Dino Frescobaldi dere al passo di un'amministrazione quanto più agile ed efficiente possibile. La tendenza che si contrappone a quella concezi~ne reclama invece per l'Europa il « salto qualitativo », il passaggio ad un secondo tempo. Si chiede, anche come garanzia di quanto è stato già fatto, un « ritorno alle origini, cioè alle finalità veramente politiche ». Se no•n si fanno passi avanti, si osserva, corrian10 anche il rischio di mettere in pericolo i risultati già ottenuti. Sul Mercato comune pesa la minaccia dei « soprassalti di protezionismo ». Chi parla così cita a conferma i recenti provvedimenti del governo di Parigi e la maniera come sono stati comunicati agli altri soci. Per completare l'unificazione economica dell'Europa, per colmare i grandi spazi vuoti e i pro.fondi fossati, che l'operrazione del 1° luglio ha lasciato nell'integrazione tra i sei, occorre una spinta politica. Il punto della irreversibilità non è stato affatto superato dal momento che il lavoro della commissione può essere praticamente bloccato in ogni istante dalla volontà di uno dei partners. Fin quando non ci sarà sovranazionalità non ci sarà irreversibilità: questa in poche parole la conclusione da trarre. Anche le difficoltà tecniche, i cozzi d'interessi particolaristici s'ingrandiscono e si acuiscono quando si sa che è sempre ·a disposizione la strada del veto, del ritiro sull'Aventino. Il veto che blocca tutto, la « man- - canza di unanimità » che paralizza l'azione sono le armi per fare di ogni piccolo ostacolo un incaglio insuperabile. Uno dei commissari, l'ambasciatore Guido Colonna di Paliano, definisce il nazionalismo quel « brivido nella schiena » che i soci possono sentire davanti al cattivo esempio di uno di loro e cl1e fa pensare « quello che hai fatto tu lo posso fare anch'io ». Per lottare appunto contro questi « brividi nella schiena », questi ritorni all'irragionevole l'Europa avrebbe bisogno di un grande rilancio ora che l'integrazione è scesa sul terreno degli interessi e dei problemi sempre più concreti. L'arresto sulle attuali posizioni vorrebbe dire la rinuncia a impostar,e i problemi che ·la seconda rivoluzione industriale po11e al nostro continente. Lo sviluppo dell'industria a tecnologia avanzata presuppone gara11zie di ordinativi che solo gli Stati possono dare ai privati. E solo piani di vasto respiro evidenteìnente fa11no al caso. In altre parole è necessario che i governi si mettano d'accordo per stabilire gli « indirizzi di sviluppo ». Non si è fatto niente. Ed è logico, purtroppo; per arrivare a quel livello dj coordiname11to in u11 settore che avrà sempre maggiore potere di condizionamento sugli Stati occorrerebbe fin d'ora un'intesa basata su una solidarietà politica irreversibile. Mancando questa, si perde del tempo. I grandi progetti in coml1ne sono stati per forza messi da 14 Bibli·otecaGino Bianco
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