Nord e Sud - anno XIII - n. 80 - agosto 1966

, NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Giuseppe Galasso, Venti anni di repubblica. - Augusto Graziani, Le keynésien malgré lui - Ignazio Weiss, Lettori di giornali nel Mezzogiorno - Maria Ciranna Venturini, Lo Stato e il servizio sociale - Ernesto Mazzetti, Agrigento e dintorni. e scritti di Marisa Càssola, Domenico De Masi, Cesare de' Seta, Luigi Fruttero, Massimo Galluppi, Fausto Ermanno Leschiutta, Antonio Rao, Ugo Sepe Pas.sagli, Italo T alia. ANNO XIII - NUOVA SERIE - AGOSTO 1966 - N. 80 ( r4r) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI BibliotecaGino Bianco

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, NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XIII - AGOSTO 1966 - N. 80 (141) DIREZIONE E REDAZIONE: Napo 1i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.309 Amministrazione, D~stribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - N a po 1i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero L. .700 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Fascicolo arretrato L. 800 - Annata arretrata L. 8.000- Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via de~Mille 47, Napoli BibliotecaGino Bianco

SOMMARIO Giuseppe Galasso Augusto Graziani Ernesto Mazzetti Italo Talia Ugo Sepe Passagli Editoriale [ 3] Venti anni di repubblica [6] Le keynésien 1nalgré lui [ 17] Note della Redazione ll rilancio della « Cassetta » - La scorciatoia dello sviluppo - La « novella » di Reale [ 48] Giornale a più voci Agrigento e dintorni [54] Il neocapitalismo nelle campagne [58] Asini in cattedra [ 62] Inchieste Maria Ciranna Lo Stato e il servizio sociale [ 66] Venturini Frontiere Massimo Galluppi La ribellione romena [79] Giornali e riviste Ignazio Weiss Lettori di giornali nel Mezzogiorno [91] Argomenti Cesare de' Seta Il Consorzio alla deriva [99] Antonio Rao Don1enico De Masi Fausto E. Leschiutta · Marisa Càssola Recensioni Il crollo del socialriformismo [108] Il centenario della speculazione edilizia [ 114] La nuova città [ 119] La Sicilia di Sciascia [ 122] Lettere al Direttore Luigi Fruttero I quadri della politica meridiorzalista [ 126] BibliotecaGino Bianco

Editoriale L'unificazione socialista non si è voluta, e forse non si è potuta, fare di slancio, come sarebbe stato auspicabile da molti punti di vista. E adesso, mentre l'unificazione risulta più facile dal punto di vista politico, e più che mai necessaria, sono venute a galla le difficoltà tecniche, relative all'organizzazione del partito unificato e alle sue prospettive elettorali nel 1968. In un certo senso, i risultati del 12 giugno hanno reso più ·perentoria l'esigenza di accelerare l'unificazione, e l'on. De Martino se ne è reso conto; in un altro senso, però, con il successo dei socialdemocratici, di inattese dimensioni, le cose si sono complicate, almeno dal punto di vista organizzativo, e se ne è reso conto l'on. Tanassi. Comunque, grazie alla paziente e sapiente azione dell'on. Nenni, sembra che anche queste ultime difficoltà, bene o male, stiano per essere superate; e ci auguriamo che, quando questo numero di « Nord e Sud » verrà niesso in oircolazione, esse lo saranno state definitivamente. D'altra parte, le coniplicazioni organizzative - dovute soprattutto alle preoccupazioni socialdemocratiche di salvaguardare negli organismi del partito unificato le posizioni di taluni loro esponenti, anche e soprattutto le prospettive elettorali di costoro - erano prevedibili indipendenteniente dai risultati del 12 giugno; tanto è vero che da tempo Bi cercava, da destra e da sinistra, di chiamare in causa gli interessi elettorali dei socialdemocratici per avvelenare il clima dell'unificazione. C'è da rilevare, adesso, che queste co1nplicazioni possono ritardare, non impedire, l'unificazione. E tuttavia, rallentare l'unificazione significa naturalmente danneggiarla. Ecco perché gli avversari dell'unificazione continueranno, finché sarà loro possibile, a battere e a ribattere sulla questione dei socialdemocratici che_ potrebbero essere danneggiati elettoralmente dall'unificazione e dei socialisti che intendono garantirsi nei confronti del rafforzamento elettorale dei loro partners. Ma, se un giudizio politico si deve dare del comportamento dei «vertici» socialista ·e socialdéniocratico nelle more dell'unificazione, questo giudizio può essere positivo almeno sotto questo aspetto: i dirigenti dell'uno e dell'altro partito, nella loro 1naggioranza, non si sono lasciati suggestionare dalle difficoltà organizzative e hanno sempre tenuto presente la necessità di superarle, riducendo per quanto possibile la loro forza di attrito. 3 BibliotecaGino Bianco

