Ernesto Mazzetti e Fabio Felicetti era, questo, un primo segno tangibile di quella volontà fattiva e di quella mentalità moderna dalle quali deve venir fuori la Napoli grande, civile, feconda di lavoro e di ricchezza ». Nel viaggio inaugurale il convoglio si ferma a Fuorigrotta, dove le autorità scendono « per visitare questa stazione (è il giudizio del cronista) che è una delle più grandi, vaste e importanti, costruita con larghe vedute in vista dello sviluppo avvenire della plaga flegrea ». Anche il silenzio che per quattro anni ha avvolto l'Uva sembra dissiparsi: la prima notizia che riguarda lo stabilimento la si trova nel « Mattino » del 4 luglio '25. In una nota di cronaca si parla dello scoppio di un gasometro « di colossali proporzioni » che uccide un operaio e ne ferisce altri due: « una folla di parenti e amici degli operai è accorsa al cantiere, e, soltanto quando hanno visto uscire i loro cari, incolumi, si sono rassicurati ». Tra la chiusura del complesso nel 1920 e le poche righe di stampa che riferiscono dell'esplosione del gasometro v'è una frattura insanabile, l'assenza di indicazioni sulla ripresa del cantiere, sulle provvidenze che ne permisero la rinascita, sulla data in cui si iniziarono i lavori di potenziamento degli impianti, sulle fasi successive in cui essi si svolsero, sui programmi predisposti dalla società. Mancano documenti (l'archivio dell'Uva è stato distrutto durante l'ultima guerra) e pubblicità da parte dei quotidiani: tutto è avvenuto in silenzio, forse ancora una volta tra l'indifferenza generale, ogni cosa è incerta, e un tenue filo conduttore lo si può trovare soltanto scavando nei ricordi di qualche operaio che ha lavorato all'Uva tra la fine del '24 e il principio del '25. Furono assunti, agli inizi, ottocento-mille dipendenti e l'attività riprese gradualmente. Fu difficile riattivare gli impianti, dopo un tempo così lungo di abbandono: erano coperti da un fitto spessore di ruggine, e gli altiforni pareva non potessero essere più messi in funzione. « Un altoforno, dice un anziano impiegato, fu fatto saltare con le mine, perché negli ultimi giorni degli scioperi del '20 la colata era stata lasciata raffreddare nei crogiuoli ». Da prima la produzione riprese a livello quasi artigianale; successivamente, con i programmi di investimenti della società, furono ricostruiti l'altoforno numero uno, poi il due, e per ultimo il numero tre. Si andò avanti con i macchinari di origine fino al 1930, poi si iniziarono gli ampliamenti. Anche la stampa torna a parlare dello stabilimento in occasione di una mostra del ferro e dell'acciaio (è l'ultima volta, fino al dopoguerra, che un giornale volge l'attenzione alla vita e alle vicende dell'Uva). « I grandiosi stabilimenti - si legge - risorti ora a nuovo fervore di opere, mostrano già in una prima importantis248 BibliotecaGinoBianco
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