Nord e Sud - anno XVIII - n. 133 - gennaio 1971

I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Giulio Picciotti, Cattolici e comunisti - Enzo . ' Vellecco, Economiae Regioni - Sandro Petriccione, Progetti per la programmazio11e - Antonino de • Arcangelis, La mensa intelligente Giovanni Marongiu, La ''Cassa'' dopo le Regioni . . di Renato Balbi, Vittorio Barbati, e scritti Salvatore Casto rin a Calì, Ermanno Corsi, Girolamo . Cotroneo, Carlo Franco, Marco : Giardina, Michele Novielli. ANNO XVIII NUo·vA SERIE - GENNAIO 1971 - N. 133 (194) E D I z I ·ONI s e I E N T I F I e H E I T A L I A N E - N A p o L I Bibliotecaginobianco -

. ' Libi-erie pre11110. le quali è in vendita la rivista t BOLOGNA Libreria Feltrinelli P.zza Ravegnana, I Libreria Novissima Via Castiglione, I Libreria Parolini Via U. Bassi, 14 CAGLIARI Libreria Fratelli Dessl C.so Vitt. Emanuele, 30 CATANIA Libreria Castorina Via Etnea, 67 Libreria La Cultura P.zza Vitt. Emanuele, 9 C0RIGLIANO CALABRO Edicola Francesco Cosantino FERRARA Libreria T addei e.so Giovecca, I FIRENZE Libreria Rinascita Via L. Alamanni, 41 Libreria Marzocco Via de' Martelli, 22 r Libreria del Porcellino P.zza del Mercato Nuovo, 6-7 Libreria degli Alf ani Via degli Alfani, 84/ 96 r Libreria Feltrinelli Via Cavour, 12 LATINA Libreria Raimondo Via Eug. di Savoia, 6/10 MILANO Libreria Francesco Fiorati P .le Baracca, 1 o Libreria Sapere Via Mulino delle Armi, 12 Libreria S. Babila C.so Manforte,. 2 Libreria Internazionale Via Manzoni, 40 • • Bibi iotecag i rìobianco Libreria Popolare e.so Como, 6 Libreria Feltrinelli Via Manzoni, 12 MODENA Libreria Rinascita P.zza Matteotti, 20-21 NAPOLI Libreria Fausto Fiorentino Calata Trinità Maggiore Libreria Leonardo Via Giovanni Merliani, 118 Libreria Deperro Via dei Mille, 17/ 19 Libreria A. Guida & Figlio Via Port'Alba, 20/21 Libreria Fiorillo Via Costantinopoli, 76 Libreria Treves Via Roma, 249 Libreria Guida Mario P.zza dei Martiri, 70 Libreria Macchiaroli Via Carducci, 57 I 59 Libreria Minerva Via Ponte di Tappia, 5 PALERMO Ed. Lib. Curcuruto Caterina C.so Vitt. Emanuele, 174 Libreria Domino Via Roma, 226 Libreria S. F. Flaccovio Via R. Settimo, 37 Vincenzo Vittorietti Via · XX Settembre, 9 (agente per la Sicilia) PERUGIA Libreria Le Muse C.so Vannucci, 51 PISA Libreria Silvano Vallerini Lungarno Pacinotti, 6 r ROMA lldef onso De Miranda Via Crescenzio, 38 (agente per il Lazio) . . SIENA Libreria Bassi •. • I• Via di Città, 6/8 . TORINO Libreria Punto Rosso Via Amendola·, 5/D Libreria Paravia Via Garibaldi, 23 TRIESTE .. " r ' Libreria Eugenio Parovel . . .. ., . P .zza Borsa, 15 " VENEZIA Libreria Ouva S. Croce, 197 VERONA .,. .. Libreria Scipione Maffei Galleria Pellicciai,· 12 VIAREGGIO .,F • .. . J • Il . . , • I • Libreria Galleria del Libro V.le Margherita, 33 . · SO.VE.STA. f .. (Librerie di stazione) Asti Bari (1) Bari (3) Battipaglia . ,, Brescia (1) Foggia (2) Messina (1) Milano (1) I I ·' ... . . '"' Milano Centrale (5) Napoli Centrale ( 1) Napoli Centrale (2) Napoli Vesuviana (i) Palermo (1) . . Palermo (2) Pescara (2) Reggio Calabria Rpma Termini (I) Roma Termini (4) Roma Termini (5) Roma Termini (14) Roma Termini (25) Torino P. Susa

I NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XVIII - GENNAIO 1971 - N. 133 (194) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346 Una copia L. 600 -: Estero L. 900· - Abbonamenti: . Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Estero. annuale L. 6.000, semestrale L. 3.300 - Fascicolo arretrato L. 1.200- Annata arretrata L. 10.000- Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli -Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Giulio Picciotti Enzo Vellecco Sandro Petriccione Editoriale [3] Cattolici e comunisti [9] Economia e Regioni [22] Progetti per la programmazione [33] Le idee del tempo Girolamo Cotroneo La speranza nella provetta - La rivoluzione pedagogica [ 41] · Marco Giardina Michele Novielli S. Castorina Calì .Er1nan110 Corsi Giornale a più voci Acqua e risorse [ 48] La sesta Roma [52] - Razionalizzare l'agricoltura [59] La Carta della Campania [62] Argo1nenti Antonino de La 111,ensaintelligente [67 J Arcangelis Vittorio Barbati Politica della ricerca e programmi di promozione [75] Inchieste Carlo Franco Ospedali in Campania [89] Sandro Petriccione Giovanni Marongiu Renato Balbi Documenti I La «Cassa» negli ·anni settanta [102] La« Cassa» .dopo le Regioni [110] Droghe e drogati [119] \.

