Nord e Sud - anno XV - n. 103 - luglio 1968

.. I Il Medio Oriente un anno dopo assegnatogli dall'ONU, il problema dei profughi ebrei dei paesi arabi, non si vede perché gli arabi non debbano fare altrettanto con i loro profughi, e ciò per tre valide ragioni: 1) perché esistono le condizioni affinché l'assorbimento - fermo restando per Israele l'obbligo di risarcire i profughi per i beni perduti - avvenga nei paesi in cui i rifugiati si trovano e nel cui contesto economico e sociale si vanno sempre più integrando; 2) perché sarebbe moralmente preferibile per gli stessi esuli stabilirsi in paesi « fratelli » piuttosto che tornare in un paese che la propaganda araba ha insegnato ad odiare; 3) per la sic11rezza stessa di Israele, dal momento che i profughi arabi, tornando in massa, costituirebbero un'autentica quinta colonna del nazionalismo arabo in terra ebrea. La libera navigabilità dei mari. - Su questo argomento non vi è molto da dire: i fatti sono noti. Dopo la nazionalizzazione del canale di Suez del 1956, Nasser ha sempre ritenuto il canale una proprietà egiziana da poter aprire o chiudere a suo piacimento. Le « chiusure » di Nasser, sono, invece, atti arbitrari che violano il regime giuridico internazionale vigente per il canale di Suez; e, precisamente, quello stabilito dalla Convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888. Questa Convenzione, all'art. 1 dice: « Il Canale marittimo di Suez sarà sempre libero e aperto, in tempo di guerra come in tempo di pace, ad o,gni nave mercantile o da guerra, senza distinzione di bandiera. In conseguenza, le altre parti contraenti co11.vengono di non turbare in nessun modo il libero uso del Canale, in tempo di guerra come di pace. Il Canale non sarà mai so,ggetto all'esercizio del diritto di blocco ». L'Egitto, pur non essendo tra i firmatari della convenzione, si è pi11 volte impegnato per bocca di Nasser, ad attenersi alle norme della convenzione stessa; ma già due volte le ha violate nel giro di 11 anni con le chiusure del '56 e dello scorso anno, e, comunque, le ha sempre violate per quanto riguarda la libertà di transito « ad ogni nave mercantile o da guerra, senza distinzione di bandiera » vietandone l'uso alle navi israeliane; e questo in aperto contra•sto anche con le numerose risoluzio·ni dell'ONU miranti a consentire ad Israele il traffico attraverso il Canale. L'altro « mare » attraverso il quale gli israeliani pretendono la sicurezza di navigabilità è il Golfo di Aqaba, il cui blocco è stato il primo atto della guerra dei sei giorni. Il Golfo di Aqaba costituisce l'unico sbocco di Israele sul Mar Rosso, ma il suo ingresso è dominato dalla fortezza egiziana di Shram-elSheik. Qui i fondali sono molto bassi e la· navigazione deve procedere quasi a ridosso della costa egiziana e, quindi, a portata di tiro dei cannoni egiziani. 83 BibliotecaGino Bianco

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