Nord e Sud - anno XVI - n. 113 - maggio 1969

Note della Redazione e perché, essendo fallita la politica meridionalista, non si può pretendere che lo sviluppo del Mezzogiorno sia altra cosa che un'ipotesi subordinata allo sviluppo del Nord, e comunque non si può pretendere che i grandi gruppi privati vadano oltre un certo limite, fissato di volta in volta da questi stessi gruppi, nell'assumere impegni per l'industrializzazione del Mezzogiorno, ammesso e non. concesso che di industrializzazione vera e propria si possa parlare, e sognare, quando forse assai più realistico sarebbe impostare una cauta politica di promozione dell'agricoltura accompagnata da qitalche audacia, più o meno speculativa, in materia di valorizzazione turistica. Comunque sia, la sonznzossa di Battipaglia non autorizza affatto a riproporre le tesi disfattiste sullo sviluppo del Mezzogiorno. Molto opportunamente, su « l'Espresso», Eugenio Scalfari ha ricordato gli aspetti positivi e negati-vi del bilancio che presenta oggi la politica meridionalista. Aspetti positivi: tra il 1950 ed il 1968 il reddito per abitante è passato nel Mezzogiorno da 230.000 lire annue a 600.000, con un tasso di aumento superiore al 5%; la forza di lavoro agricola, dal 55% della totale forza di lavoro, si è ridotta al 340/o; i posti di lavoro nelle attività extraagricole sono au1nentati da 2,5 ad oltre 4 milioni ed i consumi privati sono arrivati ad un livello pari al 78% rispetto alla rnedia nazionale. Aspetti negativi: il reddito per abitante, pur essendosi quasi triplicato rispetto al '51, risulta meno della metà rispetto a quello delle regioni di più antica e più densa industrializzazione; l'agricoltura rappresenta ancora il 20% del reddito totale prodotto nel Mezzogiorno, n1entre nel Centro-Nord rappresenta meno del 10%; l'apporto del Mezzogiorno alla produzione industriale del paese non è che del 17% e quasi 2 1nilioni di lavoratori nieridionali sono partiti per destinazioni cisalpine o transalpine. Ma, come lo stesso Scalfari avverte, il raffronto delle cifre positive con quelle negative non consente di « stabilire quale sia il risultato finale». È importante piuttosto valutare co·me la politica dell'industrializzazione avesse preso un certo slancio negli ultimi anni del cosiddetto « miracolo economico » e conie questo slancio sia venuto meno dopo il 1968 e non abbia più trovato adeguati impulsi quando nel '66-67 si è avuta in Italia una ripresa degli investin1enti. Il rapporto fra gli investimenti industriali nel Mezzogiorno ed il totale degli investimenti industriali riferito a tutto il paese era del 18,5% nel 1961; è salito al 22,2% nel 1962, al 26,2% nel 1963, al 30,63/o nel 1964 ( sono gli ann,i di Taranto, Gela, Ferrandina, Sparanise, Caserta, Casoria, Pescara, Bari, Brindisi, Salerno, ecc.) per poi cominciare a scendere: 28% nel 1905, 22,2(}/o nel 1966 e soltanto 23,3% nel 1967. Ora già queste percentuali inducono a ritenere che il discorso non va portato sul fallimento della politica meridionalista, ma, come noi abbiamo insistentemente scritto, dal 1964 in poi, sull'affievolirnento della politica meridionalista. E naturalmente è molto centrata un'altra osservazione di Scalfari: le direttrici dell'industrializzazione sono state essenzialmente quella della grandissima impresa, siderurgica o petrolchùnica, « con un'intensità di capitale altissima, scarsa 1nano d'opera e pochi effetti moltiplicativi», e 47 Bibiiotecaginobianco

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