/ Giornale a più voci Ora, p•roprio per questo, il pro1 blema non è affatto quello di controllare per mezzo di ipotetiche « gestioni di utenti >> i canali di informazione: il che poi è un modo subdolo di porre la questione, perché con esso, in ultima analisi, si lascia inalterato il p·rincipio che l'informazione debba partire da alcuni centri, anche se opportunamente controllati, e non si riafferma invece il principio della pluralità, della molteplicità dei centri di informazione. Inoltre, anche in tal caso, anche con un « collettivo » preposto alla diffusione delle notizie, queste arriverebbero con1unque mediate al pubblico, in quanto una forma p·articolare, anche se opportunistica, di « censura » o « autocensura» ideologica e politica, quale quella attuale del proprietario o del diretto,re del giornale, sarebbe sostituita con un'altra forma di censura che non è detto affatto debba essere migliore. Ecco perché ci pare che per una sua più esatta formulazione, il problema vada spostato dai termini, .anche Sie, come abbiamo detto, reali, da cui esso è nato: proprio perché nella sua genesi originaria esso nasce da un errore, l'errore di credere nella possibilità dell'informazio-ne « obiettiva ». Questo dell'obiettività è un vecchio mito, di origine positivistica, che pretendeva di trasporre quella che allora si riteneva fo,sse l'esattezza dell'informazione scientifica nel campo della co·noscenza storica. Ora, questo antico errore è stato demolito non solo dalla cultura filosofica e sto,rica posteriore al positivismo, ma persino dalla scienza moderna (come fa fede a proposito il libro di uno scienziato, Felice Ippolito, La natura e la storia), che non esita a riconoscere l'influenza dell'osservatore sul fenomeno osservato: e se questo è oirmai accettato dagli scienziati ( « l'elettrone - ha scritto Heisenberg - non è tanto un oggetto 1 in sé, quanto la dichiarazione di ciò che conosciamo di lui ») a maggior ragione dovrà essere accettato da chi opera e cerca di conoscere nel campo non già del certo, ma del possibile, quale è quello delle azio1 ni umane. E se si tiene saldo questo principio, la discussione sull'ob~ettività giornalistica finirà col perdere gran parte del suo contenuto polemico: perché in ultima analisi il giornalista è uno sto·rico sui generis: e come lo storico fa da mediatore fra noi ed un passato più o meno remoto, così il giornalista fa da mediatore fra il lettore ed un passato (perché non può dare infor.mazioni che sull'accaduto) sia pure recentissimo, magari solo di ore. Ora, come la recente critica storica ha dimostrato, e nonostante gli attuali rigurgiti « obiettivistici », uno storico assolutamente obiettivo non esiste, perché i suoi convincimenti, le sue passioni di uomo, la sua cultura, i suoi gusti influiscono sem·pre sugli avvenimenti che narra, o· meglio ancora sul suo modo di narrare gli avvenimenti, i quali vengono comunque riferiti in una certa chiave (anche se questo no,n significa affatto che sia « falso»); e così accade, lo si voglia o non, per il giornalista, che è « di parte » anche quando non è condizionato né dalla proprietà, né dalla direzione del suo giornale: per cui il letto•re di giornali (com·e del resto il lettore di lib·ri di storia) non p•uò f1are la sua scelta che fra due o più diversi modi di raccontare un fatto, perché anche al più « obiettivo » dei giornalisti basta una particolare aggettivazio-ne o 63 Bibl-iotecaginobianco
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