I Editoriale Si tratti di socialdemocratici, oggi militanti nel PSU, o di socialisti, oggi militanti nel PSI, non si può dimenticare che, all'indomani delle elezioni politiche del 19 n,z,aggio 1968, a mettere in crisi la 1naggioranza di centro-sinistra ed a determinare un diffuso senso di sfiducia nelle capacità di questa 1naggioranza ad ottemperare al mandato conferitole degli elettori, fu la trovata masochistica del « disimpegno » socialista Ne furono responsabili sia i tanassiani, oggi socialden1ocratici, che i den1artiniani, oggi ala sinistra della « nuova maggioranza » socialista. E se un grave errore può essere addebitato a Saragat, non si tratta degli errori, o delle colpe, che solitamente gli vanno addebitand·o socialisti e sinistre democristane, ma proprio del « disimpegno » che Saragat avrebbe approvato (a quanto allora si disse), se non addirittitra escogitato. Perché il « disimpegno» scatenò nell'ambiente socialista forze centrifztghe che poi non è stato più possibile controllare; e ne è derivata la sciagurata scissione del 1969 e l'instabilità politica che caratterizza qùesta legislatura repitbblicana. · . I responsabili socialdemocratici e socialisti del « disimpegno » so110 quindi i responsabili di una crisi che rischia di degenerare da crisi politica in crisi istititzionale. E mentre gli uni cercano di addebitare agli altri le colpe più gravi, e viceversa, va pur sempre ricordato, da ch,i non appartiene agli uni e non appartiene agli altri, che le colpe più gravi, per quanto rigitarda l'origine della crisi, sono così socialdemocratiche come socialiste, dal momerzto che la trovata del « disin1pegno » raccolse pieni consensi, .all'interno del partito· unificato, così sul versante di Tanassi come sul versante di De Martino. In un momento grave e difficile, come occasione di riparare ai danni provocati dal « disimpegno » prima e dalla scissione poi, sono qitindi venuti i risultati delle elezioni regionali ed amniinistrative del 7 giug1io 1970. C'era110, però, due interpretazioni possibili del voto espresso dal paese quando è stato chiamato a giudicare degli eventi segititi al « disimpegno » ed c_illascissione: l'interpretazione· in base alla quale quel voto aveva voluto esprimere un'indicqzione relativa alla stabilità del gover110, e quindi relativa alla coesione della maggioranza di centro-sinistra, come la sola niaggioran,za capace di gararitire la stabilità; e l'interpretazione 3 i bliotecag inobianco

Editoriale · in base alla quale, poiché il PSU aveva guadagn_ato voti nei confronti del PLI e della DC, grazie al costo pagato per l'invadenza di Donat Cattin, e poiché il PSI aveva guadagnato voti nei confronti del PSIUP, risultava compromessa la coesione della 1naggioranza di centro-sinistra, il PSU dovendo cercare nuovi voti sempre più a destra ed il PSI dovendo cercarli sempre più a sinistra. Secondo la prima interpretazione, cioè, il voto del paese era stato di riprovazione nei confronti del « disimpegno » e della scissione; second·o l'altra i,zterpretazione, poiché il voto del- !' elettorato socialista era stato più consistente sull'uno e sull'altro versante della sopravvenuta scissione, più consistente di quanto non lo fosse stato il voto del 1968 per il partito unificato, la scissione doveva ~ssere considerata conforme e corrispondente agli orientamenti di elettori che non si erano voluti riconoscere nell'unificazione. Fra le due interpretazioni, il PSU sembra essere rimasto esitante, ma il PSI ha scelto. la seconda, risolutamente. Sennonché, altrettanto risolutamente, ma contraddittoriamente, il PSI, dopo le elezioni del 7 giugno e la crisi provocata da Rumor, ha messo l'accento sul discorso della stabilità di governo, che resta un discorso astratto, o strumentale, se ad esso non corrisponde un discorso sulla coesione della maggioranza· e se vi corrisponde invece il discorso sugli « equilibri più avanzati » in termini di contrapposizione più o meno settaria al PSU. Fino a che punto, quindi, è stato disatteso il voto espresso dal paese il 7 giugno del 1970? Certo, il paese potrebbe essere oggi assai meno benevolmente orientato di quanto no11 lo fosse· prima del 7 giugno nei confronti dei partiti della maggioranza di centro-sinistra. Può darsi, infatti, che coloro i quali, alcuni mesi or sono, hanno votato per il PSI, e no11più, con1e nel 1968, per il PSIUP, siano soddisfatti della politica di De Martino e di Mancini; ma è certo che molti di coloro che il 7 giugno hanno votato per i partiti di centro-sinistra, e fra questi anche molti di coloro che ancora una volta hanno votato per il PSI, addebitano ora alla politica di De Martino e di Mancini l'aggravata instabilità politica che è seguita alla consultazione di giugno e che potrebbe comportare · non irrilevanti conseguenze econom.iche e sociali. Così che, se oggi dovesse aver litogo una nuova consultazione elettorale, l'irritazione degli elettori delusi potrebbe incidere sensibilmente sui risultati e tutti i partiti della n1aggioranza potrebbero risentirne, quale più e quale meno. Si può ipotizzare, tuttavia, che proprio il PSI potrebbe risentirne n1eno, grazie ad un ulteriore recupero di voti del PSIUP, mentre PSU, PRI e anche DC potrebbero essere penalizzati in varia misura a seconda del maggiore o minore grado di resistenza che avranno diYf1ostrato di saper opporre alla politica dei De Martino e dei Mancini. 4 Bibliotecaginobianco

Editoriale Come si vede, se siamo arrivati a questa divergenza di interessi elE-ttorali nell'an1bito della maggioranza, siamo arrivati anche e soprattutto in lln vicolo cieco: se ne deve uscire. Ed è possibile uscirne, soltanto se socialdemocratici da un lato e socialisti dall'altro sapranno e vorranno procedere ad un riesame approfondito delle conseguenze gravi che sono derivate dai loro errori: a partire dal tempo del « disimpegno ». A questo punto, al di là delle considerazioni relative alle responsabilità del PSI nell'avere scelto l'interpretazione per così dire centrifuga dei risultati elettorali del 7 giugno, c'è anche però un discorso più generale che dev'essere richiamato, precisato, approfondito e che investe i socialisti, più ancora che come responsabili di avere provocato ed aggravato la crisi della formula di centro-sinistra, come responsabili di avere provocato ed aggravato la crisi della solidarietà de111ocratica e dell'equilibrio politico fra la componente laica e la componente cattolica della solidarietà democratica. Ci si potrebbe domandare, infatti, se Mancini, quando afferma che la collocazione del PSU, e ormai anche del PRI, è a destra della DC, e che quindi non si possono realizzare « equilibri più avanzati », e veramente soddisfacenti per i socialisti, se non mediante l'estro1nissione del PSU e magari anche del PRI dalla maggioranza, non commette per certi aspetti, e sia pure inconsapevolmente, lo stesso errore che Malagodi ha commesso nel 1954-55. Naturalmente, questo errore, Malagodi lo ha commesso da destra e Mancini sembra volerlo commettere da sinistra; ma si tratta pur sempre di un errore derivante da una valutazione distorta dei termini in cui si pone storican1ente il problema centrale dell'equilibrio politico nel nostro paese. Questo problema, infatti, è in Italia un problema di equilibrio, nel~a solidarietà democratica, fra democratici laici e democratici cattolici: da qz,[esto equilibrio dipendono la possibilità e la capacità del partito di maggioranza relativa di non cedere alle pressioni o alle suggestioni dell'integralismo cattolico; così come da questo equilibrio dipendono la possibilità e ·la capacità dei partiti laici di promuovere le grandi riforme civili, prima ancora e più ancora di improvvisate o improvvisabili riforme sociali. Sbagliò, quindi, Malagodi, nel 1954-5~, ad enunciare il problema dell'equilibrio democratico in termini di contrapposizione fra « democrazia liberale » e « democrazia sociale » ( allora rappresentata, nell'arco della solidarietà de1:11ocratica,del PRI e del PSDI di Saragat, non essendo ancora disponibile il PSI di Nenni). E l'intelligente analisi condotta da Jacques Nobécourt sulla contrapposizione in Italia tra forze di democrazia sociale e forze di democrazia liberale (così come le altrettanto intelligenti sue considerazioni sul ruolo degli « illu5 • Bibl"ote_caginobianco -

