Tullio d'Aponte poi, a cose fatte, è proprio il discorso che più facilmente può saltare, tutto il progetto non è altro che l'esplicita affermazione della validità della localizzazione nel Mezzogiorno di un'industria che lavora materia prima legata alle vie del petrolio. Punto e basta. In riferimento ai tempi, infine, no_n ci resta che rilevare come alla lunghezza -del lasso di tempo intercorrente tra la progettazione, la realizzazione e il funzionamento degli steam-crackers, per cui lo stesso « piano », necessariamente, dovrà slittare nel tempo, stia di fronte la relativa rapidità d'impianto degli stabilimenti per le lavorazioni della chimica fine. Nello stesso te1npo, mentre l'investimento medio per addetto di un centro per il cracking dell'etilene raggiunge i 55 milioni, nella chimica fine lo stesso rapporto si riduce a circa 20 milioni. Di conseguenza, allo stato attuale delle previsioni di investimenti nei due settori, i 4.500 miliardi del primo piano chimico produrrebbero lavoro per poco più di 80mila addetti, m-entre i 2.500 della chimica fine darebbero lavoro ad oltre centomila persone. Se questi dati, poi, si riferiscono ad unità temporali, appare ancora più chiaro come i posti -di lavoro annui creati dalla chimica di base, il cui piano dura un decennio, siano molto meno di quelli disponibili nel settore delle lavorazioni manifatturiere, dove gli investimenti previsti riguardano appena un quinquennio. Tutti questi problemi dovranno essere giustamente valutati negli ambienti responsabili dell'economia e della guida politica del paese, per giungere ad una più efficace articolazione del piano chimico nel suo complesso, evitando che, ancora una volta, la programmazione -debba registrare una grave sconfitta, le cui conseguenze, in questo caso, andrebbero ben oltre il semplice fallimento di un esperimento, coinvolgendo le stesse possibilità di ulteriore sviluppo equilibrato dell'economia nazionale. Perciò dovrà evitarsi che il salvataggio, il risanamento o la trasformazione dei « punti critici » delle regioni più forti possano compromettere seriamente la qualificazione n1cridionalista della politica degli incentivi. Il che non segnifica, necessariamente, auspicare il naufragio di quelle aziende dissestate di cui, per giunta, ci viene solo oggi denunziata la presenza, bensì un vigile esame del reale livello di « criticità », e conseguente « sostegno » solo nei casi giudicati di comprovata urgenza. Le stesse riconversioni, inoltre, dovranno essere oculatamente rivolte verso settori produttivi « insospettati »; tali, cioè, da non creare, in nessun modo, episodi di concorrenza ubicazion.ale, 34
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