Rivista mensile diretta da Francesco 1 Compagna Alfonso Sterpellone, Tito e i nazionalisti croati - Oddo Biasini, Scztola secondaria superiore: ipotesi di riforma - Luigi Compagna, Leadership e democrazia - Clotilde Marghieri, Nicola Chiaromonte Alfonso Scirocco, Napoli I 94 3-I 95 3 e scritti di Vittorio Barbati, Sergio Conti, Tullio D'Aponte, Francesco de Aloysio, Silvano Labriola, Maurizio Mistri. ANNO XIX - NUOVA SERIE - FEBBRAIO 1972 - N. 146 (207) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibliotecaginobianco
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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XIX - FEBBRAIO 1972 - N. 146 (207) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribt12ione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIA.NE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346 Una. copia L. 600 - Estero L. 900 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia .annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Estero annuale L. 6.000, semestrale L. 3.300 - Fascicolo arretrato L. 1.200 - Annata arretrata L. 10.000- Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli Bibiiotecaginobianco
SOMMARIO Editoriale [3 J Alfonso Sterpellone Tito e i nazionalisti croati [9] Oddo Biasir1i Scuola secondaria silperiore: ipotesi di riforma [24] Luigi Compagna Leadership e democrazia [53] Contributi Silvano Labriola La crisi e i suoi ri1nedi [ 44 J C!otilde Marghieri Tullio D'Aponte lVla1-1rizioMistri Giornale a più voci Nicola Chiaron1onte [50] Un porto per la Regione [53] Il costo della « non programmazione » [58] Argomenti Vittorio Barbati La sicurezza ez,Lropea domani [61] Sergio Conti Le scelte meridionali della Fiat [77] Cronache e memorie /~lfonso Scirocco Napoli 1943-1953 [91] Documenti Autori vari Bagnarsi a Napoli [111] Saggistica Francesco de Aloysio Gli interpreti di Croce [ 122] Biqliotecaginobianco
Editoriale La destra era stata battuta, riel 1968: i 1norzarchici si erano ridotti ulteriorrrzente nelle loro clin1erzsiorzi elettorali e p·arlan1eritari; i fascisti aveva110 raccolto i soliti voti fra i soliti ing·itaribili nostalgici. Era rin1asta soltaYJ,to ilna destra pulita, non sovversiva e non reazionaria: i liberali. Ma anclie i liberali, rispetto al 1963, risultavan,o indeboliti. Quanto alla clestra annidata nella DC, la sua capacità di pressione ris-iLltava neiLtralizzata dall'aumentato peso parlamentare, e non soltarzto parla1nentare, delle correnti di « base » e di « forze nitove ». Il quadro politico si prese11tava, quin.di, rassicurante per le prospettive della politica di centro-sinistra, non più contestata da destra come nel 1963 e considerata da una congrua ,~naggioranza di elettori con1e la politica della stabilità dem.ocratica, di iLno sviluppo econo111ico piiL eqvLilibrato rispetto a qitello pron1osso· a suo ten1po dal ce11trismo, delle riforn1.e per il progresso delle condizioni sociali e quindi per la correzione dello squilibrio fra consiuni sociali e co11sitmi individuali: il tittto nel quadro di iLna · siciLrezza internazionale, garantita dall' allea11za con le cle,nocrazie occidentali. Ma qiLesto qitadro politico che si presentava rassicurante e pro1nettente è stato sconvolto. Gli errori di comportan1ento politico, e di valiitazione politica, si sono acciln1ulati. Il meccanismo di svililppo è stato tnanomesso. Il disordine è stato lasciato dilagare nelle piazze, 11elle scitole, nelle fabbriche, con gravi tilrbamenti e continuate violazioni della legalità repubblicana. I contrasti fra le correnti ed i gruppi di potere nel partito socialista e nella Den1ocrazia cristiana si sono irlaspriti e sono diventati paralizzanti. L' aiLtosufficienza della maggioranza di centrosinistra è stata criticata e perfino contestata dai « superatori », teorici balbettanti della non. delimitazione della maggiorarLza o f aiLtori balda11.- zosi di equilibri più avanzati. Le riforn1e sono state in1postate con enfasi prin1itiva e oratoria trionfalistica, senza valutarne i costi e senza preoccuparsi dei pericoli di inquinamento corporativistico cui sono espos_te in iln tempo come il nostro, caratterizza_to dal piiL rissoso riverLdicazion.ismo di categoria, non castigato, come dovrebbe sen1pre essere, dalla dovitta attenzione agli interessi generali, che no11 cuincidono mai con la so1nma degli interessi settoriali. I conflitti di lavoro sono degenerati in tiltti i sensi e Jianno spacciato non poche aziende, tarpando le ali di altre. A furia di. contestare, di coniugare questo nuovo verbo, si è qilasi perduta la capacità di coniugare il verbo ragionare. Una ventata 3 Bibl·iotecaginobianco
Editoriale di irrazionalismo, di estetismo, di decadentismo ha- spezzato tutti gli ormeggi cui devono rimanere ancorate le democrazie quando non voglion.o essere sbattute e magari sommerse dalle o·ndate sovversive degli estremismi. Tutto questo, noi temevamo che ·potesse produrre gli effetti che ha prodotto in termini di una riapertura dello spazio per l'estrema destra. Lo temevamo perché abbiamo nella nostra memoria il primo dopoguerra e anche perché avevamo n1isurato il contraccolpo di destra seguito al maggio francese del 1968: un contraccolpo che era stato appunto di destra, e non di estrema destra, per quel tanto che rende la situazione francese diversa e migliore di quella italiana; e non è poco, perché la situazione italiana non può disp'orre di tutti gli anticorpi cui comunque la Francia può ricorrere quando· il veleno fascistico o soltanto autoritario coniincia a circolare. È nostra radicata convinzione che il sinistrismo, se 11011, contrastato dalla sinistra, indebolisce questa e rilancia la destra; e che perciò, se si vuole battere la destra, chiuderle lo spazio che il sinistrismo non contrastato dalla sinistra le ha riaperto, si deve liberare la sinistra dalle suggestioni del sinistrismo; ripensare la politica della sinistra onde ne derivi effettivamente, nella continuità dello sviluppo, l'equilibrio dello sviluppo; e contrastare, appunto, il sinistrismo, sovversivo ed estetizzante. Tanto per fare degli esempi ricavabili dalle cronache di questi giorni, non si pilò ammettere che restino impuniti i cosiddetti katan,ghesi operanti nell'Università statale di Milano: hanno -picchiato a sangue un sindacalista socialista prima e uno studente israeliano poi. Non sappiamo quali sono le loro idee, e se ne