Nord e Sud - anno XV - n. 103 - luglio 1968

Franco Scaglia e Eduardo de Filippo. Vada naturalmente per Eduardo, ma Diego Fabbri? Ora molti narratori si sono improvvisamente convertiti. Con Moravia in testa. Tutti a scrivere commedie, o d'avanguardia o tradizionali, sull'onda dello straniamento, della crudeltà, della disumanizzazione. Ma le nuove commedie odorano di stantio, tra queste commedie e le brutte commedie di Diego Fabbri corre poco spazio. I nostri auto·ri nuovi si affannano· a raccontarci assimilazioni e sviluppi da Brecht, Artaud, Grotowski, il Living, ma viene a pensare che siano racconti molto favolistici e non altro. Allora in Italia nessuno sa scrivere per il teatro? « ... In effetti per poter lavorare su un testo in condizioni ideali bisogna considerare morto l'auto,re ... », dichiara Luchino Visconti. Il fatto è che, se da una parte gli scrittori si mettono a scrivere per il teatro, dall'altra pensano che comporre un testo sia possibile a tavolino, come un romanzo. Ma scrivere per il teatro significa vivere il palcoscenico, soffrirlo, conoscerlo perfettamente dapprima per poi magari sconvolgerlo. Brecht e Artaud, per esempio. Da noi no•n avviene. E non avviene nemmeno il dialogo continuo tra autore e regista, se le dichiarazioni di Visconti hanno qualche valo·re. E lui almeno parla chiaro! Molti registi invitano i giovani scrittori a compromettersi di più. Compromettersi su che? Per che cosa? Con quali basi? Su una tradizione che manca, perché mancano le adeguate strutture ad esprimerla? Non si può invocare o aspettare l'arrivo di un Osborne, perché Osborne esce da una tradizione teatrale, oppure rompe una tradizione teatrale. , Ma agisce in un contesto esistente. Per cui l'invito agli scrittori di scrivere per il teatro mi sembra assurdo. Invece ci dovrebbe essere un altro genere di invito: lavorare tutti insieme e modificare le strutture, e dopo, all'interno di nuove strutture, produrre. Altrimenti il lavoro diventa lavo,ro· fine a sé stesso, senza soluzioni, inutile. Scrive Dacia Maraini « ... il teatro è prima e soprattutto un fatto sociale. Il teatro vive soltanto nel momento in cui diventa spettacolo, cioè in cui tutti gli elementi necessari p_er la sua realizzazio•ne (testo, recitazione, regia, luci, scenografie, pubblico) sono messi in rapporto fra di loro, direttamente. Nel momento cioè in cui si fa spettacolo, non prima ... forse in Italia siamo ancora fermi a Pirandello, e prima di raggiungere il misticismo e il ritualismo teatrale che riesce naturale in America, dobbiamo fare l'esperienza della decadenza della parola, della morte della logic·a, della putrefazio·ne del tempo teatrale, del disfacimento dei personaggi ... ». La realtà è che non basta « compromettersi », come vorrebbe de 102 BibliotecaGino Bianco

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