' Rece11sioni L'A., che giovanissimo ha partecipato, al seguito dell'on. Gaetano Martino, ai lavori della Conferenza di Messina del 1955 e da a11ora a tutti gli sviluppi successivi dell'integrazione europea, riesce a far penetrare, come pochissimi, nei meccanismi comunitari senza mai cadere negli eccessi di quel linguaggio cripto-europeo che caratterizza tanta letteratura in materia comunitaria. Pur fervente europeista, Vi•nci non esita a mettere a nudo la fragilità dell'edificio comun'itario e le stesse insufficienze del Parlamento europeo. Di particolare interesse a nostro avviso l'introduzione, nella quale l'A., rifuggendo dal «manierismo» accademico, mette in luce esattamente le caratteristiche peculiari e differenziali dell'esperienza comunitaria nei confronti delle altre realizzazioni europee ed in genere delle altre forme di cooperazione internazionale. Vinci respinge giustamente un « incasellamento » obbligato delle Comunità e nota che le difficoltà i,ncontrate dalla letteratura in questo senso « derivano dalla p,retesa esigenza di collocare in schemi per loro natura statici istituti che viceversa sono ancora in fase dinamica» (op. cit. p. 30). E jn questa « prospettiva dinamica delle sue strutture» (loc. cit.) consiste l'origininalità dell'ordinamento comunitario. Ed è in questa « terza dimensione del diritto pubblico che s1 ta a mezza strada fra il diritto internazionale (della cooperazione) ed il diritto statuale (costituzionale, di una federazione)>> (p. 24) che Vinci inserisce l'istituzione parlamentare delle Comunità Europee. Come ques,te anch'essa trova il st10 tratto più originale nella « capacità di produrre ed assumere competenze ulteriori proprio in forza dello sviluppo progressivo dell'integrazione » (p. 31). Se fin qui s1 iamo pro11ti a sottoscrivere le affermazioni di Vinci, ce ne discostiamo laddove egli sembra si lasci prendere un po' da un facile ottimismo - cor,retto, peraltro, nelle affermazioni conclusive - sostenendo che, pur con le sue im,perfezioni, la Comunità « consente al processo unitario dell'Europa di orientarsi in senso democratico e con il con·senso dei popoli» (p. 33). Non che noi intendiamo minimizzare la potenzialità di partecipazione democratica propria della Con1unità, ma non accettiamo una interpretazione troppo letterale dell'ordrinamento comunitario. Il p,roblema cessa di essere strettamente giuridico e diviene politico. L'elemento di dissenso con Vinci risiede nel fatto che egli da un lato non ha approfondito sufficientemente gli aspetti aberranti di certi procedimenti giuridici che tendono a sminuire la portata del diritto europeo, direttamente applicabile negli stati memb,ri (ci riferiamo in particolare alle deleghe legislative al governo, in uso in Italia, e che sono inconcepibili nei confro 1nti dei regolamenti comunitari, strumenti giuridici in sé perfetti) e dall'altro ha minimizzato la scarsa rappresentatività del Parlamento europeo che è lungi dal rappresentare, anche nella forma indiretta attuale, e stando ai termini dei Trattati, i popoli dei sei paesi. Non vogliamo insistere su quella che per noi italiani è u,na nota molto dolente e rinviamo all'esposizione esauriente fattane da Elena Bubba nella « Revue du Marché commun » (A propos de la désignation .des membres du Parle1nent Européen par les Parlements natio117 Biblioteca Gino Bianco
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