Editoriale ministi ») dev'essere integrata da quest'altra ~nalisi -che alle deduzion,i politiche ricav~bili dalla constatata contrapposizione fra democrazia sociale e democrazia liberale intreccia le deduzioni politiche ricavabili dall'esigenza di assicurare l'equilibrio tra forze di democrazia laica e forze di democrazia cattolica. Questa nostra rivista denunciò allora con molta energia l'errore di fi.1alagodi: prevedemmo che ne sarebbe derivato un difficile periodo di instabilità politica e soprattittto un preoccupante indebolimento della componente laica nella solidarietà democratica, anch'essa indebolita di riflesso. E sulla base di questa valutazione, rifiutando, noi liberali, la contrapposizione di Malagodi, ci schierammo con il PRI e con il PSDI, contro il PLI e aperti al PSI. Fu, del resto,, proprio quella impostazione che Malagodi andò teorizzando del problema dell'equilibrio politico, che determinò l'irrimediabilità della crisi del centrismo degasperiano. E d'altra parte si andava precisando allora la tendenza del PSI a liberarsi dei suoi residui legami frontisti ed a rendersi disponibile per una politica di consolidamento ed espansione della democrazia: sicché era possibile intravedere effettivamente una soluzione più avanzata del problema dell'equilibrio politico con un rafforzamento della componente laica di questo equilibrio, vantaggiosamente compensando suita sinistra, con l'inserimento del PSI nell'arco della solidarietà democratica, l'incauto sbandamento del PLI sulla destra. È ora Mancini che imposta il problema dell'equilibrio democratico in termini di contrapposizione fra correnti po-litiche collocabili più a destra e correnti politiche collocabili più a sinistra della DC sulla base di itna valutazione che tiene conto soltanto del grado di socialità delle più o meno generiche e sommarie enunciazioni progra1nmatiche. E sembra ritenere, Mancini, che siano a destra della DC, e quindi da emarginare, o quanto meno da umiliare, proprio i due partiti che dai tempi di De Gaspeti in poi hanno continuativamente garantito non soltanto la solidarietà democratica, ma anche e soprattutto, nella solidarietà democratica, l'equilibrio politico fra democrazia laica e democrazia cattolica: quell'equilibrio che Malagodi non tenne in gran conto nel 1954-55 e che i De Martino ed i Mancini non tengono in gran conto oggi, 1na che ha costituito sempre l'antidoto dell'integralismo e perciò la preoccupazione dominante di De Gasperi, di Saragat, di La Malfa e poi anche di Nenni. Se è vero, d'altra parte, che l'errore di valutazione dei socialisti - di ritenere « più avanzato » un equilibrio politico segnato dalla prevalenza delle forze che mettono l'accento sulla «socialità» e sull'« operaismo» rispetto alle forze che mettono l'accento sul buongoverno economico e 6 Bibliotecagitiobianco

I Editoriale finanziario (come condizione a monte, naturalmente, delle riforme di struttura), anche se poi la componente laica della solidarietà democratica ne dovesse risultare indebolita rispetto alla componente ca"ttolica ed i cattolici democratici ne dovessero risultare indeboliti rispetto ai cattolici integralisti - somiglia all'errore di valutazione che fu commesso a suo tempo da Malagodi - di ritenere che si dovesse contrapporre una forza di « democrazia liberale » ad una forza di « democrazia sociale» - e pagato con la emarginazione del Pi! dalla prospettiva di un allargamento a sinistra dell'area della solidarietà democratica: se è vero questo, è anche vero che, in vista del centro-sinistra, si poteva lasciar perdere Malagodi, ma non si possono oggi lasciar perdere i socialisti. È indispensabile, cioè, ritrovare il filo di un discorso che conse11ta ai partiti laici del' centro-sinistra di riconoscere ciò che li unisce, al di là delle inimicizie personali e dei pregiitdizi ideologici che li dividono. Si tratta perciò di iscrivere il discorso sulle riforme sociali nel contesto di un più generale discorso sulle riforme civili e di innestare l'uno e l'altro al discorso condizionante della sicurezza economica e finanziaria, da un lato, ed al discorso non certo meno condizionante della sicurezza internazionale, dall'altro lato. Né si dica che questa è un'esortazione nella quale il desiderabile non può coincidere con il possibile. Dopotutto, se ci si sforza di pensare in termini storici ed in termini etico-politici, ciò che unisce Mancini e Tanassi potrebbe contare ancora assai più di quanto non conti non solo ciò che li divide, ma anche ciò che contingentemente può avere accomunato Mancini e Donat Cattin, o ciò che altrettanto contingentemente può avere accomunato Tanassi e Piccoli. È stllla base di qilesta valutazione in termini storici ed etico-politici della parentela che unisce i partiti di democrazia laica che i repubblicani avanzaro110 l'anno scorso la proposta di un patto di collaborazione fra questi partiti. Ma il PSI cominciava già a perdersi nella mitologia degli « equilibri più avanzati »! E poi, la scissione, con il suo carico di risenti1nenti, er<:1d-i ieri. Oggi si può d.ire che sia di avant'ieri. Ma i rapporti fra PSU e PSI continuano a peggiorare e si sono guastati anche quelli fra PSI e PRI. In realtà, il PSI è addirittura egemonizzato dalle sinistre cattoliche, interne e anche esterne alla DC: basti considerare l'impo·rtanza che De Martino, e più di lui i Bertoldi ed i Manca, attribuiscono :1.lla « scelta del campo socialista » enunciata dalle ACL/, dimostrando di non saper intendere che le ACL/, per quanto possono spostarsi socialmente a sinistra, sono sempre politicamente a destra, mentre i so·cialisti devono essere sempre e. comunque e soprattutto politicamente a sinistra, per un'Italia che, nella continuità della sua tradizione risorgimentale, 7 Bib~iotecaginobianco • • -

