Venti anni di repubblica appaiono invece felicemente collaudati, agli occhi di tutti, dal progresso e dall'ordine degli ultimi vent'anni. Il prestigio della magistratura e la stessa fiducia dei cittadini nella giustizia appaiono incrinati dalle interne lacerazioni che il travalicare al di là delle sue proprie funzioni provoca in essa. Il potere casuale di singoli o di gruppi all'interno dei partiti, nell'amministrazione dello Stato, nella vita pubblica in genere perpetua consuetudini di personalismi, abitudini di arbitrio, consone a forme antiquate di disgregazione sociale e fortemente stridenti con le necessità di integrazione e di ordine proprie di una società moderna. Oggi non si può più parlare di un'invadenza clericale nella vita pubblica e amministrativa. La polemica sui cappelli neri e le tonache affollanti le anticamere e i corridoi dei ministeri è venuta meno, e non per stanchezza, ma perché il fenomeno stesso si è ridimensionato rispetto alle pericolose tentazioni che in tanti ambienti aveva sollevato l'euforia del 18 aprile 1948. È stata un'altra vittoria, e non delle minori, che la democrazia ha riportato in questi anni. Ma c'è un'invadenza laica e privata che non è meno insopportabile e che va anch'essa superata nella realizzazione di forme autentiche di convivenza democratica. Solo se ciò sarà possibile, le polemiche sulla partitocrazia, sui misteri dei ministeri, sull'attività della magistratura potranno essere anch'esse felicemente superate. In caso contrario, la democrazia italiana avrà invece in questa serie di suoi aspetti deteriori altrettanti talloni di Achille, se non proprio della sua esistenza, ma del suo ordinato e civile sviluppo. Allo stesso ordine di fenomeni va riportata quella specie di feudalesimo che sembra essersi formato nella selva delle aziende e degli enti pubblici. Se ne è parlato fin troppo da alcuni anni a questa parte, ma non si può dire che si sia andati molto oltre il parlare. Anche qui ci sono incrostazioni di potere che disturbano la fluidità e la normalità della vita sociale, e che sono gravemente accresciute dalla irresponsabilità di cui in pratica si avvalgono i detentori di margini così ampi di potere e dalla frequenza degli scandali in cui essi a torto o a ragione si trovano coinvolti. Ed anche qui c'è una versione nuova di mali aJ\tichi. Basti pensare al genere ·« scandalo»: un genere anch'esso tradizionalmente connesso con alcuni aspetti della democrazia o, meglio, della democrazia nei paesi latini; un genere che costituiva la principale tentazione di gran parte del vecchio giornalismo e incideva, pertanto, notevolmente negli atteggiamenti del pubblico verso i problemi politici e sociali. Oggi lo scandalismo è confinato a motivo caratterizzante di un certo giornalismo deteriore o fazioso. I nostri giornalisti delle ultime generazioni saranno, magari, moralisti, ma non cacciatori di notizie piccanti vecchio stile. I loro servizi e le loro inchieste si concretano 13 BibliotecaGino Bianco
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