su governo e opinione pubblica attraverso la carica deterrente costituita da quel « reddito di oltre un milione di persone » che dipende dalla sopravvivenza del Gruppo. Né quello che « taluni » hanno definito « meridionalismo isterico » ci impedisce di comprendere le difficoltà effettive in cui la società che fu, da un lato, di Donegani e, da1l'altro, di Conti, si dibatte per l'eliminazione di quei « punti critici » che, assorbendo ogni anno diversi miliardi, condizionano negativamente i program1ni di svHuppo del Gruppo e rendono difficile la ricerca di una pur giusta remunerazione del capitale di rischio distribuito tra circa 250.000 azionisti. Ma appunto perché la Montedison, nonostante le difficoltà finanziarie in cui versa, si comporta con1e se nu1la fosse e continua a compiere ardite (e non sempre corrette!) operazioni di borsa, assumendo sempre rnaggiormente la configurazione elefantiaca di una conglomerata in cui l'originaria vocazione chimica tende ad apparire sempre più sfumata, il salvataggio invocato non può avvenire nel senso auspi~ cato da Cefis. D'altronde, se la Montedison ha bisogno di danaro per la propria ristrutturazione, va da sé che ne ha ancora più bisogno per. tenere il passo con l'ENI e la SIR nel prograrnma di promozione della chimica di base e, successivamente, per un rilancio delle proprie attività nei settori della chimica fine. Potrebbe, quindi, avvenire che, se nella produzione di etilene la società di Foro Buonaparte fosse costretta a cedere il passo all'ENI o alla SIR, anche 21
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