• Editoriale· sia sempre più europea e sempre meno mediter~anea: .sentpre più attratta nell'orbita dei grandi paesi industriali e non esposta al pericolo di regredire nell'orbita dei paesi sottosviluppati. C'è poi la contraddizione in base alla quale il PSI porta avanti contemporaneamente il discorso sulla stabilità politica che può essere assicurata soltanto dal centro-sinistra ed il discorso sugli « equilibri più avanzati » che devono essere realizzati con il superan1ento del centrosinistra: il primo discorso è ovviamente neutralizzato dal secondo. E anche in questo senso la politica dei socialisti è viziata da equivoci nebulosi, all'origine dei quali c'è un sinistrismo di n1aniera, e naturalmente la insofferenza per il PSU: ricambiata. Ecco: insofferenza del PSI per il PSU e del PSU per il PSI: c'è chi tende a creare le condizioni di un superamento dell'una e dell'altra e chi tende ad esasperare l'una e l'altra. Noi siamo fra i primi, consapevoli che da questa reciproca insofferenza possono ricavare vantaggi, più ancora e prima ancora dei comunisti, gli integralisti cattolici; e che comunque è proprio questa reciproca insofferenza a minare ed a compromettere l'equilibrio politico· fra laici e cattolici: la condizione, cioè, della sicurezza democratica nel nostro paese . 8 Bibliotecagino i. co

Cattolici e • • comun1st1 di · Giulio Picciotti Se si guarda a quanto è stato scritto da parte laico-liberale sul dialogo tra cattolici e comunisti, si ha l'impressione che, tranne poche eccezioni, gli avvenimenti che si sono svolti dall'Ottocento ai primi sessant'anni del Novecento abbiano fatto schermo ad una comprensione più profonda del problema. Molti laici sembrano fare ancora riferin1ento alla Chiesa che difendeva come irrinunciabili pochi ettari di terra intorno a Roma, o alla Chiesa degli anni più recenti, che aveva come suo principale problema quello di condizionare, attraverso il voto dei cattolici, il governo del paese in cui la Sede apostolica ha il suo territorio. Non è detto che nella politica vaticana verso l'Italia non vi sia, ancora oggi, questo; ma, dopo i due momenti del Concilio e del pontificato di Paolo VI, tale aspetto ha assunto una assoluta marginalità rispetto a quella che è la nuova strategia della Chiesa, oggi veramente ecumenica. L'Italia in questo quadro è solo un piccolo paese; anche l'Europa è solo una piccola Europa. Il dialogo, allora, tra cattolici e comunisti in Italia e, a volere, tra cattolici e comunisti in Francia - vedi la recente intervista di Marchais a « La Croix » - ossia negli unici due paesi europei che hanno grossi partiti comunisti, è del tutto marginale, anzi è di ostacolo alla vasta strategia perseguita dalla Chiesa, poiché il « dialogo » vi si inserisce inadeguatamente, intempestivamente e con caratteri di troppo scoperto e immediato strumentalismo politico. Basta avere una visione ampia del significato del Vaticano II e del pontificato di Paolo VI per comprendere come la Chiesa cattolica sia giunta oggi ad una riconsiderazione della propria storia, rispetto alla quale i precedenti schemi interpretativi elaborati q.al mondo laico risultano del tutto inadeguati. Interpretando il breve pontificato giovanneo, si è sostenuto, da parte dei cattolici ecclesiologicamente « più avanzati », che siamo alla fine q.ell'era costantiniana, e questo sotto lo slancio di una rinnovata spiritualità. Ma una simile asserzione non è suffragata da alcun atto politico o diplomatico della Santa Sede, la quale viceversa ha proseguito nella linea di difendere i Concordati già esi9 - Bib~~otecaginobianco

Giulio Picciotti ste11ti e di ottenerne di nuovi nei paesi in cui. la cosa diviene possibile. Altro è, allora, la riscoperta di un entusiasmo r1uovo dei cattolici per la Cristianità dei primi tre secoli, altro l'analisi delle tendenze effettive sulle quali si è avviata la Chiesa col pontificato di Paolo VI. E illusorio sarebbe, oltreché sbagliato, ritenere che tutta la storia della Cristianità si divida in due soli periodi: quello che va dall'anno zero al 313 e quello che va dal 313 al 1962, cioè al Vaticano II; la storia della Chiesa è più complessa, non si posson0 accettare semplificazioni così elementari. La storia della Chiesa supera quella dei singoli pontificati, i cui apporti vengono amalgamati in una continuità cui la Chiesa non può rinunciare, e cui non rinuncia, pur disponendosi al futuro. Vorremmo ricordarlo a quei cattolici che vedono nel Vaticano II un nuovo anno zero, dopo una lunga parentesi di « secoli bui »; richiamandoci ad un concetto crociano, possiamo dire che la storia della Chiesa ci appartiene tutta e per intero. Perciò va ricordato che, dopo Costantino, l'Impero ro1nano non resse a lungo (e non certo a causa del1' abbraccio della Chiesa) e che, nel momento dello sfaldamento dell'Impero romano - quando la Chiesa ritenne di non essere più garantita da alcuna alleanza, ed i barbari arrivavano fino a Roma - la Chiesa « aprì » ai barbari. Fu un clamoroso voltafaccia, a11zi, come la chiameremmo adesso, una clamorosa « apertura a sinistra». Così la libertà dovette rifugiarsi sulle isole della laguna veneta e in pochi territori dell'esarcato bizantino. · Fece bene o fece male Gregorio Magno ad aprire ai barbari? Lo storico non può porsi questo problema. Quello che può rilevare è che la Chiesa ottenne la conversione « di coloro che sono lontani », e che, alla fine, quanto era vitale dei valori civili - la cultura romana e quella bizantina - prevalsero. Ma Gregorio Magno, nel momento in cui si alleava con i barbari, aveva forse come sua principale preoccupazione la cultura, la_ tradizione, la legislazione, si preoccupava forse dei politici che erano stati fino allora dalla sua parte? Non ritenne - giustamente, crediamo - che la tutela di questi valori e di queste forze fosse suo compito. Egli doveva unicamente garantire la sopravvivenza e la possibilità di espansione della· Chiesa. Che poi la Chiesa avesse assorbito elementi di cultura romana, e che pertanto li avrebbe salvati dallo sfacelo generale, non poteva essere che un fatto marginale rispetto al problema centrale che egli doveva affrontare. E analogo fu l'atteggiamento di Stefano II quando, contro i Longobardi, si legò ai Franchi. Ora, il criterio di giudizio sulle scelte della Chiesa non può non 10 Bibliotecaginobi n.co