hann.o; ma sappiamo quali sono le loro azioni e non esitiamo a definirle fasciste, anche se accompagnate o coperte da professioni di antifascismo. Se la sinistra dovesse ritenere che disarmare e processare i katanghesi equivalga a reprimere, commetterebbe iln errore irriperdonabile: sembra che ora non voglia più commettere errori di questo genere, ma quanti ne ha commessi nel recente passato a beneficio dei f ascistì che, da parte loro, si camuffano da uomini d'ordine per far dimenticare lo squadrismo! Così, le manifestazioni di intolleranza e di violenza che si sono avute in alcuni licei romani, e non soltanto roma11i, hann.o fatto il gioco dei fascisti assai più di quanto non l'abbiano fatto le imprese di quelle squadre fasciste che Almirante :-;.on è ancora riuscito a ricondurre nel quadro tattico della cosiddetta « destra nazionale » ( e che n.aturalmente devono essere denunciate e represse, ma possono esserlo efficacemente se in pari tempo non si concedono attenuanti di sinistra, per cast dire, a fenomeni che pitre sono di squadrismo come quello dei katanghesi 4 Bibiiotecaginobianco
I Editoriale o a in1prese come quelle dei fratelli Pandolfi in.filtratisi fra gli studenti del «Castelnuovo» per prendere a botte i professori). Abbiamo_ avuto, infatti, la sensazione che il caso del « Castelnitovo » abbia suscitato una enorme emozione in tutto il ceto insegnante e fra i genitori di ragazzi che frequentano i ginnasi ed i licei: ne è derivata un.'ulteriore e quanto 1nai rilevante spinta a destra, nel senso che anche i11segnanti e genitori che non possono essere considerati fascisti, e che magari hanno una propensione antifascista, si sono scoperti per stizza o per spavento una vocazione a votare per il MSI. Ci sono poi negozianti e medi industriali: gli uni reagiscono alle rapine, gli altri reagiscono agli scioperi; gli uni e gli altri sbandano verso l'estrema destra. E ci sono, infine, i nuovi i~critti alla CISNAL, in Puglia, in Sicilia, anche in Campania. Quali sono le dimensio•ni di questo fenomeno? Ne ha scritto Taviani, lasciando intendere che sono dimensioni preoccupanti. Dal canto loro, Lama, Storti e Vanni, nelle loro1 dichiarazioni a « La Stampa » del mese scorso, hanno ammesso che il f eno'meno si è manifestato: m.agari è un fenotneno limitato al Mezzogiorno, ma in ogni caso non è iLn fenomeno da sottovalutare p·er le s1 ue implicazioni politicl1e. E ad esso pare che si accompagni nel Nord una tendenza a non iscriversi più al sindacato, il quale, da parte sua, alla Fiat come all'Alfa Romeo, se1nbra ancora e più che mai a rimorchio dei gruppuscoli che lo aggirano a sinistra e che promuovono la guerriglia in fabbrica ( si veda, a questo proposito, l'articolo di Mario Cervi sul « Corriere della Sera» dell'B febbraio; e si vedano le dichiarazioni rilasciate il giorno seguente allo stesso Cervi dal 1ninistro del Lavoro. Ha detto tra l'altro Don.at Cattin, a proposito delle vicende dell'Alfa: « È avvenuto questo: che all'inizio la delegazione sindacale fosse ben disposta, ma che poi, per l'intervento, le riserve e il pitngolamento di un elemento del 'Manifesto ' e di un paio di elementi della FIM-CISL, la delegazione si sia irrigidita ... » ). A questo punto, hanno ragione colora i quali ritengo·no che, per conte11ere lo sbandatnento a destra del ceto medio, e forse non soltanto del ceto medio, e per evitare 1alla democrazia italian.a la sciagura di un ritorno in forza dei fascisti, comunque truccati e mascherati, sia necessario ristabilire le condizioni e dello sviluppo economico e della legalità repubblicana. Una volta ristabilite queste condizioni, si potrebbero ag·evolmente richiamare nell'area dell'elettora"to democratico tutti coloro che oggi tendono a uscir11.e.Ma come ristabilirle? N ell'ultirao anno di legislatura? Quando è se1npre _più difficile indurre le forze politiche a razio11-alizzareil proprio comportame-rzto? Quando ogniLno già pensa alle elezioni? Quando risultano pressoché improponibili le scelte rigorose, severe, magari impopolari, che una situazione come questa richiede? Evi5 Bib1iotecaginobianco
Editoriale denten1ente, un mese dopo le elezioni si possono fare molte delle cose che non si possono fare un anno prima delle elezioni. E sono appunto quelle le cose che si devono fare, se si vogliono ris'tabilire le condizioni dello sviluppo econon1ico e della legalità rep·ubblicana. Perciò, nel giustificato timore che lo sbandamento a destra possa risultare fra un anno assai più grave di quanto non risulti oggi, si è pensato che dopotutto sia ragionevole anticipare le elezioni. Nel momento in cui scrivia1no tutto lascia infatti prevedere cl1e la crisi di governo si concluderà, appunto, con lo scioglimento delle Camere. Anche noi riteniamo che questa sia, allo stato attuale delle cose, la soluzione più ragionevole: non iLna fuga davanti alle responsabilità, come da qualcuno è stato detto, ma un tentativo convincente di rompere un processo di deterioran1ento che continiLa e che si aggrava. Ora, p-erò, si tratta di contenere entro dimensioni sopportabili lo sbandaraento a destra. È vero che si chiede al paese u11 atto di fede nelle capacità autoriparatrici della democrazia; e noi che lo chiediamo di questa fede sian10 nutriti. Ma quanto prima le capacità autoriparatrici della den1ocrazia comincer~nno a manifestarsi, tanto meglio consentiranno di recuperare la fidiLcia dei cittadi11i nelle istituzioni e nei partiti che queste is'tituzioni hanno il dovere di presidiare e far funzionare. Non. è qiLindi una questione di spostare a destra l'asse politico per facilitare il recupero di elettori sfuggiti al richiamo della DC, o del PLI, ma è questione di intendere e di interpretare le ragioni della sfiducia che si è diffusa nel paese e che ha dato luogo ad una disaffezione per la democrazia. Nel 1953 ci fu un contenuto sbanda1nento a destra: era il costo elettorale della riforma agraria. Anche nel 1963 ci fu un conte11uto sbanda1nento a des'tra, a favore del PLI: era il costo della nazionalizzazione dell'industria elettrica. Ora è diverso: i segni premonitori di itno sbanda1ne1ztoa destra, che si sono percepiti, non fanno pensare ad una reazione contro le rifor1ne di ceti colpiti, o che si presitmono colpiti, dalle riforme. Certo, sul voto, della Sicilia, il 13 giugno del 1971, ha infiuito la minaccia di una riforma dei patti agrari che rischia di provocare, tra l'altro, una decapitalizzazione dell'agricoltura italiana; e di qui, comunque, la necessità, come ha detto l'on. Andreotti, di una revisione delle norme sui fitti dei fondi rustici per « eliminare disparità che hanno colpito spesso piccole entità fan1iliari ». Ma ad infiuire sul voto premonitore del 13 giugno sono state anzitutto e soprattutto l'indignazione per il malgoverno, l'irritazione per il disordine, la preoccupazione per il posto di lavoro, la sensazione che tittto va male e che le forze politiche di orienta,nento democratico contribuiscono a provocare il peggio•, invece di adoperarsi per garantire il meglio. 6 Bibiiotecaginobianco
