Nord e Sud - anno XV - n. 108 - dicembre 1968

Dino Cofranc~co \ scende gli individui, in quanto s'identific~ con l'Uman.itài, che è in tutti e in nessuno in modo particolare - tutte conclusioni inaccettabili per un catto,lico! -; ma: è anche vero che ciò che ormai dovrebbe interessare è il conferimento all'attività individuale e sociale di una te~sio 1 ne metafisica (che sia d'impronta crociana o spiritualistica in quest'ambito di discorso non interessa) volta a sottrarre l'operare umano nel mondo ad un esito scettico e relativistico, concludente alla mera e acritica accettazione del dato (che è poi la din1ensione negativa dell'illumini,smo evi,denziata nella critica di Adorno alla filosofie scientistiche e strutturalistiche!). · In tal caso però la validità della proposta del Ghio può ricevere una verifica solo sul piano etico1 e ideologico e non su quello dei tematismi puri - come egli stesso non potrebbe non consentire. Ed allora, in base a quali considerazioni vien fuori la rivalutazione - sia pure relativa - di Gioberti, figura non certo ·di grande statura nella filosofia risorgimentale, e si p·arla di una « filosofia cristiana, capace di accogliere in sé le istanze più vali.de del pensiero moderno e disposta a mettere coraggiosamente alla pro·va su questo terreno, la propria validità»? (pag. 435). Certamente, oggi ci sono molti studiosi cattolici che svolgono un utile lavoro di ricerca storica nel campo degli studi filosofici (e la stessa « Grande Antologia» ce ne dà molti e ragguardevoli esempi!), ma quale grande pensatore ha veramente risposto in modo adeguato al pensiero moderno, cioè non all'interno di tma critica storica, importante e originale quanto si vuole, ma all'interno di un ripensamento profondo e geniale di tutto l'illuminismo storico e contemporaneo., nelle sue istanze più valide? E se, platonicamente, la filosofia si vede dai suoi frutti, i pochi tentativi operati in questa direzione che risultato hanno avuto in quel che riguarda un nuovo atteggiamento nei confronti della storia e ·dell'etica e della politica, ai fini della costruzione di una realtà diversa? Abbastanza sovente, anzi, i filosofi italiani, ·dal dopoguerra ad oggi, hanno accettato il « dato esistente » e, lungi dall'indicare prospettive concrete per un suo, sia pure realistico trascendimento•, hanno ripiegato su p·osizioni politiche reazionarie, abbastanza esplicite nelle contumelie di un Carmelo Ottaviano. E il ri·sultato, a tutt'oggi, è che almeno in litalia gli studiosi cattolici più seri, in ciò che hanno ,di valido, non possono affatto dirsi cattolici, ma semmai interessati a istanze metafisiche, caratteristiche non solo dei cattolici, ma di ciascun pensatore che senta la dimensione religiosa e trascend·ente del pensare e del fare (v. ad es. Verra, Mathieu ed altri); mentre quelli, nei quali il cattolicesimo traspare evidente, proprio in questo non hann<? più alcuna attualità e sonò pedagogicamente sterili. Certo, si può sempre ritenere che la religione sia un fatto individuale e non sociale (cosa peraltro discussa e non solo dai preti sudamericani, ma anche -dai teologi olandesi, tedeschi, francesi) e che pertanto l'etica collettiva, i comportamenti politici, gli -atteggiamenti ideologici - la storia, insomma! - non debbano riguardarla che in scarsa misura, ma allora perché riproporre un Vico o un Leibniz 116 --- Bibiiotecaginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==