Cattolici e comunisti te11er conto in primo luogo dei fini che le sono propri; fini diversi da quelli perseguiti dalla politica. Nel volume che contiene il corso di Storia della Chiesa moderna tenuto dal gesuita Giacomo Martina nell'anno accademico 1968-69, presso la Facoltà di teologia della Università Gregoriana a Roma, si rileva come molte « ambiguità » 11ei rapporti tra la Chiesa e il potere politico siano da ricondursi appunto alla diversità che passa tra i fini della Chiesa e i fini politici: tra i primi, dominante è quello della conservazione dell'istituto. Secondo questa interpretazione, dunque, la Chiesa non ha mai inteso giocare se stessa, la propria sopravvivenza, su piani che non siano suoi propri, cioè non ha mai inquadrato questi livelli di valore in una scala in cui al gradino più alto corrispondesse, come gradino di base, quello costituito dai valori civili e politici, e nella quale, come vorrebbero alcuni teologi avanzati di oggi, quale ad esempio Bonhofer, la libertà politica fosse ritenuta premessa insostituibile della libertà religiosa, ordinata al fine della libertà della salvezza. « Nel complesso - scrive Martina - il pensiero cristiano dei primi secoli ha oscillato fra i due poli opposti: se gli apologisti difendono la libertà di coscienza, soprattutto quando il potere imperiale minaccia la Chiesa, prima o dopo il 313, altri invocano l'appoggio del braccio secolare non solo per l'amministrazione ten1porale dello stato cristiano, ma per la repressione dell'eresia. Appare fin d'allora l'ambiguità che verrà in seguito rimproverata spesso ai pensatori cristiani, di volere la libertà quando sono in minoranza, di negarla agli altri quando hanno conquistato la maggioranza » 1 • Martina respinge come troppo sbrigativo il giudizio del giurista cattolico P. A. D'Avack che definisce l'appoggio statale avuto dalla Chiesa nel passato « quanto di più . dannoso e pericoloso potesse capitare alla Chiesa »,poiché« ebbe su di lei ... una profonda infiuenza corruttrice quanto mai nefasta » 2 , e che in linea con questo giudizio sostiene l'inutilità per la Chiesa, nella realtà italiana di oggi, della sopravvivenza del Concordato. Lo scrittore gesuita concorda invece con H. Jedin, secondo il quale il procedere della Chiesa è stato uno « sviluppo condizionato dalla situazione storica ... che ha avuto le sue gravi zone d'ombra, ma che ha reso possibile dei successi, che solo con difficoltà si sarebbero potuti raggiungere altrimenti » 3 • Illuminanti sono le osservazioni di Martina circa l'atteggiai GIACOMO MARTINA, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberalisn10, del totalitarismo, Morcelliana, 1970. . 2 P. A. D'AVACK, Il problema storico-giuridico della libertà religiosa, Ro1na 1966. pp. 29-30. 3 H. JEDIN, La storia della Chiesa è teologia e storia, Milano 1968, p. 12. 11 Bib·lio ecaginobianco

Giulio Picciotti mento della Chiesa verso il totalitarismo: ~< nel periodo napoleonico, la Chiesa segtlì successivamente un atteggiamento opposto: tentò dapprima un accordo (concordato del 1801, incoronazione del 1804), poi davanti all'accentuarsi della dittatura e dell'imperialismo, scelse coraggiosamente la lotta (scomunica di chi aveva usurpato il potere temporale, prigionia di Pio VII). La Chiesa uscì dalla tempesta con un rinnovato prestigio ». E quando vennero fascismo e nazismo, « con il nuovo totalitarismo, superiore a quello napoleonico per la teoria e per la prassi », la Chiesa « ripeté un analogo comportamento. Da una parte, Roma mostrò una certa acquiescenza davanti alla situazione di fatto, tentò di salvare il salvabile, argirtando il totalitarismo con strumenti giuridici di effetto incerto e di indubbio prestigio per le dittature, a costo di sacrificare forze ad essa fedeli e di chiara ispirazione cristiana». Ma poi, col nazismo avvenne che « quando la persecuzione minacciò direttamente la fedeltà dei cattolici alla Chiesa, la fede prevalse su ogni altro sentimento ». Sempre secondo la linea giustificazionista di Martina, « i te11tativi di accordo (con i regimi totalitari) costituisc_ono o dovrebbero costituire la trincea da cui parte la resistenza successiva, non sono fine a se stessi; la lotta a sua volta non è mai l'ideale della Chiesa, conscia della debolezza delle masse e risoliLta ad evitare al possibile la domanda di eroismi superiore alla media, fedele in ultima analisi alla sua natura di popolo immenso e non di piccolo gregge di eletti. In questa luce, i di1e momenti costituiscono ·una dialettica in continua tensione verso la sintesi superiore » 4 • Martina difende qt1indi l'alterità del metro del giudizio della Chiesa rispetto ai principi su cui va misurata l'azione politica: « Il giudizio (sulla condotta della Chiesa), come si è osservato a proposito del Concordato italiano del 1929, dipende essenzialmente dai presupposti ecclesiologici e religiosi da cui si parte: in ogni caso si deve riconoscere che questa scelta è tutt'altro che nitova, e corrisponde a quella operata nell'evo antico fra Ippolito e Callisto, nel medioevo fra gli spirituali estremisti e i moderati, nell'età moderna fra Giansenio e Alfonso de' Liguori ». Comunque, conclude Martina, il giudizio sull'operato della Chiesa deve partire dalla « intima essenza » di questa, che è una « società che ha natura e fini sostanzial1nente diversi da quelli dello Stato » 5 • Pertanto, secondo il pensiero di Martina (suffragato da tutta l'azione diplomatica del pontificato di Paolo VI), niente autorizza 4 GIACOMO MARTINA, Op. cit., pp. 752-753. 5 GIACOMO MARTINA, Op. cit., p. 754. 12 Bibiiotecag inobian.co

. Cattolici e comunisti a pensare che l'epoca « garantistica» dei Concordati, che taluni cattolici « avanzati» considerano come propria dell'era costantiniana, sia oggi superata. Altro aspetto di cui si deve tener conto è la nuova linea di espansione della Chiesa, messa in evidenza dai viaggi di Paolo VI; viaggi che, per la scelta e per il tipo di messaggio portato, hanno finito per caratterizzare l'attuale pontificato. Per usare un'immagine che non vuol essere irriverente, Paolo VI è sembrato più preocpato di propagandare la sigla commerciale che non di perfezionare la linea di fabbricazione ed il prodotto. Cioè nel momento in cui dagli episcopati più avanzati venivano richieste profonde riforme per attuare le premesse che, ad avviso di quegli episcopati, erano contenute nei decreti del Vaticano II, Paolo VI ha lanciato una operazione promozionale su tutt'altro piano. È stata una scelta precisa, in cui da un lato si è teso ad affermare l'universalità della Chiesa cattolica (viaggio all'ONU e all'OIT di Ginevra), dall'altro si è teso ad affermare la presenza della Chiesa nei continenti extra europei (viaggi in India, America Latina, Turchia, Uganda e più recentemente il viaggio in Asia, « alle porte della Cina »). È stata una scelta che ha soltanto un sig11ificato interno alla Chiesa, oppure ha a che vedere anche con il giudizio che la Chiesa dà dei suoi rapporti con le nazioni, i gruppi di paesi, i regimi in essi presenti? Noi crediamo cl1e il significato della scelta sia questo: la Chiesa tende a « separare le sue responsabilità » nei confronti dell'area di più avanzata civilizzazione euro-nordamericana. Tutto il tema del dialogo assume una linea nuova, se è posto in questa prospettiva, che investe la problematica storica del nostro tempo. Il Concilio Vaticano II e le Encicliche seguenti, infatti, hanno portato ad una revisione nei confronti del comunismo, senza peraltro minimamente intaccare il giudizio negativo espresso fin dal lontano 1800 dalla Chiesa nei confronti del capitalismo e dello spirito liberale di radici illuministiche; anzi, la condanna del capitalismo e della sua forma attuale, il neocapitalismo, è stata più volte ripetuta. Questa condanna del capitalismo anch'essa ha una spiegazione che ci sembra individuabile. Nel momento in cui il destarsi della coscienza libertaria e democratica delle !Ilasse preme per una modifica delle strutture e dei rapporti esistenti e mette sotto accusa le servitù spirituali e quelle socio-economiche, la Chiesa si è trovata a dover operare una scelta interpretativa, a decidere, cioè, se considerare le prime come causa delle seconde,. o viceversa. Nel primo 13 .-Bibliotecaginobianco