Editoriale Il tentativo di interrompere il processo di deterioramento che continua e che si aggrava - e di interromperlo sciogliendo le Camere e convocando i comizi elettorali - dev'essere perciò accompagnato· da un consapevole impegrLo di cambiare politica. E si può dare la di111ostrazione di questo impegno, salvo poi a n1antenerlo ed a continu.arlo con rigorosa scrupolosità, firz dalle setti111ane dtlrante le quali si svolgera la campagna elettorale. In questo senso è importante la questione del governo che farà le elezioni; ma è n1olto più importante la questione dell'i111postazione che i partiti di ce11tro-sinistra daranno alla loro camp·agna elettorale. Perclié tutti i partiti devo110 capire che la partita del « dopo » si gioca alla giuntura con la destra, che è destra estren1a: si gioca in termini di contenimento del fenomeno che si è manifestato il 13 giugno nel Mezzogiorno. Il MSI dev'essere isolato; e in qitesto senso la DC commetterebbe un grave errore se rite11esse di dover insegitire a destra, invece di richian1are nell'area democratica, i voti cl1e le sono sfuggiti e che posso110 essere ricl1ian1ati din1.ostrando che, come voti fuori e contro, non possono essere che politicamente sterili; o, peggio, che possono i11debolire lo schieramento democratico oltre i limiti della sua capacità di autosufficienza e possono, quindi, provocare l'apertura di una crisi istituzionale che pregiudicherebbe la possibilità di risa11are la crisi economica e finanziaria. Non si tratta, inson,2111a,di promettere o di lasciar intendere che le riforn1e saranno accantonate, ma di impegnarsi a portarle avanti razionalmente e coerentemente, e non caoticamente e velleitariamente come finora si è fatto. E soprattutto si tratta di garantire che, come saranno portate avanti le riforme, così saranno contrastati tutti i fenomeni che hanno provocato sfiditcia e spavento, e 11.eiconfronti dei quali si è rin1asti finora colpevoln1ente indulgenti, o che non 1neno colpevol1nen,te so110 stati sottovalittati nella loro carica disgregante. Ma questo significa che il PSI co1nmetterebbe a sua volta un errore i111.perdonabile se, per insegt/Lire i voti del PSIUP (che noi ci auguriamo possa110 effettiva111ente rifiuire sitl PSI), dovesse i11.s'isteresugli « equilibri piit avanzati » che già tanto hanno indebolito la credibilità e l'autosufficienza del centro-sinistra; o, peggio, volesse assegnarsi una funzione di copertura del disordine e della illegalità, denunciando come « repressione » ogni lodevole sforzo di correggere una condizione di cose che tanto comincia ad asso111igliare a qitella degli anni '20, qtlan.do proprio i socialisti com111isero errori imperdonabili e irre parabilL È vero insomma che un mese dopo le elezioni sarà possibile una razionalizzazione dei corrz,portaménti politici che non si ritie11e possibile un anno prin1a delle elezioni. Ma è anche vero che la razionalizzazione 7 Bib·liotecaginobianco
Editoriale dei comportamenti elettorali è premessa della razionq,lizzazione dei comportamenti politici. Ed è questo un problema· che si pone alla DC, ma si pone anche al PSI, per il quale è d'altra parte n1eno facile i11tendere come e perché la partita si gioca alla giuntura fra la DC, partito di centro, e l'estrema destra; e come e perché sull'esito di questa partita possono d'altra parte influire negativamente gli errori che ad un partito di sinistra come il PSI dovesse capitare di continuare a co1nmettere, sottovalutando le ragioni per citi si è riaperto alla destra uno spazio che nel 1968 le era stato ristretto in limiti di sicurezza. L'orizzonte è molto ran11uvolato. Le possibilità di una schiarita sono condizionate dai risultati di una competizione elettorale che si affronta dopo che i partiti di governo hanno consentito alla logica della radicalizzazione dei contrasti politici e sociali di progredire pericolosamente: con i risultati econoniici, sociali, politici che ognuno può agevolmente constatare e clie avrebbe potuto altrettanto agevolmente prevedere. C'è chi li ha previsti e chi si è ostinato a non volerli prevedere; ma, oggi che deve constatarne il grado di pericolosità raggiunto, chi non ha voluto o saputo prevedere sarebbe veramente irresponsabile se non volesse concorrere con i suoi sforzi a determinare un regresso della radicalizzazione e anzi si adoperasse per farla ancora progredire. Ci si accusi pure l'uno con l'altro, i partiti democratici, di avere questa o qitella colpa: ma si concordi tutti nel dire al paese quale può essere il costo di un'ulteriore radicalizzazione della vita politica e della proiezione di questa radicalizzazione nel compitto dei risultati elettorali/ e ci si impegni volenterosamente a non ripetere gli errori che hanno determinato la degenerazione del quadro politico, da come si presentava dopo le elezioni del 1968 a co1ne si presenta prima delle elezioni del 1972. 8 Bibiiotecaginobianco
