Nord e Sud - anno XIX - n. 151-152 - lug.-ago. 1972

Ernesto Mazzetti e Fabio Felicetti all'ampliamento di Napoli, non può certo, però, di per sé solo, risolvere i problemi urbanistici della città. Il criterio che venne seguito allora fu quello di incorporare nel cocune di Napoli nove comuni finitimi: San Pietro a Patierno, Secondigliano, Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, Chiaiano, Pianura, Soccavo e Nisida. La popolazione di questi centri oscillava dai 700 abitanti di Nisida ai 25 mila di San Giovanni, per un totale complessivo di poco più di centomila abitanti secondo il censimento del 1931. Questi comuni, disposti a corona intorno ai vecchi confini comunali di Napoli, presentavano le condizioni urbanistiche ed economiche più varie: dal paesaggio spiccatamente industriale di San Giovanni si passava a quello spiccatamente rurale di Chiaiano e Pianura. Tutti, però, avevano un dato comune: una insufficienza di abitazioni (che si manifestava attraverso un alto rapporto tra abitanti e numero di vani) e di strutture civili e sociali. I collegamenti con la città erano scarsi, le attrezzature pubbliche (mercati, scuole, installazioni sportive) scarsissime o assenti del tutto; insufficienti le fognature, le reti idriche, le zone verdi; malsane e fatiscenti buona parte delle case. Cosicché, con l'aggregazione di questi centri, nasceva sì, una Napoli più grande, ma anche una Napoli ancor più ricca di problemi. Compito precipuo degli amministratori civici (che ora non venivano più eletti dalla cittadinanza, ma nominati dall'alto: è infatti il periodo dei podestà e degli « Alti commissari»), sarebbe stato dunque avviare programmi di ristrutturazione urbanistica, capaci di aggregare davvero, e non solo con un tratto di penna sotto un decreto, i centri vicini della metropoli; « integrarli » alla vita di Napoli, facendone dei quartieri dotati di autonoma forza di sviluppo e, insieme, intimamente legati ad un generale n1odo di ripresa e di riordinan1ento della vita napoletana. E non già, come invece sono rimasti fino ai nostri giorni, dei rioni isolati, quasi terra di « pionieri ». Ma quello era il tempo delle « opere di facciata »; si costruiva il Parco della Rimen1branza, si ideava ia Mostra d'Oltremare; i oriteri urbanistici rispondevano ad esigenze classiste ed imperialiste, onde gli squilibri sempre più marcati nello sviluppo della città, e un disordine edilizio di cui tuttora s'avvertono le conseguenze. E quando si decide di intervenire in modo coordinato in un quartiere, lo si fa soprattutto per esigenze di « prestigio civile », secondo l'espressione che viene usata nel Piano di bonifica del quartiere di Fuorigrotta. A Fuorigrotta, appunto, negli anni trenta - anche e soprattutto per rispondere alle esigenze connesse all'attività dell'Uva~ che attira nella zona aliquote di popolazione crescenti - si programma una vasta tra250

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