Tullio D'Aponte studiosi· sicché era stata convocata t1na commissione consultiva, insediata dal , . Sottosegretario Cervo-ne, subito dopo l'ultimo decreto d~ proroga « tempo-ranea » delle competenze dell'E.A.P. Chi seguì quei lavori ebbe subito l'impressione che si sarebbero dovuti superare almeno tre gro-ssi ostacoli: la delimitazione dell'ambito territoriale di competenza del nuovo organismo; il regime dei controlli e i limilti dell'autonomia; l'articolazione e la composizione degli Organi interni. In posizio11e subordinata, i,nfine, bisognava risolvere alcuni problemi di « dosaggio », nella composizione degli Organi, e considerare talune esigenze di ristrutturazione del personale. Con tutti qt1esti problemi sul tappeto, ci sarebbe materia per una ap-profondita analisi delle difficoltà tra le quali nasce il nuovo Ente. Tuttavia, il tema che più direttamente c'interessa, e che intendiamo affro,ntare come studiosi di problemi dell'assetto territoriale, è quello della definizione dei confini spaziali entro i quali il Consorzio deve operare: anche se altri aspetti istituzionali, che risalgono ai limiti dell'autonomia operativa, non ci possono lasciare indifferenti. Gli Enti portuali sono sortii come strumenti per attuare il trasferimento d~ funzioni prettamente statali ad organismi di gestione, preposti al coordinamento delle competenze dei diversi Uffici dello Stato ai quali la legge demanda specidì.cl1e funzioni in materia portuale. In conclusione, l'Ente agisce unicamente nel senso di promozione d'iniziative altrui e di amministrazione portuale, nell'ambito di competenze ben ristrette, fissate dal decreto istitutivo. Di conseguenza, anche i confiniJ degli ambiti territoriali di competenza vennero fissati con criteri prevalentemente restrittivi. Su questo punto converrà soffermarsi. Al tempo in cui sorsero gli Enti portuali, all'incirca intorno agli anni1 Cinquanta, mancava una chiara visione di politica portuale a lungo termine, specialmente in rapporto alla contemporanea concentrazione e specializzazione dei traffici e alla conseguente razionalizzaz~one degli spazi portuali dei principali scali italiani. D'altra parte, basterebbe pensare che il gigantismo delle costruzioni navali e la tecnica dei containers non ancora erano entrati nella storia dei trasporti marittimi e, di conseguenza, i· problemi del traffico non avevano assunto le dimensioni eh.e, ai nostri giorni, producono fenomeni di congestilone e mettono in crisi la funzionalità dei maggiori porti nazionali, limitandone la p•roduttività. Non deve meravigliare, quindi, come l'orientamento prevalente in materia di gestione dei porti fosse quello di far corrispondere alle sit11azioni di maggiore co,mplessità, individuate nei porti d~ maggiore traffico, l'istituziorie di un Organismo di coordina1nento: concepito più per « amministrare» che per· svolgere funzioni « imprendjtorialii ». Così, mancando ogni prospettiva di lungo termine, anche la delimitazione delle aree portuali da comprendere nella sfera di competenza degli Enti Autonomi veniva considerata con ottica ristretta: tale, per esempio, da no•n vedere come tra Napol~ e Bagnoli esistesse un'unità portuale, anche se divisa in più bacini. Oggi, in tutti i porti del mondo, il movimento delle merci ha raggiunto 54 Bibiiotecaginobianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==