Tito e i nazionalisti • croati di Alfonso Sterpellone Nella fase più grave della crisi croata il presidente jugoslavo, Josip Broz Tito, disse (18 dicembre 1971): « Entro sei mesi sarebbe insorta una guerra civile. E io, come capo dello Stato e del partito, non avrei mai potuto consentire che qualcuno giungesse dall'estero per metter ordine da noi. Piuttosto, avrei impiegato ' mezzi estremi ' ». Quattro giorni dopo, celebrando a Rudo la « giornata dell'Esercito », egli disse: « Il nostro esercito ha anzitutto il con1pito di difendere il nostro Paese da tutti i nemici esterni, ma deve anche proteggere le conquiste della nostra rivoluzione all'interno del Paese, se necessario. Io sono convinto che abbiamo la forza necessaria per svilupparci pacificamente, ma se dovesse accadere il peggio, ... l'esercito è pronto ». Diverso è stato il tono di Tito nei due discorsi pronunciati alla seconda conferenza della LCJ (Lega dei Comunisti Jugoslavi), svoltasi in Belgrado tra il 25 e il 27 gennaio 1972. Nel primo intervento egli ha detto: « Dichiaro davanti al mondo intero che è ridicolo parlare sempre d'uno stato di crisi in Jugoslavia, d'un pericolo di disgregazione. La Jugoslavia è una comunità forte, la Jugoslavia ha la sua LCJ e la sua Alleanza Socialista, che inquadrano milioni di cittadini 1 • La Jugoslavia ha anche un'altra forza, che io non non1inerò, ma che tutti conoscono bene ». Era un nuovo evidente accenno all'esercito e alla sua capacità d'intervento. Poi, nel secondo discorso (27 gennaio), s'è riferito ancora una volta alla crisi croata del novembre-dicembre 1971, dicendo: « Alcuni affermano che saremmo dovuti intervenire prima, ma la critica non è giusta. Abbiamo adottato provvedimenti tempestivi, e questa crisi sarà facilmente superata ... I dirigenti che hanno sbagliato dovranno essere espulsi dal partito, ma chi ha violato· la legge dovrà rispo11derne davanti ai tribunali ». Egli ha esortato a evitare la« caccia alle streghe »; e ha concluso in tono rassicurante: « Non siamo un Paese dai piedi d'argilla: abbiamo piedi, gambe e tutto il c·orpo molto solidi, e lo di1nostreremo ». 1 Gli iscritti alla LCJ sono un milione; quelli all'Alleanza Socialista 8 milioni. 9 Bi'bliotecag inobianco
Alfonso Sterpellone La crisi, certamente, non è stata superata in u_n solo mese, pur se la repressione dello sciopero di più di trentamila studenti dell'Università di Zagabria - accompag11ato da nianifestazioni di forti gruppi nazionalistici - è apparsa clura, inesorabile. l\1ilovan Gilas ha potuto riassumere il st10 git1dizio sui n1odi e sulle conseguenze dell'intervento in Croazia, in 11n'intervista al periodico viennese « Profil » (30 gennaio 1972): « Tito ha agito bene, e nello stesso tempo male. Egli aveva il diritto di salvagL1ardare l'unità del Paese. Questo è certo. l\1a era sbagliato il modo in cui è intervenuto. Le grandi epurazioni e i divieti di stampa sono andati troppo oltre, e non erano più adeguati. Con ciò è finita nel 11ostro Paese la liberalizzazione. Non si p11ò considerare utile il risultato d'aver spinto tutta l'intellig·hentsia croata all'opposizione ». È t1n giudizio, che il grande « eretico » esprime esplicitamente, e che - nella sostanza - è accettato dai dirigenti comunisti jugoslavi. Ci si potrebbe riferire, per una conferma, a Eduard Kardelj, il quale è apparso preoccupato per le « spinte repressive », e, i11 un discorso pronunciato alla vigilia del Nato.le 1971, ha ammo11ito a non trasformare « l'attuale processo di purificazione ideologica e politica in una caccia alle streghe ». Tito ha raccolto l'invito de] suo più a11torevole collaboratore, ripetendone l'esortazione alla seco11da conferenza della LCJ (nel cui dibattito Kardelj non è i11tervenuto: e ciò può anche esser significativo). È da notarsi che nella stessa sede partitica (la conferenza di Belgrado) il Ministro jugoslavo della Difesa, generale Nicola Ljubicic, ha ribadito che le Forze Armate « sono decise a difendere il sistema sociale e la politica indipe11dentistica e di non inter,,ento » del Paese, invocando una « direzion.e efficiente e unita » della LCJ. Con tale presa di posizione il generale Lj-ttbicic riaffermava il carattere di minaccia alla. strtlttura unitaria dello Stato federativo jugoslavo, che era implicito nel modo di manifestarsi della crisi croata. Un anno fa - conviene rilevarlo -- lo stesso generale Ljubicic ( discorso del 16 gennaio 1971), per valorizzare l'esigenza dei piani di « difesa totale», elaborati dopo l'aggressione dell'agosto 1968 ai danni della Cecoslovacchia, compiuta da cinq1.1e eserciti del « patto di V~rsavia », aveva posto in risalto i pericoli della situazione jugoslava, dicendo: « L'aumentato interesse delle grandi potenze per il Mediterraneo riguarda anche la Jugoslavia, le cui capacità difensive esse tentano d'indebolire con varie forme di guerra speciale o di guerra silenziosa ». I_Jegrandi pote11ze - egli diceva - « non rinunceranno nemmeno a un'aggressio11e armata o a un accordo 10 Bibiiotecaginobianco
Tito e i nazionalisti croati sulla divisione del nostro Paese, se riusciran110 a indebolirne le ca .. pacità di difesa ». I rilievi del Ministro Ljubicic erano, in effetti, rivolti· a una sola delle grandi potenze: all'URSS. Era già in atto una « campa .. gna », che nell'estate si sarebbe sviluppata fino a ipotizzare accordi militari della Jugoslavia con la Ro1nania, sotto l'egida della Cina, i11fL1nzione anti-sovietica; la st1ccessiva visita di Leonid Breznev a Belgrado sarebbe valsa soltanto ad attenuare i timori di un'intenzione· sovietica di « riassorbire » definitivamente la dissidenza romena, la secessione jugoslava, la defezione albanese: anche con le armi, si paventava a Belgrado e in altre capitali. Ci si chiedeva - e ci si chiede p11r oggi - se e in qual modo il Cremlino avrebbe potuto utilizzare alcune « qt1estioni nazionali » per la condotta dei suoi te11tativi di « recupero ». Nel caso croato esisteva almeno un elemento, che induceva a ritenere possibile un diretto interessame11to dell'URSS: il vincolo stabilitosi tra Mosca e Brank:o J elic, che dirige a Berlino-ovest un « centro » di ustascia (i fascisti croati). Jelic attua la propria azione propagandistica atraverso il periodico « Hrvatska Drazva », che pubblica corrispondenze d'un croato residente a Mosca (si firma Slavko Novak). « Hrvatska Drazva » sostiene la tesi dell'istituzione d'una « Croazia sovietica », come Stato indipendente garantito dall'URSS. Non è chiaro il programma d'azione di Jelic: egli sembra accettare una forma di organizzazion.e comunista. Branko Jelic - che ha 60 anni - ha abbandonato le tesi oltranzistiche d'estrema destra degli ustascia, e ha costituito t1n gruppo autonomo, osteggiato dai fascisti « ortodossi ». È considerato il leader degli ustascia residenti nella Repubblica Federale tedesca (eglj stesso ha un passaporto rilasciatogli dal governo di Bonn); nel passato recente, s'è distinto come fiancheggiatore dell'ala oltranzista cattolica bavarese di Franz Josef Strauss ..Sembra che già durante la seconda gL1erramondiale Branko Jelic si distinguesse dagli ustascia, che avevano ass·unto il potere in Croazia; riparato all'estero al termi11e del conflitto, avrebbe fatto valere tali posizioni di « dissidente » per accreditare una propria disponibilità per le tesi della democrazia (non oltre, però, i gruppi dell'estrema destra cattolica). Recentemente, Jelic - egli stesso è di formazione cattolica - avrebbe esteso l'inflt1enza del gruppo berlinese fino ad altri gruppi di ustascia residenti in Sud America (ivi sono i seguaci più fedeli del defunto poglavnil, Ante Pavelic, che al termine della. seconda· guerra mondiale· si rifugiò in Argentina; poi, andò in Spagna: ferito gravemente in un attentato nel11 Bibliotecaginobianco
