Nord e Sud - anno XVII - n. 128-129 - ago.-set. 1970

.. Saraceno e la politica economica nel dopoguerra di certi miti; il ruolo sempre maggiore che lo Stato andrà assumendo nell'economia. Questa larga ed esatta visione dello Stato e dell'avvenire dell'economia è venuta in lui ~ a me sembra - così precocemente a maturazione per avere egli direttamente partecipato a tre processi essenziali e ben definibili. Solo Saraceno potrà dirci se questa mia analisi coglie nel segno. Anzitutto la sua rigorosa attività scientifica è stata - come è noto - centrata sin dall'inizio sull'analisi economica ed organizzativa della moderna inìpresa industriale. Di consegt1enza egli è stato subito portato a co11siderare i problen1i economici generali allo stesso modo, ossia, in ultima analisi, come problemi di organizzazione e di efficienza funzionale. In secondo luogo egli ha direttamente vissuto, giovanissimo - accanto a Menichella e agli altri che la fronteggiarono -, l'esperienza della crisi bancaria e industriale degli anni tre11ta e della formazio11e dell'IRI, ossia una delle esperienze economiche più importanti e moderne che l'Italia abbia avuto. In terzo luogo, fors'anche in conseguenza di quella esperienza, oltre che per la naturale spinta della sua specifica attività scientifica, Saraceno è stato tra i primi a prendere diretta conoscenza degli sviluppi nuovi che la scienza economica maturò appunto in connessione e in conseguenza della grande depressione. Di conseguenza egli si è trovato tra i primi a guardar lontano e a rappresentarsi in prospettiva storica la futura evoluzione del paese nel quadro di una economia internazionale altamente industrializzata. In conseguenza di questa triplice caratteristica della sua formazione, Saraceno non condivide alcuno dei miti che altri economisti hanno, a lungo, coltivato. Non ha, anzitutto, il mito agrarista, non perché - come sembra dire Barucci - egli avesse in antipatia l'agricoltura, ma sen1plicemente per la sua precisa coscienza che il mondo moderno è domi11ato dall'industria e non si attarda nella lenta evoluzione e nei limiti propri dell'agricoltura. Non ha, poi, mai condiviso il mito liberista, che ha anzi sistematicarnente con1battuto, proprio perché, cosciente che l'economia sarà sempre più industrializzata, sa anche che,· come tale, essa è e sarà sempre più condizionata - come è detto in uno dei primi saggi del volume - dal peso crescente del lavoro organizzato sindacalmente, dall'accrescimento delle dimensioni delle imprese e quindi da inevitabili svilt1ppi 1nono ed oligopolistici, oltre che dal crescente intervento dello Stato. Libero· da miti egli è, quindi, portato a considerare la program45 ·Bibliòtecaginobianco --

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