I Giornale a piit voci riteniamo cl1e si possa concordare con quanto afferma « L'Espresso» del 9 gennaio di quest'anno, e che cioè « si tratta di inchieste di valore disparato, a seconda della personalità dei giorn,alisti che le hanno condotte. Tutte, però, hanno in coniune un tratto: non osano aprire la mente dei lettori sulla terapia augurabile o necessaria al A1ezzogiorno. Qualche volta questi reportages colpiscono per la confusione delle idee, o per qualche isolata manifestazione di insipienza (come quando capita di vedere parlare di ' ricchezza della terra', a pro_posito di Benevento, una delle zone dell'Italia agraria piu povera e da cui si fugge) ». E ancora: « E così la parola resta al descrittivisnio, a volte anche a·ppassionato degli 'inviati speciali' [ ...] e al volontarismo un po' dilettantesco degli estremisti. Di questo passo, se ne può essere sicuri, sentiremo ancora e molto parlare del Mezzogiorno, e certo 1ion in niodo tale da trarne 1notivi di conforto e di letizia». Per quanto rigi.1arda, poi, i n1otivi più generali della cosiddetta crisi del meridionalisn10 - al di là delle analisi che possono anche essere pregevoli e stimolanti: si pensi agli articoli di Giovanni Russo sulla rivista « Settanta» - vale la pena di riprendere e ripetere qua11to « Nord e Sud » affern1ava anni addietro: « che le ragioni della crisi del meridionalisnio 110n sono solo tec11iche; ma sono anche culturali e politiche ». E si aggiungeva che « 1nentre non sono mancate le diagnosi che hanno messo in luce gli aspetti tecnico-economici del ristagno della questione 1neridionale, molto meno frequenti sono state le analisi dirette a formitlare in termini politico-cult-urali nitovi il problema dello squilibrio Nord-Sud. I diversi gruppi hanno vissitto delle rispettive rendite, ed è logico che una certa routine abbia prevalso. È avvenuto così che gli ideologi del 1neridionalisnio abbiano, certo inavvertitan1ente, passato la consegna agli esperti di ingegneria sociale, ai tecnici dello sviluppo: dal nieridionalis1no 'come 1nissione' si è inipercettibilmente arrivati al n1eridionalisn10 'su comn1issio11e '. È indubbio che in tal rnodo alla ricerca si sia sostituita l'indagine scieritifi,camente rigorosa (politica;nente 'neutrale') dei 'gruppi interdisciplinari'. Atla è altrettanto indubbio che dalle profonde 1notivazioni ideali, rese ferme da sicure conoscenze storiche e da intransigenti vocazioni n1orali, della prima e anche della seconda generazione di meridio11alisti, si è passati al generico in.teresse o, nel 1nigliore dei casi, al moralis1no spicciolo dei meridionalisti su coni~zissione, spesso già presenti o scesi nel Sud con la testa ben amniobiliata <;],i schemi, nei quali si sforzano, con una buona volontà degna di rniglior causa, di costringere una realtà che, tutto sommato, non amano e di cui sfugge loro il significato » (ANTONIO RAo e ITALO TALIA, Buio a A1ezzogiorno, « Nord e Sud», settembre 1966). Da questo punto di vista può anche essere nel giusto Giovanni Russo quando scrive che il « nieridionalismo è diventato una subcultura al servizio della politica ufficiale ' meridionalista'». Ma_ d~ certo sbaglia nell'indicare strumenti ed .interlocutori allorché afferma che « sotto l'impulso delle interpretazioni ideologiche neoniarxiste della sinistra extraparlamentare » si possa « riscoprire di nuovo la conipo1iente nieridionale delle cultura nazionale che potrebbe riacquistar€- una nuova significativa conn_otazione ». Questo accadrà 57 Bibliotecaginobianco
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