Alfonso Sterpellone ]'aprile del '57, morì dopo più di due anni - di~embre 1959 - a Madrid), in Canada, in Australia. Jelic manterrebbe la propria opposizione intransigente ai gruppi terroristici di ustascia, che si impegna110 in atti terroristici in Europa, e specialmente i11Germania e in Svezia. La tradizione della violenza come strumento politico è viva tra i croati. Già alla vigilia della prima guerra mondiale il « partito del diritto » di Starcevic si propo11eva d'agevolare l'attuazione del suo programma indipendentistico con atti d'intimidazione terroristica. Ante Pavelic, che fo11dò il movimento ustascia dopo la violenta repressione dell'autonomismo croato da parte di re Alessandro, ha sempre fatto del terrorisn10 la sua « arma di persuasione »: dal fallito tentativo di sbarco sulle coste dalmate, 11el settembre del 1932 ( qua11do la popolazione rifi11tò di sollevarsi contro i serbi), all'uccisione di re Alessandro; gli ustascia (insorti, ribelli) furono addestrati in speciali campi in Italia e in Ungheria, e, dopo la proclamazione del regno di Croazia - u11a sorta di protettorato fascista e nazista -, il 20 aprile 1941, attuarono un tragico pogrom dei serbi residenti all'interno del nuovo Stato., A quasi mezzo milione è calcolato il numero delle vittime. I gargliardetti neri, aventi al centro un teschio bianco su due tibie incrociate (simbolo degli ustascia), non sono stati abbandonati; gli emigrati si richiamano a Radic, a Macek, all'eroe contadino croato del secolo XVI Mattia Gubec; dispongono di numerosi organi d'informazione; propagandano le loro tesi non soltanto nel proprio ambiente, ma anche tra le molte ce11tinaia di migliaia di croati, che negli anni recenti sono espatriati in cerca di lavoro. Il proselitismo è praticato specialmente tra i giovani, non senza abilità: ci si avvale di un'« unione dei comunisti croati all'estero », che periodicamente rivolge appelli ai « Paesi socialisti fratelli », e in particolar modo all'URSS, per denunciare le « persecuzioni » dei serbi ai danni dei croati. Forse, in quest'ultimo ambiente opera Branko Jelic, il quale nella scorsa estate sarebbe stato ospite dei sovietici in Crimea; ustascia appartenenti ad altri gruppi affermano che in tale occasione egli avrebbe negoziato un accordo per la cessione in uso permanente all'URSS di basi navali in Dalmazia, in cambio del sostegno del Cremlino per la formazione d'uno Stato indipendente. Le notizie, in proposito, sono state diffuse da molti lavoratori croati rimpatriati nello scorso dicembre per trascorrere in famiglia le festività natalizie e di fine d'anno (duecentomila, secondo alcune fonti); e avrebbero suscitato commenti, speranze, pro12 Bibiiotecaginobianco
I Tito e i nazionalisti croati prio in una fase di tensione nei rapporti tra Belgrado e Zagabria 2 • Nell'esame delle cause della crisi attuale sono suggestivi i richiami alla storia dei rapporti tra croati e serbi. I croati vantano le prime forme d'entità statale già nel secolo VII d.C., quando, chiamati dall'imperatore bizantino Eraclio, si insediarono in Dalmazia, avendo sconfitto gli Avari; « magiarizzati » nel secolo XI, restarono « regno associato » dell'Ungheria fino al 1791; dipesero dagli Absburgo fino al 1918. Costantemente impegnati nelle lotte contro i turchi e contro i serbi (che per tanti secoli fecero parte dell'impero ottomano), i croati svilupparono una forte coscienza nazionale, alimentata, nelle sue forme moderne, dal cosiddetto « illirismo » di Gaj (la Croazia, con la formazione delle « Province illiriche », 1809-13, fece parte del « sistema napoleonico »); mantenne la propria autonomia garantitale con la Costituzione del 1849. S'è dianzi accennato alle condizioni della Croazia nel Regno di Jugoslavia tra le due guerre mondiali; la disputa fu costante tra gli autonomisti moderati di Macek e i separatisti intransigenti di Pavelic. Eredi, e fieri, d'una cultura cosmopolitica, i croati - cattolici, in maggioranza - si distinguono anche per ciò dai serbi, ortodossi o musulmani, « chiusi » dalle leggi ottomane a qualsiasi influenza culturale estranea. Fallito il tentativo unificatore sotto la dinastia serba dei Karageorgevic, il croato Josip Broz Tito, in un ben diverso contesto socio-politico, ha tentato la « soluzione federalistica», non sempre giustamente interpretata. Ancora nel 1967 giungeva a Belgrado la protesta di 130 studiosi (80 dei quali membri della LCJ), in rappresentanza di 18 istituzioni culturali croate, contro presunte discriminazioni attuate dai serbi « in materia linguistica», ai danni dei croati. Nel messaggio natalizio del 1971, mentre divampava più aspra la polemica seguita alla « decapitazione» del gruppo dirigente croato, l'arcivescovo di Zagabria, monsignor Franjo Kuharic, affermava che « Cristo ha santificato il patriottismo ». Nelle sue manifestazioni . attuali, la crisi croata si presenta in termini non dissimili da quelli caratterizzanti i rapporti all'interno d'uno Stato multinazionale. Gli elementi distintivi sono nella presenza dominante d'un partito (la LCJ: Lega dei Comunisti Jugoslavi) e nel tipo d'indirizzo politico ·che esso persegue. Il partito è unico: l'« Alleanza Socialista» consente l'espressione soltanto parziale e settoriale degli interessi, è strumento, « cinghia di trasmis2 « Politika » (28 dicembre 1971) affermava che per causa della crisi 100 mila croati non erano rimpatriati per le festività; nell'anno precedente, 300 mila croati che lavorano all'estero erano giunti in Croazia nel mese di dicembre. 13 Bibliotecaginobianco