Editoriale Nel momento in cui scriviamo, non è stato ancora reso ufficialmente noto il contenuto del documento pragmatico-ideologico, che dovrebbe costituire la carta dell'unificazione. Dt questo documento, comunque, sono già trapelate indiscrezioni numerose. E naturalmente, anche a questo proposito; gli avversari di sinistra dell'unificazione denunciano il cedimento dei socialisti nei confronti dei socialdemocratici e gli avversari di destra dell'unificazione denunciano il cedimento dei socialdemocratici nei confronti dei socialisti: a leggere « l'Unità » e « Il Tempo», i loro simmetrici commenti diretti a svalutare il documento dell'unificazione socialista e a sopravvalutare, l'una la carta dell'opposizione di Lol'nbardi e, l'altro, la carta dell'opposizione di Paolo Rossi (Lombardi e Paolo Rossi anch'essi simmetrici come « l'Unità » e « Il Tempo » e rispetto all' « Unità » ed al « Tempo »), si può valutare fino a che punto sia tendenziosa, in nzodo rozzo e primitivo, la polemica politica delle opposizioni estreme, che poi sono gran parte delle opposizioni. Per quanto riguarda la destra, anzi, non si possono nemmeno registrare sensibili differenze. fra Malagodi, o magari Panfilo Gentile, da un lato, e « Il Tenzpo », o magari « Il Giornale d'Italia», dall'altro lato. Ma, in realtà, che giudizio si può dare del contenuto di questo documento dell'unificazione, sia pure ricostruito per ora sulla base delle no- · tizie e delle indiscrezioni che sono state messe in circolazione? C'è un giudizio piuttosto severo che è stato formulato da Ugo De Siervo su «Politica», nel numero del 14 luglio: nel « documento ormai non più segreto », risulta, « da quanto se ne è potuto leggere », che, « ad una politica di chiara marca. riformista, ma in termini quanto 1nai generici, fa da contrappeso il penna.nere di tutto un frasario dal significato tanto genericamente socialista quanto ormai privo di risonanze nella realtà attuale ». Anche noi potremmo dire che, « da quanto se ne è potuto leggere », la carta dell'unificazione delude per il suo riformismo troppo generico e perché seminato di residui più o meno polverosi dell'ideologia tradizionale, della fraseologia anacronistica, della liturgia abusata dei socialisti vieux jeu. Ma possian1.o anche, e con buone ragioni, leggere il documento di cui si attribuisce la paternità all'on. Nenni in una chiave diversa, che ci sembra sia stata bene adoperata da Enzo Forcella sul « Giorno» del 26 luglio: la carta ideologico-programmatica dell'unificazione « chiude la lunga stagione ideologica del socialismo italiano e dà l'avvio ad un nuovo periodo in cui tutto è aperto, tutto da inventare ». Questo non significa che il socialismo italiano si proponga di rimanere svuotato di ogni carica ideologica e di trasformarsi, quindi, in una consorteria di praticoni, nella peggiore delle ipotesi, o in un partito di riformis1no occasionale, nella migliore delle ipotesi; significa che l'ideo4 BibliotecaGino Bianco

, Editoriale logia socialista si aggiorna e si alleggerisce della sua onnai pesante scorza dottrinaria, per farsi valere co1ne ideologia di libertà, per diventare la spinta di un'azione riformatrice coerente con l'esigenza di consolidamento degli istituti repubblicani, di affern1azione dei valori di libertà, di arricchimento dei contenuti den1ocratici: almeno nelle intenzioni. Ma, perché tali intenzioni possano effettivamente tradursi in efficace azione politica, i socialisti devono raccogliere l'appello dei repubblicani, che è l'appello di tutti i « democratici senza aggettivi», preoccupati, e non da oggi soltanto, della confusione di idee che regna nel campo della sinistra, che si manifesta anche nel ritardo culturale della sinistra rispetto alle esigenze della politica di programmazione, che risulta gravissin1a quando si pensa alla del tutto insoddisfacente volontà politica, e alla non meno insoddisfacente capacità tecnica di formulare progetti chiari ed attuabili, da parte della sinistra, per tutto ciò che riguarda la riforma dello Stato. Come hanno detto i repubblicani, occorrono « idee chiare della sinistra ». I repubblicani stanno facendo del loro 1neglio per « chiarire » le proprie idee e quelle di tutta la sinistra. Anche dai socialisti, però, ci si attende, ora che le principali difficoltà dell'unificazione stanno per essere finaln1ente superate, una congrua partecipazione a questo sforzo, se è vero, come è vero, che « tutto è aperto » e « tutto è da inventare ». 5 BibliotecaGino Bianco

