Nord e Sud - anno XIX - n. 149 - maggio 1972

Il giacobinisn10 culturale In effetti, ogni generazione, ogni epoca storica, modificano radicalmente i giudizi tramandati; e lo fanno sulla base di una precisa esigenza. Non c'è proprio nulla di scandaloso, nessuna iconoclastia nel non « sentire » più la poesia di Foscolo o di Alfieri, o nel definire I promessi sposi, co1ne ha fatto di recente Leonardo Sciascia, « un famoso e noioso romanzo italiano ». Se la « demistificazione » sta tutta in questo genere di discorsi, essa si presenta come la più banale e scontata operazione culturale che mai sia stata compiuta; e lo è proprio in quanto è stata « sempre » con1piuta. Valga per tutti un esempio: la storiografia. Ogni generazione ha riscritto, modificandola profondamente, la storia del proprio passato. Fra l'interpretazione che uno storico italiano dell'Ottocento dava dell'età comunale e quella che nel Novecento ne ha data, poniamo, un Salvemini, c'è un abisso. Se questo avviene in una materia, quale la storiografia, che ha a che fare, come usa dire, con i « fatti », :figuriamoci se può non avvenire, ad esempio, con la critica filosofica, che studia le « idee », o con quella letteraria che giudica delle « forme», è soggetta a quel fragile elemento che è il gusto. Avanzare come rivoluzionaria l'eventualità di sostenere che Vittorio Alfieri era un « chiacchierone », significa soltanto non tenere in alcun conto le diverse esigenze che muovevano, ad esempio, un De Sanctis che lo giudicava in tutt'altro modo e quelle che possono muovere un critico contemporaneo, il quale si muove in tutt'altro contesto. Proprio in quest'ultimo punto sta, a nostro avviso, la chiave per la spiegazione del fenomeno. La sistemazione che alla storia della letteratura italiana ha dato De Sanctis rispondeva a una precisa esigenza culturale dell'epoca in cui egli viveva; era il frutto di una sollecitazione che proveniva da una temperie etico-politica con precise caratteristiche, delle quali De Sanctis fu il più valido fra gli interpreti. Diremmo che è del tutto normale che, mutando le esigenze, mutando le sollecitazioni, can1biando la temperie etico-politica, il discorso desanctisiano fosse destinato a sentire l'usura del tempo e che nuove proposte e nuove indicazioni e nuovi giudizi dovevano intervenire, in un primo tempò a rettificarlo, successivamente a sostituirlo (lo stesso Croce, tanto per fare un nome oggi alquanto sgradito, che pure era un desanctisiano, intervenne più volte in maniera critica sull'opera del suo ideale maestro). Il problema, quindi, è un altro: e riguarda quell'arroganza e superficialità che caratterizza certi « den1istificatori » contemporanei di cui sopra dicevamo. Perché una cosa è la revisione critica dettata dalle nuove esigenze d~l presente, un'altra è quella forma di giacobi17

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