Alfonso Sterpellone sione » della politica della LCJ; non esistono gruppi politici autorizzati a interpretare altre esigenze, aspirazioni, programmi; il diritto di rappresentanza è esclusivo della LCJ. L'indirizzo politico si caratterizza, oltre che per il sistema d'autogestione, per il cosiddetto « mercato unico », co1ìsistente in una redistribuzione del reddito tale da consentire il riscatto delle repubbliche economicamente sotto-sviluppate: il divario è grave e rilevante tra Nord e Sud. La « questione croata » s'inserisce in tale quadro. I/esplosione s'è verificata con lo sciopero di più di trentamila stude1ìti dell'Università di Zagabria, tra il 22 novembre e il 3 dice1nbre 1971. Era, dichiaratamente, una protesta contro la « burocrazia federale », accusata di nuocere agli interessi economici croati, sottraendo alla Repubblica 11na parte sostanziale del reddito prodotto e della valuta pregiata acquisita con le esportazioni di merci e con il turismo. Nei giorni dello sciopero si lamentarono incidenti, scontri con la polizia e con la milizia popolare, ferimenti, arresti. Tra autorità politiche e studenti universitari di Zagabria la tensione durava almeno dal gennaio del '71, quando il ventitreenne Ivan Zvonirr1ir Cicak, allievo della facoltà di Belle Arti, era stato eletto a grandissima maggioranza pro-rettore dell'Università, battendo il candidato proposto dall'associazione ufficiale degli studenti (che è controllata dalla LCJ). Cical(, cattolico pratica11te, s'era dimesso dall'associazione due anni prima; manifestava tesi nazionalistiche, oste11tava amicizia con alcuni intellettuali dissidenti. È da ricordarsi che già nel '68 gli universitari jugoslavi - quelli di Belgrado - avevano manifestato contro la cosiddetta « borghesia rossa » ( una « variar1te » del concetto gilasiano della « nuova classe » ). È anche da notarsi che nel gennaio del '71, mentre a Zagabria si svolgeva la polemica sul « caso Cicak », l'esecutivo degli studenti universitari· di Belgrado approvava a maggioranza ( 159 favorevoli, 13 contrari, 15 astenuti, 44 ritiri dall'aula dell'assemblea) una mozione, con la quale si dichiarava « sciolto » il comitato diret- · tivo della rivista « Student », dominato da professori e studenti definiti « stalinisti e anarco-liberali », « neo-cominformisti », ostili al « processo di liberalizzazione della LCJ »; essi erano anche accusati d'aver organizzato le manifestazioni del '68 contro la « borghesia rossa ». A Zagabria la lotta s'incentrava, più che sui problemi dell'indirizzo politico, sull'urto di nazionalità: un.a questione che concerne ancl1e il rapporto cattolici-comunisti, valorizzando il comportamento religioso dei croati, che s'esprime, prima che in fedeltà assoluta alla Chiesa cattolica, in opposizione agli ortodossi e ai mu14 Bibiiotecaginobianco
Tito e i nazionalisti croati sulmani di Serbia. Così) ad esempio, nella scorsa primavera era stato acclamato il prof. Sime Djoda11, che, in u11a manifestazione nella sede dell'Università di Zagabria, aveva denu11ciato le « sinistre forze dell'unitarismo » ( « unitarismo » sig11ifica, per i nazionalisti repubblicani) la politica cli prerninenza dell'interesse federale su quello delle singole repubbliche). Le manifestazioni del nazio11alis1no croato, specialmente dopo il 1970, si caratterizzano non soltanto con cerimonie rievocative (esposizione, ad_ esempio, della bandiera a scacchi rossi e bianchi di Zrinski e di G11bec) o con gesti dimostrati,,i (nel maggio del '71, un'adunata di partigiani a Podravska Slati11a era disturbata da un corteo di automobilisti ostentanti le bandiere dagli antichi simboli); si sostanzia110, in effetti, a11che sul piano politico. Nel gennaio del '70 il Comitato Centrale della LCJ della Croazia aveva ritirato a Milos Zank~o la delega di rappresenta11te dei comunisti croati nei supre1ni organismi del partito. Zanko, vice-presidente del parlamento federale, aveva detto: « Badiamo a non ridurre l'intensità de] nostro impegno politico e ideologico per timore dell'unitarismo, che è agitato come uno spa11racchio dai nazionalisti. Dovremmo valorizzare il patriottismo socialista jugoslavo, oltre che la nostra coscienza nazionale ». Gli replicava nella seduta ple11aria del CC uno dei due rappresentanti croati nell'Esecutivo della LCJ, Mika Tripa~ lo: « L'unitaris1110 non è soltanto opera dell'egemonismo serbo, ma è anzitutto opera della burocrazia federale ». Un a11no dopo, Tripalo accusava (gen11aio 1971, conferenza di Brioni) i serbi di non aver concesso più a1npi poteri d'autonomia alle due regioni di Voivodina e di Kossovo, violando le 11uove 1ìorme sancite in emendamenti costituzionali; i serbi respingevano l'« interferenza » croata negli « affari interni» della Repubblica (esempio concreto d'esasperazione del concetto di « sovranità nazionale» in uno Stato federato). Mika Tripalo è stato una delle prime vittime della « decapitazione » del supremo gruppo dirige11te di Zagabria, attuata da Tito in dicembre. Nel dicembre del 1971, le accuse (esplicite o i1nplicite) ai djrigenti croati 11ei11vestivano le responsabilità non solta11to sul piano interno, nìa anche in rapporto ai « centri » nazionalistici operanti all'estero, alme110 i11 termini di « favoreggiamento ». Deve 11otarsi che già in un docume11to del 9 aprile 1971 il CC della LCJ della Croazia aveva de11unciato una manovra intesa a « screditare » i diriger1ti d.i Zagabria, perché - si affermava - « anche con l'intervento di alcuni organismi del governo federale » erano state diffuse calunn.ie su prest1nti legami tra loro e gli emigrati ustascia. Il 15 Bibliotecaginobianco
Alfonso Sterpellone 28 aprile l'allora Primo Ministro federale, Ribici.c_, rendeva noto il giudizio espresso da una commissione d'tnchiesta composta da croati e da rappresentanti del « potere federale »: la « campagna di discredito » era opera di « nemici interni ed esterni »; si escludeva, comunqt1e, la responsabilità dei servizi di sicurezza, i quali avevano « operato nel quadro delle loro legittime competenze ». Non è mai stato chiarito il motivo del coinvolgimento dei servizi di sicurezza nella vicenda denunziata da Zagabria ( è da segnalarsi che il capo dei servizi d'informazione dell'esercito federale, generale Miskovic, è fratello del nuovo segretario della LCJ della Croazia, Milan Miskovic, responsa,bile dei problemi dei « quadri » e della « sicurezza » ). I servizi jugoslavi di sicurezza - specialmente i settori dipendenti dalla polizia politica - furono diretti fino all'estate del 1966 da Alek:sandr Rankovic, il quale fu estromesso da tutti gli incarichi, essendo riconosciuto colpevole d'aver