Venti • anni di repubblica di Giuseppe Galasso Quanti sono i regimi che, dalla rivoluzione francese in poi, hanno superato, nell'Europa contemporanea, il traguardo della durata di un ventennio? Non lo superarono, in Francia, né il primo Napoleone, né i Borboni restaurati, né Luigi Filippo, né l'impero di Napoleone III, né la Quarta Repubblica; in Germania né la repubblica di Weimar, né il nazismo. In Italia lo superò soltanto di pochissimi mesi il regime fascista. E se guardassimo alla penisola iberica o ai Balcani o alle regioni danubiane e baltiche, la lista dei mancati superamenti di quel traguardo non finirebbe più di allungarsi. In pratica, soltanto i paesi scandinavi, le isole britanniche, la Svizzera, i paesi del Benelux e l'URSS offrono, nell'Europa di oggi, il caso di regimi che risalgano almeno alla prima guerra mondiale e che possano quindi vantare una durata ormai già almeno semisecolare. Sono, ad occidente (tranne la Svizzera), paesi nei quali il regime parlamentare ha ridotto, o viene riducendo, l'istituto monarchico a funzioni prevalentemente rappresentative ed ha assunto, o viene sempre più assumendo, le caratteristiche di una struttura economico-sociale del tipo di quella auspicata dalle socialdemocrazie europee. Ad oriente è, invece, il totalitarismo comunista a dare la propria impronta ad un regime che, qualsiasi cosa se ne pensi anche ·da parte di coloro che, come noi, non ne danno un apprezzamento positivo dal punto di vista dei valori e delle esigenze di un regi1ne di libertà, dà, tuttavia, affidamento di essersi radicato nella coscienza popolare e di non aver a temere, ove si escludano evenienze gravissime e in1prevedibili, nulla di serio per la propria durata nel prossimo futuro. Il crollo repentino della Quarta Repubblica e l'incognita del regime gollista in un domani senza de Gaulle in Francia, gli avvenimenti tedesco-orientali del giugno 1953 e quelli ungheresi e polacchi dell'autunno 1956, l'altalena di strette e allen 4 tamenti al regime democratico in Grecia, il sordo rancore contro il regime dominante in Spagna e in Portogallo dicono fin troppo chiaramente che anche oggi, in gran parte dell'Europa, la stabilità è una conq1:1ista da realizzare piuttosto che un dato non più discutibile nel panorama politico continentale. E forse proprio da considerazioni di questo genere può prendere lo spunto una rapida riflessione su ciò che per il nostro paese ha significato il primo ventennio di regime repubblicano. 6 BibliotecaGino Bianco

, Venti anni di repubblica A ben considerare le cose, sono, infatti, probabilmente proprio i due regimi nati sulle rovine del nazismo in Germania e del fascismo in Italia a dare oggi in Europa le maggiori garanzie, sia di stabilità che di fondamento popolare. Dove sono, oggi, gli italiani che ritengono insopportabile l'attuale condizione politica del paese e ne desiderino una immediata trasformazione, fosse pure violenta, in un senso o nell'altro? Se vi sono, bisogna dire che sono tanto pochi da non costituire, in nessun modo, un vero e proprio problema politico. I monarchici che si confessano tali per principio, i monarchici di partito vanno progressivamente diminuendo di numero. Le simpatie per l'istituto monarchico, che certamente si potrebbero rilevare in una parte dell'opinione pubblica nazionale, appartengono alla categoria dei sentimenti prepolitici o metapolitici, derivano da atteggiamenti affettivi o da un bisogno di evasione nel mito. Quanto ai neofascisti, diffi.cihnente potrà essere negato che essi rappresentano, oggi come oggi, più un argomento di scandalo che un elemento di pericolo. Resta l'estrema sinistra. Ma, se si fa astrazione dal verboso e vacuo massimalismo del PSIUP e dai piccoli nuclei di comunisti filocinesi di cui si è avuta finora notizia, si dovrà convenire che neppure il PCI è oggi un partito sovversivo nel senso proprio del termine. Certo, il demagogismo agitatorio ha sempre una gran parte nell'azione politica del PCI e i modelli di società e di organizzazione statale a cui il partito guarda continuano ad essere, anche se lo si dice sempre meno, quelli poveri, austeri e totalitari dell'Europa Orientale. Ma il PCI è prigioniero del suo passato. È prigioniero, cioè, dell'esperienza antifascista italiana; è prigioniero della grande ventata di rinno- - vamento popolare e den1ocratico che si espresse nella Resistenza; è prigioniero della sua partecipazione all'impianto delle basi costituzionali della Repubblica; è prigioniero di venti anni di propaganda, talvolta fin troppo rumorosa, a favore di un pieno adempimento del regime democratico previsto dalla Costituzione repubblicana. A lungo andare la « doppiezza » del partito si rivolge contro di esso, e col passare del tempo si va c0stantemente riducendo il nu1nero dei militanti comunisti per i quali la « rivoluzione », sempre proposta co1ne vero ed ultin10 fine dell'azione del partito, valga realmente la pena di un sacrificio della legalità democratica vigente nel paese. La sicurezza di cui per tutto ciò godono le istituzioni repubblicane oggi in Italia è, ovviamente, un dato politico; ha, cioè, la relatività che è propria di tutti i dati politici: eventi gravi o sviluppi imprevedibili della situazione potrebbero drasticamente· ridurne o addirittura annullarne la validità. Ma - come è facile intendere - dei dati politici non si può giudicare che nella prospettiva in cui li si assume, e la prospettiva 7 BibliotecaGino Bianco

