Nord e Sud - anno XIII - n. 80 - agosto 1966

Augusto Graziani Affrontare la ripresa senza disporre di una politica anticongiunturale e continuare, come per il passato, dando una strizzata quando l'inflazione galoppa, e attendendo fidenti la ripresa: quando le acque si sono calmate, deliberando interventi classici e attuando una politica involontariamente keynesiana, sarebbe estremamente pericoloso. Se, per una volta, la sorte è stata benigna e ha fatto coincidere la depressione all'interno con una fase di vigorosa espansione all'estero, non è detto che fortune simili debbano ripetersi regolarmente in avvenire. Se una nuova depressione si presentasse e il sostegno delle esportazioni dovesse simultaneamente venir meno, l'economia italiana, priva di una politica congiunturale, non sarebbe in grado di fronteggiarla. Lo sviluppo economico italiano è stato oggetto di serie critiche nel passato, a causa di alcuni gravi squilibri strutturali che esso ha trasci nato con sé. La carenza di servizi scolastici e sanitari, la depressione del settore agricolo, il mancato sviluppo industriale nelle regioni meridionali, sono stati additati come altrettanti sintomi della incapacità del settore pubblico di svolgere appieno le proprie funzioni. Negli ultimi due anni, una nuova lacuna è venuta alla luce, ed è l'incapacità del settore pubblico non solo di controllare adeguatamente una depressione economica, ma perfino di formulare una coerente politica di ripresa. Tutti i paesi moderni temperano gli inconvenienti del capitalismo industriale mediante una vigorosa politica di stabilizzazione, volta a liberare la classe lavoratrice dallo spettro della disoccupazione ciclica. C'è chi, come i Paesi Bassi, dispone di un modello econometrico e si lascia consigliare dal calcolatore elettronico, e c'è chi, come la Gran Bretagna, si accontenta della documentazione tradizionale e del fiuto degli esperti. L'Italia è l'unico fra i paesi europei ad avere un capitalismo industriale senza avere una politica di stabilizzazione della congiuntura. È necessario che questa lacuna venga colmata e che la ripresa coincida con un rinvigorirsi non solo del settore privato, ma anche del settore pubblico della nostra economia. Altrimenti dovremo concludere che la crisi sia stata del tutto inutile e che la lezione che da essa poteva essere tratta sia andata perduta. La crisi ha avuto i suoi costi. Vi sono stati costi immediati, sotto forma di disoccupazione e riduzione nel volume della produzione industriale; vi sono costi di lungo periodo, connessi alla riduzione degli investimenti e ai danni che la capacità produttiva della nostra industria e lo sviluppo dell'intero paese ne risentiranno. Si tratta di costi che non possono restare senza contropartita. Il settore privato si appresta a compensare la pausa con una rinnovata efficienza e una più sicura competitività sul mercato europeo. Ma anche dal settore pubblico la 46 BibliotecaGino Bianco

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