abusato dei propri poteri, d'aver instaurato un complesso sistema di controlli, d'aver tentato d'organizzare un vero e proprio « Stato nello Stato ». Com'è indicato nel dianzi citato discorso del generale Ljubicic alla seconda conferenza della LCJ, le Forze Armate· (e maggiormente i servizi di sicurezza) favoriscono una struttura dello Stato federale con forti capacità decisionali, di direzione e di controllo; il favore s'estende all'organizzazione della LCJ. Le accuse sui rapporti tra il gruppo dirigente croato e i « centri all'estero » consistono specialmente nell'aver esso consentito agli emigrati, 11-stascia e non ustascia, di svolgere la loro azione di propaganda e di proselitismo all'interno; sono accuse di « non vigilanza ». Più concreto è il giudizio negativo sullo sviluppo - tollerato dai dirigenti di Zagabria - di un'organizzazione croata a programma nazionalistico, il Narodni Pokret, che aveva saputo operare anche nell'ambito della LCJ. I comunisti croati - secondo le accuse - ritenevano di poter controllare l'attività del Narodni Pokret, fino a dirigerne l'attività: un gioco rischioso, dimostratosi errato, perché, in effetti, le tesi nazionalistiche sono prevalse su quelle partitiche, e i comunisti ne sono rimasti, praticamente, prigionieri. Mirando a un più forte autonomismo (e forse a una secessione) della Croazia, il Narodni Pokret operava, nel contempo, alla disgregazione della LCJ. In « Hrvatski 1,iednic » erano esposte da Djodan e Veselica (espulsi dalla LCJ e posti sotto accusa) le teorie dello « spazio vitale» della « nazione croata»; si invocava giustizia per la « Croazia sfruttata dagli epigoni della borghesia gra11serba camuffati da comunisti unitaristi »; erano enunciate le tesi della 16 Bibiiotecaginobianco
Tito e i nazionalisti croati Jugoslavia come « somma di sei repubbliche, di sei partiti comunisti, di sei classi operaie »: tesi duramente condannate dal CC della LCJ e durante la seconda conferenza della LCJ. Nel quadro ·dello sviluppo dei movimenti nazionalistici est-europei, il Narodni Pokret croato si caratterizza per confusione ideologica; vi confluivano elementi dottrinari fondamentalmente diversi tra loro, pur se non dichiaratamente: dai miti della « nazione eletta » di Rosenberg al paternalismo monarchico e para-cattolico di Maurras, dallo « stalinismo nazionale » di Moczar all'« identificazione » autonomistica di Ceausescu. Le interpretazioni delle loro teorie erano arbitrarie, ingiustificate. Se ne dimostra,,ano preoccupati i quasi 600 mila serbi residenti in Croazia, timorosi del ripetersi d'una situazione simile a quella dell'Ulster, dove infuria la lotta tra cattolici e protestanti; essi paventavano un nuovo pogroni: ecco perché avevano costituito la Prosvjeta ( un'organizzazione di auto-difesa civica). Un'azio11e non meno incisiva sul piano della propaga11da nazionalistica era svolta, benché in sede dichiaratamente culturale, dalla Malica Hravtska, che si richiama, anche come denominazione, alla società che negli t1ltimi decenni dell'Impero austro-ungarico si batté per la difesa della nazione e della lingua croate. Prima che molti suoi esponenti fossero arrestati, il comitato direttivo della Malica Hravtska si dimise il 12 dicembre scorso, all'indomani dell'epurazione del gruppo dirigente comunist_a di Zagabria. Tito definì la Matica Hravtska come « il centro della contro-1ivoluzione »; la sua attività fu giudicata « nefasta » specialmente in zone, come la Dalmazia, nelle quali il multinazionalismo avrebbe consigliato cautela. Malica Hravtska sollecitava, tra l'altro, l'allontanamento dei docenti non croati dagli istituti culturali della Repubblica; chiedeva che in tutti i posti-lavoro si desse preferenza ai croati rispetto agli appartenenti agli altri gruppi etnici residenti nella Repubblica (serbi, ungheresi, ceki, italiani, slovacchi, ruteni, e altri); invocava una maggiore autonomia politica e un miglior trattamento economico per la Croazia. La forza della sua azione propagandistica può essere testimoniata soltanto dall'eccezionale aumento del numero dei suoi membri: erano 1.200 all'inizio del 1970, erano più di 30 1nila nel dicembre del 1971. Nella seconda conferenza della LCJ uno dei nuovi dirigenti croati, Marinko Gruic, ha affermato che a Zagabria s'era costituito un vero « stato maggiore» dei nazionalisti, con il compito di creare « centri di potere » nella LCJ, nell'Università, nel giornali, nella radio, nella t·elevisione, nell'apparato amministrativo, nel sistema economico. Tra le accuse più gravi rivolte da Gruic 17 Bibl·iotecaginobianco
Alfonso Sterpellone ai nazionalisti è quella d'aver già preparato « lis~e di proscrizione » tra le personalità politiche croate; dopo l'attuazione del programma secessionistico la Croazia avrebbe dovuto farsi promotrice d'una « Federazione balcanica » con altri Stati indipendenti. Queste imputazioni sembrano al pubblico jugoslavo più convincenti di quelle formulate dopo la « decapitazione » del gruppo dirigente croato, giudicato dal CC della LCJ della Croazia responsabile del ripristino di « metodi stalinistici »; resta incertezza - e in molti ambienti anche inquietudine - per l'accusa rivolta dai giornali di Belgrado ad alcuni dirige1ìti « liquidati », d'aver progettato l'assunzio11e del comando della regione militare di Zagabria, della direzione dei servizi di sicurezza di Stato, del ministero degli interni di Croazia. Si sta indagando sulla consistenza di queste e di altre imputazioni 3 : l'accusa più pericolosa è di « complotto antistatale », che il segretario comunista di Zagabria Marinko Gruic ha (in un discorso del 30 dicembre 1971) ritenuto di configurare. Essa concerr1e alcuni dei dirigenti epurati, ma s'esplicita più drammaticamente a carico dei componenti d'un « comitato dei cinquanta», autoproclamatosi « comt1nista rivoluzionario », al quale si attribuisce la responsabilità della preparazione d'un complotto anti-unitario; centri d'organizzazione « anti-rivoluzionaria » sono state definite le redazioni di « Hrvatski Tjednik » e di « Gospodarski Glosnik »: due periodici della Matica Hrvatska (i responsabili sono stati costretti in carcere).~ Fra gli ept1rati è il generale Janko Bobetko, che Tito aveva già esonerato dalle funzioni militari, e che il 13 dicembre 1971 è stato espulso dal Comitato Centrale comunista della Croazia: è indiziato d'essere u1ìo dei promotori del progetto per la formazione d'un esercito nazionale croato. L'epurazione s'è estesa a tutti i settori della vita politica, amministrativa, culturale, economica della Croazia. Notava « Ekonomska Politika » 4 che « chiunque sia qualcu110 in Croazia può dimettersi ». Il governo repubblicano è stato quasi totalmente trasformato. Il supremo gruppo dirigente croato è stato sostituito, essendo stati espulsi la sig11ora Savl(a Dabcevic, presidente del Comitato EsecL1tivo, il segretario Pero Pirker, i membri del CE Mika Tripal?, Marlco Koprtla, Srecko Bijelic. Nuovo presidente è la signora Milka Plani1ìc, segretario è stato eletto Josip Vhrovec (noto come autore d'un molto pubblicizzato saggio per condan~are il discorso 18 3 La decisione è stata adottata il 25 dicembre 1971 dal CC della LCJ della Croazia. 4 27 dicembre 1971. Bibiiotecaginobianco