Giuseppe Galasso italiana di oggi è quella che si è detta. Piuttosto mette conto di individuare, almeno in via approssimativa, i fattori a cui .il consolidamento delle istituzioni può essere attribuito. Venti anni or sono l'Italia usciva da una guerra moralmente e materialmente disastrosa; veniva avviata alle istituzioni repubblicane da un responso elettorale tutto sommato di stretta misura e alla prassi della democrazia da una volontà decisa, ma priva di esperienza e di immediati legami col passato della nazione; appariva ricca di molte idee, ma non tutte perspicue, e di generosa passione politica, ma non sempre di avveduta saggezza; era travagliata da antichi e nuovi problemi economici e sociali, che apparivano pressoché insuperabili, e, di conseguenza, da tensioni e da lotte sociali fin troppo spiegabilmente sorde ed esasperate; si sentiva minata da una dissidenza politica, che influenzava oltre il 30CJ;o del corpo elettorale, si proclamava classista e rivoluzionaria, contestava punto per punto la legittimità e gli indirizzi della maggioranza governante, disconosceva gli impegni internazionali legalmente assunti dal paese e proponeva addirittura una alternativa di civiltà. In quel clima la sorte delle istituzioni appariva incerta, e si tingeva piuttosto di foschi che di sereni presagi. Che cosa ha detern1inato quello che oggi appare come un vero e proprio rovesciamento della situazione? Rispondere, comunque, ad una tale domanda equivale in pratica a proporre lo schema di una ricostruzione storica dell'ultimo ventennio. Ma, pur non avendo neppure alla lontana una simile ambizione, è impossibile lasciare quella domanda senza una qualche risposta, poiché da essa muove gran parte del giudizio sul nostro presente. Noi non avremmo dubbi nel richiamare, innanzitutto, l'efficacia educatrice della libertà. Da venti anni, un paese tradizionalista, scettico e privo di esperienze di governo popolare, fa dipendere dal suffragio universale la sorte del potere centrale e delle amministrazioni locali. Un referendum istituzionale, l'elezione di una Costituente, quattro elezioni politiche generali, cinque rinnovi generalizzati e simultanei di amministrazioni locali (1946, 1952/53, 1956, 1960 e 1964), e per molti consigli comunali e provinciali rinnovi ancora più numerosi, hanno provato a tutti i cittadini che la mutabilità dei governanti è piena e concreta ad ogni istanza del potere. Si sono visti in vent'anni definitivamente tramontare il personale politico e le forze tradizionali dell'Italia pref;1scista, ancora presenti e non trascurabili nelle elezioni del 1946; compiere le sue prove e a sua volta tramontare nella massima parte la generazione politica che campeggiò negli anni dell'immediato dopoguerra; affacciarsi negli ultimi anni una generazione politica nuova, che è quella che ora in pratica detiene. la massima par~e del potere. In 8 BibliotecaGino Bianco

Venti anni di repubblica vent'anni la DC è sempre stata al governo, ma il suo potere è stato sempre contestato e in una maniera o nell'altra limitato e continuamente ridimensionato. Altri partiti sono entrati e usciti dal governo a seconda delle circostanze e, come nel caso del PSI, talora a distanza di un quindicennio. Migliaia di amministrazioni locali hanno visto mutare più volte il partito sul quale poggiavano. Ad ogni mutamento di governo o di amministrazione un formale scambio delle consegne ha sancito la natura alternativa del potere. « Ludi cartacei »? Democrazia formale e non sostanziale? Chi si sentirebbe, oggi, di dare una risposta tranquillamente positiva a simili interrogativi? Sta il fatto che spiegare, in un prossimo domani, al nostro popolo che esso non ha più il diritto di scegliersi da sé i suoi governanti e i suoi amministratori sarebbe cosa assai più difficile di quanto fosse venti o, peggio ancora, quarant'anni fa. Si ricordi, ad esempio, quanta parte avesse nella propaganda specialmente comunista, all'indomani delle prime elezioni repubblicane, l'attribuire i successi della DC a presunti e colossali « brogli »; e si noti come, nelle ultime elezioni, il ruolo del « broglio » si sia gradatamente ridotto, fino a scomparire quasi del tutto. Non è soltanto la scomparsa di un mezzuccio, ritenuto idoneo a spiegare, ad una base psicologicamente immatura, il mancato successo del partito invincibile e pronosticato, ad ogni vigilia, come sicuro vincitore; è anche la scomparsa di un artificio sottilmente e sostanzialmente sovversivo, che, scandalizzando le menti dei semplici, si proponeva di invalidare la fiducia popolare nel gioco elettorale della democrazia. Allo stesso modo, non ci sembra che siano giustificate le riserve talvolta affacciate sul valore dell'alta affluenza alle urne che solitamente viene registrata in Italia. Si tratta, è vero, di una affluenza notevolmente più alta di quella consueta in paesi di ben più antica e solida tradizione democratica, e che spesso diventa addirittura totalitaria. Né si può negare che a determinarla concorrano fattori non strettamente politici e non del tutto spontanei. Bisogna, però, riconoscere pure che la propaganda contro l'astensionismo elettorale è anch'essa mutata di tono nel corso degli anni. Grossolane forme di intervento come quelle che i Comitati Civici prediligevano all'inizio della loro azione, non sortirebbero oggi il medesimo effetto e, infatti, non sono proprio più messe in pratica. Anche il gusto del pubblico per le campagne elettorali. è andato mutando e, secondo ogni apparenza, progredendo in qualità e intelligenza. Basti pensare alla decadenza della vecchia oratoria da comizio, al successo dei dibattiti politici alla radio e alla televisione, al deciso prevalere della propaganda spicciola e ragionata su quella di massa e ad effetto, all'esito positivo dell'azione legislativa condotta per limitare le spese elettorali 9 BibliotecaGino Bianco