Giulio Picciotti caso la Chiesa avrebbe accolto la spiegazione. weberiana della nascita del capitalismo, considerando cioè lo sviluppo economico come portato di fattori etico-religiosi, nell'altro avrebbe indicato nei rapporti economici i responsabili dell'arretramento spirituale e religioso delle masse: in altri termini i rapporti economici avrebbero, per usare un termine analogico da Feuerbach, alienato le !Il-asse rispetto alla religione cattolica. La Chiesa ha scelto una terza strada, e si è trovata a dover fare i conti con Marx. Vale la pena citare ancora Martina: « Si è in genere d'accordo nell'ammettere un in- -flusso del protestantesimo sul capitalismo, anche se si discute sulla natura di questo in-flusso. Secondo Weber e Troeltsch, l'insistenza con cui Calvino ha sottolineato la missione affidata ai singoli, ha portato i suoi fedeli a lavorare con tiLtte le loro energie nel campo loro affidato, persitasi che questo f asse il loro dovere; nello stesso tempo la severa ascesi calvinista proibiva ogni godimento super-fluo, e limitando i consumi favoriva l'accumularsi dei capitali. Altri, come A. Fanfani, hanno ammesso che lo spirito capitalistico è in irreducibile antitesi con il cattolicesimo, se per capitalismo si intende non il prevalere del capitale sul lavoro, ma quello spirito che fa del · lucro il fine ultimo dell'uomo, che separa nettamente l'economia dalla morale e considera solo la funzione individuale della proprietà, e hanno aggiunto che in una età perfettamente cattolica il progresso tecnico non avrebbe avuto gli incenti11i ricevuti dal sistema capitalistico ... Sia vera la tesi del w e·ber o quella del Fanf a11i, si può forse· am111ettere che, mentre il cattolicesimo ha cercato di incanalare la vita economica dentro gli argini morali, favorendo l'armonia tra le diverse classi e difendendo le classi me110 abbienti, il protestantesimo ha tolto ogni freno all'attività economica, incoraggiando il predominio dei ricchi. Giustame11te Marx ha defi11ito il protestantesimo religione essenzialmente borghese, la vera espressione della forma di produzione Clf-pitalistica. Sarà questo successivan-zente il terreno più favorevole àlla nascita ed allo sviluppo - del liberalismo dell'Ottocento che per altra via g-iungerà alle stesse conclusioni: la natilra spinge gli uomini a persegui.re il proprio interesse, chi segue l'impulso 11aturale sarà coronato dal successo; la povertà e la miseria sono un mezzo necessario per la felicità degli eletti, dei ricchi; i poveri sono perciò stesso peccatori, reietti e puniti da Dio. Siamo ancora una volta agli a11tipodi del Messaggio evangelico, che Lutero voleva salvare » 6 • Ma facendo i conti con 6 GIACOMO MARTINA, Op. cit., pp. 129-130. 14 Bibliotecaginob·.anco

I Cattolici e comunisti Marx la Chiesa, come vedremo, si sarebbe necessariamente trovata a scontrarsi con la « alienazione », che riguardava la religione cattolica in quanto religione ( « oppio dei popoli ») 7 • . Peraltro l'avversione al capitalismo si lega radicalmente all'avversione allo spirito liberale; un'avversione,. quest'ultima, comprensibile se ci si pone dal punto di vista della teologia della Chiesa cattolica, il cui spirito di tolleranza non può includere la tolleranza dell'errore, perché la Chiesa è depositaria di una sua verità ( tolleranza· può esservi verso l'errante, ed è una conquista recente). Il pluralismo liberale si fonda su una logica completamente diversa: nessuno è depositario della verità. Poi c'è tutta la tradizione storica: la Chiesa cattolica si trova tradizionalmente più a suo agio, occorre riconoscerlo, di fronte a ideologie non problematiche, ed accusa ancora oggi lo spirito liberale di indifferentismo religioso. Pure, basta pensare all'ultimo Croce e alla sua « religione della libertà», per vedere quanto quest'accusa non abbia base. La storia passata della Chiesa ne condiziona il presente. La Chiesa è abituata da secoli (e il periodo che va dal 1850 al 1900, dominato essenzialmente da preoccupazioni italiane, può essere considerato, per il suo ristretto spazio, una parentesi) a guardare soprattutto ai grandi contrasti storici su scala mondiale (cioè nel mondo che conta e prevalenten1ente conterà) e a giocare in essi la propria conservazione e la propria espansione. Le epoche di Gregorio Magno, di Leone III, di Paolo V, di Urbano VIII, l'epoca delle grandi penetrazioni missionarie ( tra cui va ricordata, e non è un ricordo accidentale, la presenza dei gesuiti in Cina) sono ancora oggi punti di riferimento storico per la Chiesa cattolica: essa ama inserirsi nelle grandi lotte, nella prospettiva di una propria più ampia azione futura. Ora, l'unico grande confro11to che i cattolici sembrano vedere in questo momento è la contrapposizione tra paesi capitalisti e paesi in via di sviluppo, e in questa contrapposizione essi riconoscono soltanto due idee-forza; la propria, da un lato, e il socialismo marxista dall'altro, oscillando tra una impostazione concor- · renziale, che ha prevalso fino al Vaticano II (la « dottrina sociale della Chiesa ») e l'impostazione successiva, che punta sulla originalità e autonomia dei valori religiosi. 7 REINHAR'f SEEGER in Contributi teologici, Halle 1953, riassunto da HELMUT GOLLWITZER in La critica marxista della religione e della fede cristiana, Morcelliana, Brescia 1970, ricostruisce l'origine della similitudine di Marx contestandone l'originalità e facendone risalire l'origine a vari testi scritti nell'atmosfera idealistico· romantica del primo trentennio dell'800. 15 Bibl"òtecaginobia· co

