Croce tra fascismo e antifascismo varia misura sul suo pensiero, contribuendo a dargli determinati connotati. Potremmo citarne degli altri, forse del pari importanti, ma meno caratterizzanti ai fini dell'economia del nostro discorso. Conviene a questo punto chiedersi: dal momento che nessuno di tali pensatori, se si prescinde, e solo in parte, da Hegel, può considerarsi un liberale, dobbiamo concludere che Benedetto Croce, per lo meno negli anni in cui si diede a studiarli, e a propagarli, non debba essere giudicato un pensatore liberale? È questa, come abbiamo già anticipato, la tesi di Norberto Bobbio; il quale, volendo dimostrare che il recupero liberale, ed un certo recupero in particolare, appartenne al secondo Croce, ha sottolineato che il primo Croce fu aristocratico e sprezzante, conservatore aulico e sdegnoso di assetti comunitari aperti al più largo consenso possibile. In altri termini, per Bobbio, il problema dei valori diventerà centrale per Croce solo in conseguenza della sua polemica frontale contro il fascismo, mentre, in un primo n1omento, tali valori erano lasciati sullo sfondo, incapsulati nella Filosofia della pratica, e non chiariti speculativamente. Tale tesi, che ha la sua parte di validità, introduce necessariamente un discorso articolato sulla dialettica tra il sistema crociano, che nel 1913 ha trovato la sua compiutezza, e il modo dei valori, che è più che altro sottinteso. E si tratta quindi di stabilire se Croce, che dal 1910 al 1925 si considerò un liberale per temperamento, abbia apportato dei contributi in sede speculativa alla causa del liberalismo. Certamente, i principali autori a cui egli si è richiamato, e che noi abbiamo sottolineato, non furono liberali, né mai avrebbero potuto essere assimilati a un discorso liberale articolato. Ma il problema che si pone per Croce è quello di stabilire se, nella sua opera di richiamo e di ritraduzione di tali studiosi, egli facesse circolare dei fermenti che, oltre a sprovincializzare la vita culturale italiana, irrobustissero quella politica, oppure, al contrario, come ha scritto Carocci, egli fosse maestro di irrazionalismo. Lasciamo parlare Michele Abbate, che dei critici crociani di parte marxista è stato uno dei più acuti. Riferendosi al primo quindicennio del secolo, e cioè ad alcuni connotati psicologici e culturali del periodo di consolidamento giolittiano, Abbate, a proposito di Croce, scriveva:. « Contro il miscuglio di cattolicesimo ateo e di sensualismo misticheggiante che, nella reviviscenza degli ideali pagani, pareva voler sommergere la tacita fatica della nazione in un'onda di torbido energetismo, e scuotere la 'viltà' della borghesia sollecitandola a nuove avventure e nuove grandezze, il Croce non avrebbe esitato a levare la sua voce, ad 79
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