Giuseppe Galasso e ad altri fenomeni analoghi, per i quali è possibile affermare che il nostro paese è oggi certamente maturo, come non lo era vent'anni or sono, per campagne elettorali più brevi di quelle :ancora solite, senza che, secondo ogni previsione, abbia a soffrirne la meditazione delle scelte da parte degli elettori. In questo contesto l'alta affluenza alle urne, se può essere stata inizialmente dovuta anche al concorso di fenomeni di conformismo e di intimidazione finisce col colorirsi già oggi ben diversamente, come un utile presupposto di una più generale e consapevole partecipazione popolare ai momenti decisivi della vita politica nazionale. La fede, diceva Pascal, nasce anche dalle abitudini. Le convinzioni democratiche, lo spirito democratico nascono anche dalla regolare e costante espressione della volontà politica che si manifesta nel voto. Non c'è dubbio, tuttavia, che quella che abbiamo definito l'efficacia educatrice della libertà non avrebbe avuto agio di manifestarsi così intensamente, se in Italia non si fosse avuto contemporaneamente tutto un processo di crescita economica e sociale e di effettiva democratizzazione del potere, per cui il gioco democratico - con i suoi tempi e le sue regole - ha finito col non apparire, alla lunga, soltanto un vuoto e ingannevole formalismo. Di questo processo di crescita non è, forse, necessario ricordare gli aspetti economici, che sono certamente ben presenti a tutti e hanno assunto dimensione e carattere talora clamorosi. Basti pensare allo sviluppo di alcune produzioni italiane tradizionalmente stitiche, come quella del grano o quella dell'acciaio; alla dilatazione del vecchio triangolo industriale nelle campagne emiliane, veneté, ron1agnole, toscane e nelle stesse campagne lombarde e piemontesi; al rilievo internazionale a cui sono pervenute altre attività, come quelle chimiche e petrolifere; all'incipiente affiorare di un sistema economico cittadino moderno nel Mezzogiorno; e così via. Tutto ciò ha significato più alta e più stabile occupazione, più alti e più continui salari. Gli aspetti sociali hanno, tuttavia, superato - forse - per ampiezza e importanza gli stessi aspetti economici del fenomeno. Quando parliamo di aspetti sociali, pensiamo solitamente al costume, ai 1nodi di vita, al comportamento, alle norme e ai miti delle masse. E, certo, anche da tutti questi punti di vista i mutamenti della società italiana sono stati, negli ultimi vent'anni, ingentissimi; sono stati, anzi, con tutta probabilità, i più appariscenti. Ma, ai fini del nostro discorso, un'importanza ancora maggiore assume il progresso registrato nella legislazione sociale: un progresso che non sempre appare tenuto adeguatamente in conto. Si tratta di decine e decine di leggi che sono intervenute a migliorare la posizione dei prestatori d'opera di ogni tipo, a garantirne l'occupazione, ~d assicurarli nel 10 BibliotecaGino Bianco

