I Giornale a più voci dell'epoca, dei letterati del re e della corte; e per venire ai gio,rni nostri, fra gli scrittori sovietici sono Pasternak e Solzenitsyn quelli che leggiamo più volentieri, e non per motivi di anticomunismo viscerale, ma perché essi introducono elen1enti nuovi ed originali nella cultura stagnante e scontata voluta dal regime; e lo stesso potrebbe dirsi per gli intellettuali esuli di Spagna o ·di Grecia e così via. Rifiutare perciò sprezzanten1ente la cosiddetta cultura tradizionale significa non rendersi conto proprio di questo: che quello che di essa ci è rimasto e che leggian10 e studiamo è proprio ciò che ha avuto una fu,nzione di rottura, ch1 e è nato non da astratto accademismo o da acquiescenza ai potenti, ma da un impegno civile, etico e politico, e che ha spezzato quella ten,denza alla stabilizzazione che inevitabilmente tutte le istituzioni, compres~ quelle culturali, mirano a creare. Naturalmente, a questo punto, la questione da cui abbiamo preso l'avvio sembra complicarsi, in quanto l'esigenza di negare quella cultura stagnante che esiste oggi in Italia, e della quale ha cos1 lucidamente parlato Matteucci, verrebbe ad essere legittimata. Perciò su questo problema è necessario un ulteriore chiarimento. Vi è una legge sociologica per la quale tutte le istituzioni sono sempre uno o più passi indietro rispetto alla realtà sociale e politica di un paese. E le istituzioni scolastiche sfuggono forse meno di tutte le altre a questo principio: e pur se lasciamo stare il caso n1acroscopico della scuola italiana, dove uno studente che ha terminato gli studi liceali non ha quasi mai sentito parlare, almeno in classe, non diciamo di Husserl, Heidegger o di Sartre, ma spesso neppure di Croce; non ha mai sentito parlare di Alvaro, di Silone o di Moravia e spesso neppure di Pirandello, per non dire poi che non sa quasi mai chi siano Thomas Mann, Kafka o Joyce; ma pur ]asciando da parte questo caso macroscopico, dicevamo, è comunque inevitabile e diremmo, anche se questo potrà sembrare un'eresia, addirittura giustificato il fatto che la scuola si limiti a trasmettere ciò che è ormai universalmente consolidato come valido, anche per impedire il malvezzo di correre dietro a mode culturali spesso destinate e durare il classico « espace d'un matin »; e del resto le fonti di informazione oggi sono tali e tante da permett 1 ere a chiunque abbia interessi, di venire a conoscenza di tutte le presenze culturali del mondo contempo,raneo. E da questo punto di vista potrebbe an'Che avere ragione Eugenio Montale, il quale in una intervista comparsa ìl 26 gennaio scorso su « L'Espresso » ha dichiarato che le scuole non servono: è un'atfermazione (almeno dal punto di vista dal quale la intendiamo noi, che non deve necessariamente coincidere con quello di Montale) solo apparentemente paradossale, in quanto dovrebbe servire a sfatare il mito, a cui oggi viene dato tanto credito, di una scuola non più dispensatrice, ma produttrice essa stessa di cultura. Ma la produzione culturale è solo e semplicemente un fatto individuale: la scuola, la migliore scuola del mondo, potrà offrire solo una base culturale generica; ed è qui che ha veramente ragione Montale nel ritenere che gli ingegni che contano non si sono· svegliati sui banchi della scuola, come provano, per citare esempi ·a noi vicinissimi, lo stesso Montale, Quasimodo, Moravia, per 71 Bibiiotecaginobianco
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