Giulio Picciotti Spesso le due tendenze coesistono con~raddittoriamente. Nel citato volume di Martina, a proposito dell'apporto del marxismo alle trasformazioni sociali, si riscontra la prima linea interpretativa: « È doveroso però riconoscere che se i cattolici non sono rimasti alla nascita di un nuovo ordine sociale f andato su una migliore comprensione della dignità della persona umana, essi ·si sono mossi in ritardo, e per un complesso di inibizioni non hanno saputo trarre dalla loro fede la carica pacifica e insieme rivoluzionaria che il marxismo ha derivato dalla coscienza di rappresentare gli interessi dei proletari oppressi e della solidarietà di classe. Il socialismo, non il cristianesimo, è stato la forza decisiva nella conquista di una migliore giustizia sociale. E proprio per questo il progresso economico-sociale ha significato un itlteriore distacco fra Chiesa cattolica e mondo moderno ». Nelle conclusioni, poi, Martina sostiene per la Chiesa « l'intima essenza di una società che ha natura e fini diversi da quelli dello Stato » per cui non può esservi uno Stato cristiano contrapposto ad uno Stato marxista, così come non può esservi u11apolitica dettata dalla religione. Quello che ci sembra significativo è il fatto che tanto i sostenitori dell'una tendenza, quanto i sostenitori dell'altra, non parlino ormai quasi più di correnti di pensiero diverse da quella marxista. Cioè il « dialogo », sia che rimanga a livello teorico, sia che si immetta, come nelle correnti « aperturistiche », più direttamente nel politico, esclude comunque l'apporto del pènsiero laico-liberale: proprio quelle correnti che hanno nel loro bagaglio storico e culturale il dialogo, in una concezione pluralistica degli apporti; basti ricordare la Filosofia del dialogo di Guido Calogero 8 • La cosa è stata notata da un cattolico moderato come Augusto del Noce, il quale, in polemica con l'aperturismo politico di altri cattolici, scrive che questi ultimi scoprono « oggi l'idea di una morale autonoma, i cui principi sarebbero comuni ai cristiani e agli atei; e 110n è soltanto, fra i teologi di oggi, il Girardi a farlo. È, · esattamente, la tesi sostenuta dai radicali negli ultimi decenni del secolo scorso, collegata fra l'altro, all'idea della scuola laica e religiosamente neiLtrale. Non significa, neanche allora, una negazione diretta della religione: era l'asserzione che 'possia1no farne a meno'. La scienza autonoma dalla religione; l'arte autonoma dalla religione; la politica autonoma dalla religione; e, infine, la stessa morale autonoma dalla religione; e ognuna di queste attività tanto più pura in s GUIDOCALOGERO, Filosofia del dialogo, Comunità, 1962. 16 Bibl iotecag irio bi a neo

I Cattolici e comunisti quanto ' autonoma '. Che soprassalto devono provare, nelle loro tombe, questi vecchi uo1nini, quando vedono le loro tesi riscoper_te in nome dello ' spirito del Concilio ', mentre erano state abbandonate dai loro colleghi laici! Indubbiamente la storia di oggi ha degli aspetti divertenti: ecco infatti i comunisti strappati da un prete ai loro manuali e inviati a scuola dai prof essori radicali di morale autonoma, per essere messi in grado di esprimersi chiaramente! » 9 • Qual è il fine del « dialogo » con i comunisti? Già nel suo sorgere il · « dialogo » manifestò di considerare marginali i valori di libertà e di den1ocrazia, mentre rivolgeva tutta l'attenzione a stabilire la considerazione del fenomeno religioso da parte di un marxismo aggiornato con i tempi. Nella prefazione a Il dialogo alla prova, che fu il primo libro in Italia a riportare un confronto diretto cattolici-marxisti, Mario Gozzini, definendo « le condizioni di fondo per i comunisti e i cattolici perché il dialogo possa veramente procedere, perché cioè l'amicizia di domani cominci a diventare meno astratta e ingenua utopia, meno risicato e impossibile disegno », poneva come « prima e fondamentale condizione il passaggio esplicito e generale, senza reticenze né riserve (per quanto riguarda i comunisti) da una visione del marxismo come sistema universale, definito e perfetto, esclusivo ed egemonico, di interpretazione della realtà e di intervento su di essa, a una visione relativizzata, come semplice punto di vista metodologico di indagine dei rapporti umani quali storicamente si configurano e si modificano, destinato a produrre contenuti operativi anche molto diversi fra loro » 10 • In pratica si chiedeva ai comunisti di considerare la loro scelta come una « scelta di lotta storica, non già una scelta metafisica ». Di conseguenza Gozzini chiedeva ai comunisti la riconsiderazione del giudizio sulla religione come alienazione, « distinguendo più chiaramente fra alienazione di carattere metafisico (l'uomo che riconosce in Dio il suo Signore) . e alienazione di carattere storico (l'uomo che viene sfruttato facendo leva sulla sua sottomissione a Dio). È la mancanza di distinzione che ha determinato le generalizzazioni di Marx e dei suoi epigoni sulla religione come sovrastrut:.. tura intrinsecamente antiumanistica; ... Ecco, allora, che la demitizzazione del marxisn10 deve portare a riconoscere la sperimentata 'progressività ' della fede religiosa come· qualcosa non di casuale o 9 AUGUSTO DEL NocE, Insegnamenti di uno strano dialogo, Il Mulino, settembreottobre 1970. 10 MARIO GozzINI, Il dialogo alla prova, Vallecchi, 1.964, p. 40. 17 Bibiiotecag inobianco -

Giulio Picciotti di episodico ma anzi di più intimamente concreto ..In altri termini, si combatta pure contro certi contenuti storici della religione che la possono rendere ( e in effetti la resero) strumento di alienazione sociale, politica, economica, culturale; ma si abbia chiara la distanza che passa fra questo aspetto ' secondario ' della religione ·e la religione in se stessa » 11 • · Nel 1965 ci fu l'incontro di Salisburgo, che vide l'intervento di Roger Garaudy, poi pubblicato nel volume Dall'anatema al dialogo, in cui il filosofo marxista (che sarà poi espulso nel '69 dal partito comunista francese per la sua condanna della repressione sovietica in Cecoslovacchia), sulla base degli scritti giovanili di Marx accade alla tesi che « non si può trattare della religione unicamente in termini di alienazione », e riprendendo una frase di Lenin ( « i cristiani del IV secolo quando il loro culto è diventato religione di Stato hanno perso lo spirito rivoluzionario democratico del cristianesimo primitivo ») sostiene che il fatto che dopo il Concilio tra i cattolici il « polo apocalittico riguadagni terreno sul polo costantiniano » rende possibile il dialogo con i comunisti. Tranquillizzando i cattolici, Garaudy affermava che « lo spirito stesso del marxismo è essenzialmente una metodologia dell'iniziativa storica » 12 • Ma la la discussione in campo comunista su questi termini è tutt'altro che conclusa: il filosofo marxista jugoslavo Vranicki ha negato che il marxismo si possa avvicinare ad un comunismo generico di visione escatologica: « il comunismo in quanto fine escatologico o in qz,1,anto concezione escatologica rappresenta una concezione estranea al marxismq » 13 • Da ricordare le dure polemiche tra Garat1dy e l'altro filosofo marxista francese Louis Althusser. In sostanza, tutto il « dialogo » svoltosi fino ad oggi tra comunisti e cattolici, sia in Italia che fuori, ha dimostrato come i problemi che più interessano la Chiesa non abbiano trovato una soluzione soddisfacente per la Chiesa stessa: il dialogo ha dimostrato più la cedevolezza da parte dei cattolici che una revisione, da parte marxista, dei punti centrali che interessano la Chiesa. Tutto quello che si è avuto da parte comunista è stata la ripetizione, ormai piuttosto monotona, della « mano tesa » (ricordiamo Togliatti) ai cattolici e alla DC, considerata ancora oggi (nonostante la revisione dell'atteggiamento dell'episcopato italiano) il partito dei cattolici, per una politica in comune. 18 11 MARIO GozZINI, Op. cit., p. 44. 12 RoGER GARAUDY, Dall'anatema al dialogo, Que_riniana, 1969. 13 Citato nella pref. a GARAUDY, op.cit. Bibliotecaginobianco

