Nord e Sud - anno XVII - n. 130 - ottobre 1970

Francesco Con1pagna zione di meridionalisti. Ma, per quantò riguarda la grande questione · del rapporto fra centralismo amministrativo e modo di gestire il o iorno, le cose so:i;ioassai-mentre-ambiate za di uan non ossa sem rare c I SI erma a considerare soltanto le modificazioni che sono In erv nute nelle forme della vita civile e della lotta politica. E difatti, fra gli uomini politici che considerano la Regione come una ricetta (anzi, la ricetta), pure ve ne sono che partono dalla giusta co11siderazione che il centralismo burocratico-amministrativo ha sempre coperto, e addirittura protetto, le vecchie classi dirige11ti che nel Mezzogiorno esercitano il potere senza saperlo e senza volerlo gestire efficacemente nell'interesse di tutti. Questi uomini politici, quindi, ritengono che il Mezzogiorno abbia tutto da guadagnare nel momento in cui « arrivano » le Regioni. Ma la Regione non ha consentito in Sicilia di passare dal tradizionale malgoverno all'auspicato buongoverno! Né i fatti di Pescara, e più ancora quelli di Reggio Calabria, autorizzano una diagnosi rassicurante per quanto riguarda la buona disposizione dei locali ceti dirigenti a cogliere l'occasione che le Regioni dovrebbero rappresentare per il Mezzogiorno! Se poi si considerano i Consigli regionali del Mezzogiorno nella loro composizione, non si può dire che già dalla provenienza e dalla qualificazione degli eletti del 7 giugno risulti che gli « uomini nuovi » siano tanti e tali da preannunciare la formazione, grazie alle Regioni, di una nuova classe dirigente, più capace di quella tradizionale di sentire e servire gli interessi generali. La classe dirigente tradizionale del M.ezzogiorno ha compromesso alla periferia, facendola degenerare in senso clientelistico, l'attuazione delle buone decisioni adottate del centro quando sono state adottate (Cassa, riforma agraria, credito industriale, per esempio): e se gli eletti del 7 giugno nei Consigli regionali del Mezzogiorno fossero ancora e prevalentemente esponenti dei tradizionali ceti dirigenti, reclutati fra coloro che non hanno trovato spazio a livello parlamentare o che sono riusciti a farsi promuovere dai livelli comunali e provinciali al 11uovo livello regionale? E se gli « uomini nuovi» di cui si è auspicato l'avvento, nei Consigli regionali, fossero in prevalenza quelli maturati nel clima della partitocrazia e della correntocrazia, moderni per la loro capacità di manovrare tra i problemi di schieramento, ma non per la loro capacità di sentire e servire gli interessi generali, di modificare i dati storici della questione meridionale? Sono domande cl1e i meridionalisti devono porsi, pur non escludendo affatto che l'esperienza dei Consigli regionali, come già quella dei CRPE, possa con20 Bibliotecaginobianco

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