Nord e Sud - anno XIX - n. 148 - aprile 1972

Giornale a più voci Ormai in tutto il mondo si riscontra una evidente e sensibile tendenza ad accrescere la produzione di elettricità, che è fonte di energia pulita e facilmente trasportabile anche a lunghe distanze. Questa tendenza si è manifestata anche in Italia, dove la domanda di energia elettrica negli ultimi dieci anni si è quasi raddoppiata, raggiungendo 115 miliardi di chilowattore nel 1970. Nello stesso anno, tale fabbisogno è stato coperto per il 36,5% dalla produzione idroelettrica, per il 56,6% dalla tennoelettrica tradizionale, per il 2,2% dalla geotermica e per il 2,7% dalla nucleare. Come si vede, sono parecchie le fon ti di energia « primaria » che possono contribuire a produrre elettricità. Comunque, oggi, in Italia, le fonti primarie idrauliche (fiumi, cascate, laghi alpini), che in passato hanno avuto un ruolo predominante, sono già utilizzate al massimo delle loro possibilità. D'altra parte le sorgenti geo-termiche (come i soffioni boraciferi di Larderello) non sono tali da consentire uno sviluppo intensivo. Restano le centrali termiche, che coprono e copriranno una percentuale crescente nella produzione di elettricità utilizzando i combustibili tradizionali (carbone, gasolio, gas naturale, lignite). Tali combustibili hanno subìto, però, forti aumenti di prezzo; la loro disponibilità, come abbiamo già sottolineato, dipende essenzialmente dalle importazioni dall'estero e, fatto di non secondaria importanza, sono spesso fonte di inquinamento idrico e atmosferico. Al contrario, buone pro:spettive presenta il mercato dell'uranio, sia per il prezzo, sia per la sicurezza degli approvvigionamenti, sia per le maggiori garanzie di « rispetto» dell'ambiente. Generalmente le centrali termo-nucleari vengono considerate fortemente inquinanti, soprattutto perché emettono nell'atmosfera ossido di carbonio e anidride solforosa. Con particolari accorgimenti tecnici si è riusciti ad eliminare o, comunque, a ridurre la quantità di ossido di carbonio dagli affluenti delle centrali; diverso, invece, e più delicato è il problema per quanto riguarda l'anidride solforosa. Infatti per la dispersione di questo pericoloso composto e, quindi, per evitarne pericolose concentrazioni al suolo, occorrerebbero camini di almeno duecento metri di altezza, il cui costo sarebbe particolarmente rilevante. Ancora meglio sarebbe desolforare i fumi oppure bruciare olio combustibile desolforato. Il pri1no procedin1ento, allo studio da parecchi anni, ha dato risultati particolarmente deludenti, tanto che i ricercatori stessi esprimono non poche perplessità sulla possibilità di una sua applicazione industriale. Il processo di desolforazione dell'olio combustibile, invece, è già applicato in alcune raffinerie, specialmente giapponesi e venezuelane; esso risulta tuttavia particolarmente costoso e, se adottato negli impianti termo-elettrici, provocherebbe un notevole aumento del costo di produzione dell'energia elettrica. . Questi aspetti del problema - sottolineati anche dal prof. Arnaldo M. Angelini, direttore generale dell'ENEL, in un'intervista concessa ad Ugo Maraldi del « ~orriere della Sera » - stanno tendendo particolarmente difficile la costruzione di nuove centrali perché, in poche parole, nessuna regione italiana le vuole. Di_conseguenza, dice Angelini, i vari programmi per 29

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