Cattolici e comunisti , Ora, perché è importante rilevare la scelta operata dalla Chiesa col pontificato di Paolo VI? La Chiesa oggi, come appare da. molti segni, mostra di ritenere che quella che noi definiamo civiltà occidentale non avrebbe più che scarse possibilità di svolgere un ruolo determinante, e che la storia si starebbe ormai spostando dalla parte dei popoli che si affacciano ora sulla scena mondiale. Rispetto a questi popoli, la civiltà occidentale, dilaniata politicamente al suo interno, sarebbe incapace di esprimere idee-forza nuove, sarebbe un po' nella condizione dell'Impero romano della decadenza; e ciò perché la logica dello sviluppo economico si mostra incapace di coinvolgere le popolazioni che premono alle frontiere dello sviluppo stesso. La Chiesa guarda perciò ai « barbari », secondo l'espressione di Teilhard De Chardin, nella convinzione che con questi essa debba fare i conti domani, e tende a scindere le proprie responsabilità da quelle dei paesi capitalistici, con i qu.ali è vissuta finora a stretto contatto. Ma rispetto a questo terzo 111ondo che si affaccia sulla scena la Chiesa non ha ancora disinnescato le potenzialità esplosive che essa stessa ravvisa nella dottrina marxista, non è cioè ancora in grado di evitare che l'espansione di un comunismo ateo nel terzo mondo pregiudichi le proprie possibilità di espansione e il proprio disegno. L'azione diplomatica cl1e la Santa Sede sta perseguendo nei cònfronti di tutti i paesi a regime comunista, ivi compresa la Cina, è un momento di questa vasta strategia. Alla base del suo disegno starebbe il riconoscimento di una con1une spinta del cattolicesimo e del marxismo alla valorizzazione dell'uomo (si parla oggi infatti di umanesimo marxista e di umanesimo cristiano), differe1ìziata peraltro nei due momenti dell'essere: quello dell'essere per la terra, e quello per l'essere per la terra nella prospettiva del cielo. Finora 1~ critica più dura al fenomeno religioso nella sua globalità è venuta dal post-hegelisn10 di sinistra, che attraverso Feuerbacl1 aveva so_stenuto la religione come alienazione, cioè come trasposizione su un piano illusorio del contrasto tra le aspirazioni dell'uomo e la sua condizione; non per nulla uno dei temi cattolici di questi ultimi anni è l'alienazione provocata dal capitalismo. Uria volta raggiu11to il riconoscimento di rispettivi autonomi ruoli, i C?ttolici si troverebbero ad essere assolti dall'acct1sa di copertura ideologica 4ell'alienazione capitalistica, mentre tutte le criticl1e mosse a quest'ultima si riverser~bbero sull'assetto capitalistico della società. In questo modo i cattolici avrebbero facilitato l'ingresso presso i popoli del terzo mondo, che fip.ora hanno considerato 19 Bibliotecaginobianco

Giulio Picciotti « occidentale » il Vaticano non solo per la sµa collocazione geografica, ma anche per quella politica. · In questa prospettiva, il dialogo cattolici-comunisti in Italia, così come è stato inteso finora da certi cattolici di sinistra e da talune correnti della Democrazia Cristiana, quale presupposto di una alleanza anche di governo, esce fuori dal quadro, poiché realizzerebbe un incontro compromissorio in una condizione di economia capitalistica. Un simile incontro non darebbe il senso della frattura tra religione cattolica e regimi capitalistici, che poi è il senso che la Chiesa intende rendere più evidente in questo momento, e tutto lo dimostra, proprio per garantirsi una più ampia espansione nel terzo mondo. Pensare pertanto che la Chiesa voglia giocare velocemente se stessa in Italia, nella politica italiana, le cui fortune o disgrazie assumerebbero un valore esemplare per il resto del mondo (oltre al terzo mondo, non dimentichiamolo, c'è anche il vecchio mondo, che non è tutto composto dalle avanguardie aperturistiche del cattolicesimo, delle quali si parla molto) favorendo un accordo « conciliare » tra comunisti e cattolici, sarebbe miopia politica e · non conoscenza né della Chiesa né della sua storia. Il Vaticano - è questa la nostra opinione - non ha alcun interesse immediato in Italia al dialogo conciliare; ciò non vuol dire, peraltro, che la Chiesa italiana non debba tener conto degli svolgimenti della politica del paese nel quale esercita la sua presenza. Ed è qui la responsabilità dei laici. « C'è u11a crisi di stanchezza in tutti i partiti democratici » 14 - scriveva Spadolini nel 1968 nell'articolo di fondo che apriva la sua direzione al « Corriere della Sera ». Quella « crisi di stanchezza» si è oggi accresciuta a dismisura dopo le vicende in campo socialista, dopo le due crisi di governo del '70, mentre la « corsa al Quirinale·», la quale coinvolge i partiti che, al governo e all'opposizione, hanno per le loro dimensioni le maggiori responsabilità, condiziona la politica italiana: la DC, il PSI e il PCI. « Solo per i laici, per quelli veri, Parigi non vale mai una messa», ha ammonito, inascoltato, Spadolini 15 (Parigi non vale sempre una messa, aveva affermato Croce al Senato nel '29, opponendosi al Concordato). Parigi è questa volta il Quirinale, ed è noto quali contrapposte candidature vi siano nella DC, portate dalle diverse correnti. Ma quello che appare deludente è il fatto che a questa corsa al « Quiri20 14 GIOVANNI SPADOLINI, Il Tevere più largo, Longanesi, 1970, pp. 307 e seg. 15 GIOVANNI SPADOLINI, Op. cit., p. 327. Bibiiotecag inobianco

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