Il giacobinisww culturale vuole a forza incanalare entro uno schema preciso; tutta la « demistificazione » di cui oggi si parla altro non vuole essere che la demolizione sistematica della tradizione culturale europea che sarebbe «borghese», « classista », e così via. Sono luoghi comuni che la più avveduta critica si guarda bene dal ripetere e che sono rimasti nelle mani di certi settori il cui infantilismo politico e culturale (e la cui grossolanità) ha raggiunto ormai forme parossistiche e deliranti. Ma si tratta di un problema che ci porterebbe troppo lontano dal nostro argomento, al quale perciò ritorniamo per vederne la conclusione (la quale, per fortuna, non arriva ad aberrazioni del tipo di quella che abbiamo visto or ora). Essa ci riporta proprio al punto da dove eravamo partiti e cioè al fatto che la tanto decantata « demistificazione » altro non è se non quella normalissima operazione culturale attraverso la quale una generazione modifica antichi criteri per formularne di nuovi, riscopre e rivaluta autori che la generazione precedente non aveva accettato. È un'operazione ricorrente nella storia della cultura, della quale oggi, dopo la lezione crociana sulla « contemporaneità», abbiamo una coscienza che forse le generazioni precedenti non avevano. Ma che sia un'operazione ricorrente non vi è alcun dubbio. Giorgio Petrocchi, infatti, rispondendo « all'invito sulla decapitazione dei busti marmorei », ha detto di credere « che nessun busto possa essere veramente infranto », e che spesso quelli precedentemente infranti « sono poi risorti, magari senza naso ». È un'indicazione precisa, che cog1ie il vero significato della continua revisione critica a cui la storiografia sottopone il passato, cercando in esso le rispondenze che maggiormente appagano il gusto e le tendenze del presente. Così, tutto il discorso, che nell'impostazione originaria voleva essere una frantumazione dei criteri di valutazione che hanno guidato la nostra storia letteraria dal De Sanctis in avanti, si è risolto nell'indicazione della necessità di rivalutare alcuni autori forse ingiustamente trascurati da1la critica precedente e ritenuti, forse a torto, minori. Si tratta di una conclusione che ci pare dia più forza alla nostra tesi: da una parte la nostra epoca non ama più - per precise ragioni storiche - gli « individui cosmico-storici », gli uo.: mini del destino, gli Achilli « che portano nei talloni i fati di Troia»; e questa tendenza si riflette in tutti i campi, non escluso quello letterario. Dall'altra, gli squilibri,· i travagli, le tensioni che viviamo ci allontanano da ciò che ormai è pacifico e cristallizzato in giudizio pressoché definitivo: perciò cerchiamo le figure inquietanti, 21
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