, Venti anni di repubblica caso di invalidità, a proteggerne la vecchiaia, e così via. Basti anche qui pensare all'estensione, ormai quasi generale, dell'assistenza mutualistica; alle prescrizioni in materia contrattuale; alle disposizioni vigenti per le madri lavoratrici; alle norme sulla « giusta causa », sul blocco dei fitti, sull'ammasso di alcuni prodotti etc. È vero che l'assistenza è spesso difettosa; che gli enti mutualistici e quelli preposti agli ammassi hanno dato luogo, in molti casi, a scandali di grandi proporzioni; che i contratti collettivi di lavoro subiscono, in alcune zone, frequenti evasioni. Ma non è difficile intendere che i difetti nell'applicazione o nel funzionamento di una_ serie di disposizioni di legge ormai così estesa e differenziata non possono contare, nell'opinione pubblica, più del fatto stesso della emanazione di norme di legge sopravvenute a soddisfare annose esigenze di giustizia e di sicurezza. Ed anche qui il comportamento dell'opposizione lungo i venti anni è significativo, perché essa non ha mancato mai di attribuirsi il n1erito della promulgazione fosse pure di una particola di legislazione sociale, anche quando nei dibattiti parlamentari si era in realtà opposta, con pretesti speciosi e demagogici, all'approvazione delle proposte del governo e di altre parti politiche. Basti pensare, ancora una volta, ad un solo caso: alle leggi di riforma agraria, ad esempio. È stato questo, anzi, un altro aspetto, e non dei meno rilevanti, dell'ambiguità mantenuta durante il ventennio dall'opposizione di sinistra, sempre oscillante tra un'azione positiva, e magari non premeditata, di stimolo ed un'azione negativa, spinta talora fin quasi ai limiti del sabotaggio demagogico. Quanto alla democratizzazione del potere, non c'è dubbio che essa è stata sensibile soprattutto nel campo sindacale, ma neppure è dubbio che essa ha toccato, in questo campo, un livello notevolmente alto. Il fenomeno ha presentato un duplice aspetto. Da un lato, la scissione dell'unità sindacale vigente nei primi anni del dopoguerra ha costretto le varie organizzazioni ad una benefica concorrenza, per cui esse debbono sempre tenere presente la necessità di dar conto del loro operato alle masse dei lavoratori interessati. Dall'altro lato, il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali ha perduto le forme intimidatorie e plateali dei primi anni del dopoguerra, ma ha guadagnato molto di più in capacità di mobilitazione di piccole e grandi masse e in capacità di imporre, ad ogni livello, il colloquio con le controparti pubbliche o private. Attraverso questa duplice via, le elezioni sindacali sono diventate un termometro importante di una parte assai significativa dell'opinione nazionale; e il potere dei sindacati ha potuto resistere bene anche ad una congiuntura assai avversa, quando era presumibile che la forza delle cose potesse avere su di esso gravi conseguenze. Oggi non si può dubi11 BibliotecaGino Bianco

Giuseppe Galasso tare che i sindacati siano una delle forze più importanti e più attive nella società italiana e che gran parte delle masse popolari abbia la sensazione precisa di contare nella vita sociale soprattutto attraverso i sindacati, sicché sia per l'una che per l'altra ragione nessuna politica economica e sociale di ampio respiro appare più possibile senza una qualche forma di collaborazione e di intesa con i sindacati: come, del resto, ampiamente si vede per i problemi della programmazione, della politica dei redditi etc. postisi in questi ultimi anni. Il bilancio di un ventennio di regime repubblicano e democratico è, dunque, ampiamente positivo proprio a quei livelli della vita sociale che sono più condizionanti per la stabilità di un regime, e ciò vale a spiegare ampiamente perché la prospettiva italiana di oggi sia una prospettiva sempre più « ocoidentale » o « scandinava » e sempre meno « balcanica » o « iberica », com'era, invece, vent'anni or sono . . È, tuttavia, appena necessario notare che un bilancio il quale, oltre che degli attivi e delle luci, non tenga conto anche dei passivi e delle ombre è un bilancio senza alcun valore. E nella vita italiana degli ultimi vent'anni molti passivi e molte ombre sono in diretta relazione proprio col progresso che il paese ha fatto registrare nel frattempo. Ci sono, cioè, nella vita italiana di oggi, molti dei vecchi mali e ci sono i mali nuovi della democrazia. C'è, ad esempio, la debolezza tradizionale dell'esecutivo centrale rispetto agli altri poteri e rispetto alla stessa amministrazione dello Stato. È un male vecchio. Ma oggi la debolezza del governo si profila più nei riguardi delle direzioni dei partiti che nei riguardi di alcuni notabili del Parlamento e il Parlamento è piuttosto una cinghia di trasmissione della volontà dei partiti che una sede autonoma di deliberazione; oggi l'ordine giudiziario tende ad affermarsi come una forza autonoma, capace di indirizzare in un determinato senso l1 a vita della società, piuttosto che come un ordine che nell'amministrazione della giustizia usufruisce, a garanzia di tutta la collettività e di ogni singolo cittadino, della più completa indipendenza di giudizio e di movimento; oggi il potere tradizionale dei direttori generali e dei capidivisione è sollecitato e di gran lunga potenziato dal continuo accresciment_o delle funzioni dello Stato, dal progressivo tecnicizzarsi di gran parte di tali funzioni, dalla cifra-record raggiunta dai dipendenti dello Stato, dal divario sempre crescente e già oggi incolmabile tra la forza della macchina statale e le possibilità del singolo cittadino. Così, con queste nuove versioni di un male più antico, la vita pubblica appare dominata da uno Stato al tempo stesso troppo potente ·e troppo debole, singolarmente contriastante, per la sua incapacità di riscuotere la fiducia dei cittadini, col meccanismo sociale e con la struttura politica, che 12 BibliotecaGino Bianco

