Vittorio de Caprariis dissoluzione, che abbandona a se stesse le :forze· cozzanti, che fa dello stato u11 essere neutro e ipocrita, un testimonio più che un attore, che si lascia fuggire di mano il freno, e che rivela l'indifferenza entrata negli animi e quel difetto d'iniziativa e di coraggio morale, che noi sogliamo mascherare sotto la formula del lasciar fare e del lasciar passare ». Era una diagnosi che conteneva già i11 sé il rin1edio; ma qual era la motivazione storica di essa? A questa non pare che si sia data soverchia importanza, né dal Croce che giustamente radicalizzava la posizione desanctisiana negando che una « scienza » siffatta potesse esistere come « scienza »; né dai marxisti italiani nostri contemporanei, troppo preoccupati di mostrare nel discorso del critico irpino come un incunabolo della loro polemica attuale. Ed invece essa è di grande rilievo, perché trasce11de il problema italiano per toccar quello generale ed è perciò rivelatrice del suo atteggiamento e delle sue posizioni. Il punto di partenza è tutto hegeliano: la scienza che « cresce a spese della vita », che più si sviluppa e più toglie all'azione, che conosce la vita solo quando questa le sfugge innanzi, che si fa filosofia quando muore la fede e critica quando l'arte tramonta, q1,1esta scienza ricorda troppo l'immagine hegeliana dell'uccello di Minerva: « gli Iddii se ne vanno, e Socrate li accompagna della sua ironia; la repubblica declina, e Platone costruisce repubbliche ideali; l'arte se ne va, e Aristotile ne fa l'inventario; la vita pubblica si corrompe, e sorgono i grandi oratori ... » 30 • Qui è tutta la filosofia della storia hegeliana: quello stesso De Sanctis che qualche anno più tardi ironizzerà su coloro che lacrimavano sulla morte della poesia, soggiace questa volta nelle strettoie dello schematismo dello Hegel. Così la critica desanctisiana della Rivoluzio11e francese è tutta in chiave burkiano-hegeliana, in chiave storicistica: « la rivoluzione fu violenta, rapida, drammatica, e nelle sue convulsioni assoluta come la scienza, astratta come l'umanità. Cercando la libertà non nel limite, ma contro il limite, ruppe il limite, e non diede la libertà. Combattendo la superstizione spense negli uni il sentimento religioso, e provocò negli altri, come reazione, il fanatismo. Stabilì l'uguaglianza sociale giuridica, e produsse una disuguaglianza di fatto, sentita più acerbamente in quella contraddizione, e il frutto fu l'odio di classe, il più attivo dissolvente sociale ... Limite e libertà, indeboliti nella coscienza, logorati nell'attrito, non furono più 30 La scienza e la vita ( 1872), in Saggi Critici cit., III, p. 142, 155. 60 Bib iotecaginobianco
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