Roberto Berardi sabili dei mali antichi e nuovi della scuola i professori e i presidi. Soprattutto questi ultimi. Si può dire che non_ ci sia stato organo di stampa di qualche importanza che nel 1968 e nel 1969 ( e anche dopo) non abbia lanciato il suo sassolino contro il « potere dei presidi», l'« autoritarismo dei presidi» e simili. Non si ottenne, in fondo, nulla. O almeno nulla di proficuo e di costruttivo. Dopo ciascun periodo di agitazioni violente le cose tornavano al punto di prima, le lezioni riprendevano - e riprendono - come se nulla fosse accaduto. Solo la disciplina interna subì un serio deterioramento là dove presidi e professori non ebbero prestigio ed energia sufficienti per ricreare un clima di operosa educazione. Gli scioperi e le agitazioni degli studenti secondari non possono d'altra parte avere successo, perché non sono concepiti in funzione di una strategia sindacale né in vista di una negoziazione col padrone, com'è invece delle agitazioni dei salariati. Per questi lo sciopero è un momento d'un conflitto col datore di lavoro; per gli studenti, dal 1968 in poj, da quando l'utopia è divenuta il progran1n1a d'obbligo e le singole richieste sono puramente strumentali in vista di un rilancio senza fine dell'agitazione, l'astensione dalle lezioni, in qualunque forma e con qualunque motivazione avvenga, è soltanto una manifestazione simbolica. Suo unico vero contenuto è l'affermazione di un rifiuto ( della « scuola borghese », del « capitalismo », della « civiltà dei consun1i » e così via); rifiuto che, al di là degli slogans, rimane ovviamente platonico. Questo carattere prevalentemente astratto e utopistico delle agitazioni degli studenti secondari, insieme all'assenza di organismi permanenti che si propongano come interlocutori validi, dispensa ormai i responsabili della politica scolastica dal ricercare un dialogo che negli ultimi quattro anni si è rivelato illusorio e impossibile. Il dialogo ha un senso solo quando i dialoganti si muovono sullo stesso terreno. Perciò, quando a metà ottobre comincia qua e là l'ondata delle agitazioni, il « potere » si li1nita a seguirne lo sviluppo, cercando discretamente di contenerlo. Dal lato degli studenti l'atteggiamento non è diverso: si comincia con riunioni di piccoli gruppi di attivisti, con la diffusione di volantini ecc. per « riscaldare » l'ambiente; segue un'assemblea regolare (cioè regolarmente concessa) e poi, col permesso o senza permesso, una serie di assemblee piccole e grandi, di collettivi, alternati o no con sit-in ma sempre, di solito, all'interno della scuola; si spinge avanti l'azione sinché non subentra la stanchezza generale e la massa torna a poco a poco 18
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