Venti anni di repubblica appaiono invece felicemente collaudati, agli occhi di tutti, dal progresso e dall'ordine degli ultimi vent'anni. Il prestigio della magistratura e la stessa fiducia dei cittadini nella giustizia appaiono incrinati dalle interne lacerazioni che il travalicare al di là delle sue proprie funzioni provoca in essa. Il potere casuale di singoli o di gruppi all'interno dei partiti, nell'amministrazione dello Stato, nella vita pubblica in genere perpetua consuetudini di personalismi, abitudini di arbitrio, consone a forme antiquate di disgregazione sociale e fortemente stridenti con le necessità di integrazione e di ordine proprie di una società moderna. Oggi non si può più parlare di un'invadenza clericale nella vita pubblica e amministrativa. La polemica sui cappelli neri e le tonache affollanti le anticamere e i corridoi dei ministeri è venuta meno, e non per stanchezza, ma perché il fenomeno stesso si è ridimensionato rispetto alle pericolose tentazioni che in tanti ambienti aveva sollevato l'euforia del 18 aprile 1948. È stata un'altra vittoria, e non delle minori, che la democrazia ha riportato in questi anni. Ma c'è un'invadenza laica e privata che non è meno insopportabile e che va anch'essa superata nella realizzazione di forme autentiche di convivenza democratica. Solo se ciò sarà possibile, le polemiche sulla partitocrazia, sui misteri dei ministeri, sull'attività della magistratura potranno essere anch'esse felicemente superate. In caso contrario, la democrazia italiana avrà invece in questa serie di suoi aspetti deteriori altrettanti talloni di Achille, se non proprio della sua esistenza, ma del suo ordinato e civile sviluppo. Allo stesso ordine di fenomeni va riportata quella specie di feudalesimo che sembra essersi formato nella selva delle aziende e degli enti pubblici. Se ne è parlato fin troppo da alcuni anni a questa parte, ma non si può dire che si sia andati molto oltre il parlare. Anche qui ci sono incrostazioni di potere che disturbano la fluidità e la normalità della vita sociale, e che sono gravemente accresciute dalla irresponsabilità di cui in pratica si avvalgono i detentori di margini così ampi di potere e dalla frequenza degli scandali in cui essi a torto o a ragione si trovano coinvolti. Ed anche qui c'è una versione nuova di mali aJ\tichi. Basti pensare al genere ·« scandalo»: un genere anch'esso tradizionalmente connesso con alcuni aspetti della democrazia o, meglio, della democrazia nei paesi latini; un genere che costituiva la principale tentazione di gran parte del vecchio giornalismo e incideva, pertanto, notevolmente negli atteggiamenti del pubblico verso i problemi politici e sociali. Oggi lo scandalismo è confinato a motivo caratterizzante di un certo giornalismo deteriore o fazioso. I nostri giornalisti delle ultime generazioni saranno, magari, moralisti, ma non cacciatori di notizie piccanti vecchio stile. I loro servizi e le loro inchieste si concretano 13 BibliotecaGino Bianco

Giuseppe Galasso di solito in libri ricchi di problemi e di dati, lontani anche dal vecchio « libro di viaggio » del giornalismo tradizionale .. La denunzia dello scandalo li attira sempre più come individuazione dì un problema politico o sociale e sempre meno come notizia sensazionale. La natura degli scandali è, tuttavia, anch'essa n1utata e si colora sempre meno delle tinte di un caso personale e abnorme e sempre più delle tinte di una vasta patologia della vita politica e sociale. È insomma, nello stesso tempo, meno grave e più preoccupante. Nessuno di noi può dimenticare che, per un certo scandalo di questi ultimi anni, alcuni privati cittadini sono stati giudicati e condannati per storno e malversazione, di denaro pubblico, mentre alcuni parlamentari, chiaramente corresponsabili con essi, si videro riconoscere in Parlamento di non meritare il rinvio a giudizio, perché storno e malversazione sarebbero stati effettuati nell'interesse dei rispettivi partiti e non nell'interesse delle singole persone coinvolte nel caso. C'è poi il corporativismo, lo spirito ristretto di corpo, anzi di conventicola, che è tanta parte della vita sindacale. Anche questo è un male antico, e anch'esso ha ais·sunto nuova importanza per il potere progressivamente maggiore che le tecniche moderne mettono talora nelle mani di pochissime persone. Uno sciopero d{ alcune decine di uomini può paralizzare settori importanti non solo della vita eco·nomica, ma della stessa vita civile. I trasporti, la luce, l'acqua, il gas, gli ospedali, la nettezza urbana: ecco solo alcuni dei casi macroscop1c1 1n cui il fatto che piccoli gruppi di lavoratori incrocino le braccia comporta conseguenze e disagi assai gravi per intere città e province, o addirittura per l'intera popolazione in tutto il territorio nazionale. Questo non è, in se stesso, un male. Lo diventa, invece, per la incontrollabilità dei processi di decisione, per la carenza di precise norme legislative al riguardo e per la ristrettezza dei gruppi, che credono di dovere in tal modo difender•e i loro interessi, di fronte alla vastità delle ripercussioni che la loro azione difensiva o rivendicativa viene ad assumere; lo diventa per la frequente mancanza di coordinamento tra le rivendicazioni di gruppi, settori, categorie; lo diventa per la ·sproporzione di potere che si viene così a determinare a favore di alcune oligarchie nazionali o locali di dirigenti sindacali o di lavoratori. Sotto questo profilo, il problema non è soltanto italiano, ma in Italia esso è forse più importante che altrove sia per le più recenti tradizioni democratiche, sia per le svolte di politica economica di fronte a cui il paese si trova. Conservare tutto il positivo della cresciuta forza sindacale ed eliminare al massimo possibile il rovescio della medaglia è, pertanto, un'altra èielle esigenze vitali della nostra democrazia. 14 BibliotecaGino Bianco

