Nord e Sud - anno XIII - n. 80 - agosto 1966

Vgo Sepe Passagli giurisprudenza e scienze politiche, alle facoltà di lettere e di magistero, estremamente rari, tanto da potersi dire irrilevanti, quelli nel senso opposto; e dai libretti presentati agli esami si vede subito come quei medesimi studenti che ai primi esami di ingegneria, scienze, chimica, medicina avevano riportato diciotto e diciannove o erano stati respinti, appena passati a lettere o a magistero riportano votazioni superiori di almeno otto o nove punti e quasi mai vengono bocciati. Tutti casi di vocazioni sbagliate e felicen1ente e subito raddrizzate? Tutta colpa della differenza di materie? Lasciamo stare ... Lasciamo stare e torniamo, invece, alle relazioni da cui abbiamo preso le mosse. Se la com1nissione del concorso di italiano e storia negli istituti magistrali si chiedeva peregrinamente come avessero fatto a laurearsi i candidati presentatisi al suo giudizio, un'altra commissione afferma con bella perentorietà che, « se circa il 40% dei candidati di un concorso a cattedre non riesce a raggiungere un livello di sufficienza, è ovvio che ciò debba attribuirsi non solo ad essi, ma all'attuale organizzazione didattica». Ecco: tutto questo è veramente molto itaZ.-:ano e anche molto bello. Si scopre una magagna, e subito se ne individua anche il responsabile, che è - naturalmente - lo stato, la società, anzi: le strutture. Le persone sono fuori causa. I professori che giudicano ai concorsi dimenticano di essere spesso gli stessi professori che sono relatori di laurea ed esaminatori nelle università. Quanto agli studenti, chi oserebbe fare loro una tiratina d'orecchi? Sarebbe terribilmente reazionario. Lo studente è, per definizione, innocente. Egli va sempre «compreso» e maternamente (proprio così: maternamente) protetto. Si pensi che, prima di sostenere un esame, egli ha aspettato magari per tre o quattro ore. È naturale che, dopo una così severa prova della vita, egli giunga all'esa-· me estenuato, soffra di amnesia, non possa controllarsi, etc. E sembra poi una fatalità, ma il fatto è che gli esami si sostengono, nella maggior parte dei casi, dopo un periodo di disagi o di disavvent,ure familiari, alle quali sarebbe una vera tragedia se seguisse non diciamo una bocciatura, ma un voto basso in un esame di letteratura italiana o di storia o di filosofia morale. Il voto basso (molto meno la bocciatura) è concepibile solo nelle lingue straniere, nelle quali l'incapacità di esprimersi finisce col convincere anche il candidato più restio. E non è un caso che la media degli esami di lingue e la media generale degli studenti delle facoltà e dei corsi di laurea in lingua sia rilevantemente più bassa di quella degli esami di altre materie letterarie e della media generale degli studenti di lettere e di magistero (ma i felici ordinamenti italiani lasciano poi che ad insegnare lingue nelle scuole secondarie vadano anche i laureati in giurisprudenza, che non sostennero nell'università alcun esame di lingua straniera e la cui preparazione in inglese o in francese risale ai problematici rudimenti appresi nei lontani anni della scuola media inferiore ...). Vogliamo, allora, parlare anche di queste cose, quando parliamo di riforma dell'università italiana? Vogliamo dire agli studenti che la preparazione di vasti e impegnativi corsi istituzionali è un loro preciso dovere e, ancor più, un loro preciso interesse, assai prima di quanto lo possa essere la tanto 64 BibliotecaGino Bianco

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