Tito e i nazionalisti croati di Krusciov al XX congresso del PCUS: il discorso che avviò il processo detto di « destalinizzazione » ). . Nel dibattito durante la sessione plenaria del Comitato Centrale della LCJ della Croazia ( è durata ininterrottamente per quaranta ore, 1'11 e 12 dicembre 1971) le accuse sono state espresse duramente. J aciv Blazevic, presidente del parlamento repubblicano (Sabor) ha detto che « lo stato maggiore della contro-rivoluzione è parte in Croazia e parte all'estero » e che « c'è stato molto più che u11·acongiura »; Dusan Dragosavac ha affermato che « l'accettazione del Narodni Pokret equivaleva alla stipulazione d'un patto con l'opposizione»: il che è inaccettabile. Specialmente Tripalo e la signora Dabcevic erano al centro delle accuse: per aver favorito i « colletti bianchi » (la borghesia impiegatizia) ai danni dei « colletti blu » (il proletariato), per aver deplorato non la protesta degli studenti, ma soltanto il suo modo d'esprimersi. Ha detto un dirigente nel corso del dibattito: « il criterio fondamentale per giudicare il comportamento d'un comunista croato non era la fedeltà al Comitato Centrale, ma la fedeltà al Narodni Pokret ». Tutte le accuse erano state anticipate nella riunione del Comitato Esecutivo della LCJ, svoltasi a Karadjeordjevo (1-2 dicembre) sotto la presidenza di Tito: in venti ore di dibattito Tito s'era scagliato contro il « liberalismo marcio », contro « l'assenza di vigilanza », contro la « tolleranza di attività contro-rivoluzionarie ». La« decapitazione » del gruppo dirigente di Zagabria provocava un trauma tra i croati. Nel maggio del '71 i giovani avevano celebrato il trentesimo a1111iversario dell'insurrezione partigiana, ostentando cartelli con scritte di « Viva la Croazia libera! », e di « Dabcevic e Tripalo, siamo con voi! ». La popolarità dei dirigenti era stata il frutto 110n soltanto del favoreggiamento delle iniziative nazionalisticl1e, ma anche d'una scelta politica, consiste11te nel sostegno all'attenuazione dell'indirizzo rigoristico della LCJ, e incoraggiando lo sviluppo d'un fruttuoso metodo pragmatico. Era positi .. vamente accolta dai croati la battaglia condotta da Tripalo e dalla signora Dabcevic per ottenere dalle banche federali una distribuzione delle valute estere e dei fondi d_'investimento più favorevole agli interessi della Repubblica (nel disegno u1noristico d'un quotidiano, essi erano rappresentati come i « Bonnie and Clyde » della Croazia, che assaltano le banche federali jugoslave). I fatti ·economici influiscono sull'atteggiamento dei croati. La Croazia contribuisce 5 _per il 21·,1 per cento alla formaziune del red5 Gli ultimi dati disponibili si riferiscono al 1970. 19 Bibiiotecaginobianco
Alfonso Sterpellone dito nazionale; il reddito pro-capite è superiore del 26,1 per cento alla media jugoslava. Nella formazione del reddito, l'industria è al primo posto (40,3 per cento); l'agricoltura dà un contributo del 19,9 per cento, gli altri settori formano insieme il restante 39,8 per cento. Nel quadro jugoslavo, l'industria occupa un posto rilevante, calcolato tra il 29 e il 30 per cento del totale: l'industria croata si distingue per specializzazioni nei settori petrolifero (più dell'80 per cento della produzione totale) e chimico (34 per cento). L'agricoltura è ancora in fase di travaglio: benché il « settore socialista » (imprese collettive) sia di gran lunga più vasto di quello privato, è quest'ultimo che fornisce il 70 per cento dei prodotti del suolo. Quanto agli altri prodotti, il rapporto è del 52 per cento del settore privato rispetto al 48 per cento di quello « socialista ». Il 30 per cento di tutte le esportazioni jugoslave provengono dalla Croazia, che contribuisce (grazie anche al turismo) all'accumulazione del 52 per cento di tutte le valute pregiate dello Stato federale: il 75 per cento del movimento turistico straniero in Jugoslavia si svolge in Croazia. Finora, Zagabria ottiene dagli organismi federali soltanto un decimo delle valute pregiate,· il 17 per cento del totale degli investimenti statali. L'elencazione può essere estesa a molti altri elementi, per spiegare un motivo di doglianza, che s'esprime non soltanto in termini di « sacro egoismo » economico. I croati temono che la scarsa disponibilità di investimenti statali influisca negativamente non soltanto sullo sviluppo economico della Repubblica, ma anche sul comportamento degli investitori stranieri, che negli scorsi anni avevano incominciato a dimostrarsi interessati per le prospettive offerte dalla Croazia (e più ancora dalla Slovenia). Recentemente, il Primo Ministro federale Djemal Bjedic ha annunciato misure intese a migliorare il sistema ·di re-distribuzione: le aziende esportatrici potranno aumentare dall'attuale 10 fino al 20 per cento delle trattenute a proprio vantaggio delle valute pregiate acquisite con le esportazioni (per le imprese turistiche, alle quali il governo di Zagabria dedica specifico interesse, l'aumento della franchigia può elevarsi fino al 45 per cento). Ma basta ciò a frenare le sempre più diffuse manifestazioni di « nazionalismo economico »? Sono legittimi molti dubbi, pur se, indubbiamente, s'attenua il senso di « privazione dei frutti del lavoro », che molti croati - individualmente e come collettività - esprimono. In realtà, il « nazionalismo economico » è una. condizione non esclusiva della Croazia, perché la si nota negli atteggiamenti dei capi 20 Bibiiotecaginobianco
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