I Venti anni di repubblica Misurare la forza morale e materiale di un regime è sempre assai difficile, benché sia sempre possibile. Queste poche linee non presumono di dare una misura. Chi potrebbe presumere di dire quanto positivamente abbia contato, per la stabilizzazione del regime democratico in Italia, la durevole fase di stabilità che, dalla fine della guerra in poi, l'intero sistema degli stati europei si è fortunatamente trovato ad attraversare? Chi può dire già oggi quale peso negativo siano per avere quegli aspetti della vri.ta moderna che incoraggiano alla « spoliticizzazione », quegli aspetti della vita di massa e quelle esigenze tecnocratiche e tecno}ogiche che si potrebbero definire come gli aspetti oggettivi del gollismo? Chi potrebbe affermare di possedere il segreto del complesso gioco di pressioni che da parte privata e dal settore pubblico si esercitano ai vari livelli della vita politica e sociale e ne costituiscono uno dei più importanti elementi dinamici? Chi oserebbe dire che l'attività culturale di questi venti anni sia sempre stata all'altezza della situazione e che almeno i « chierici » possano dirsi immuni da gravi responsabilità? Con tutto ciò ci sembra innegabile che il bilancio di questi venti anni di Repubblica è, come dicevamo, sostanzialmente positivo. Non è cosa da poco quella di aver secondato il libero svolgimento delle lotte politiche e sociali in un paese povero e afflitto dai formidabili problemi del 1945; non è cosa da poco quella di aver sollecitato l'impetuoso sviluppo economico e sociale dell'Italia del boom; non è cosa da poco l'aver resistito ad ogni tentazione autoritaria, anche quando la Francia ne ha dato il la, e l'aver dato vita ad un regime democratico che, secondo ogni apparenza, è più autentico di quello vigente in qualche altro grande paese europeo, com'è la Germania; non è cosa da poco l'aver avviato una trasformazione dello spirito pubblico che rende l'Italia di oggi irriconoscibile al confronto col paese dalle masse bigotte e conformiste o dai violenti sussulti sociali che era l'Italia di pochi decenni or sono. Ed è perciò che riteniamo ingiustificato il tono di delusione risentita col quale molti nostri intellettuali, anche di sicura fede democratica, hanno parlato del ventennale della Repubblica. I problemi della democrazia e della società italiana di oggi sono quelli che sono; i pericoli e i contrasti in nessun modo sono sottovalutabili. Ma quale concreto significato storico e politico può avere il parlare di un « tradimento» degli « ideali della Resistenza»? Nessuno di noi oserebbe affer .. mare che il clima morale del paese sia rimasto al grado di incandescenza che esso raggiunse negli anni della Resistenza; e questa della assenza di un forte principio morale nazionale presente ed attivo nella vita pubblica è certamente una delle proccupazioni più gravi e più nobili che si possano affacciare sulla consistenza intima della democrazia in Italia. 15 BibliotecaGino Bianco

Giuseppe Galasso Ma, attenzione! Non si confondano il fatale e parziale anonimato della moderna società e vita di massa e tutti i suoi problemi con un processo deliberato e negativo di disimpegno etico-politico. Non si confondano i vasti e anche generosi sogni di palingenesi affiorati nella tensione di un periodo eccezionale con le reali possibilità della « lunga linea grigia » democratica che il passato del nostro paese apriva ad esso nel 1945. Dei miti neppure la politica può fare a meno; ma deve dominarli, non esserne schiava, sotto pena di pagare un prezzo pericoloso di segregazione dalla realtà e di verboso orgoglio moralistico. L'umile Italia repubblicana, che tutti in questi venti anni abbiamo contribuito ad edificare, che a tutti ha garantito libertà e rispetto della legge, e che chiaramente è indirizzata a garantire a tutti più eque condizioni di vita morale e materiale, merita il rispetto e il tenace attaccamento di tutti, e non può, a sua volta, essere tradita, sia pure per il più nobile dei sogni. GIUSEPPE GALASSO 16 BibliotecaGino Bianc0

I Le keynésien malgré lui di Augusto Graziani Per due anni, l'economia italiana è sembrata un ragno appeso a un filo. È il filo delle esportazioni - robusto, per buona fortuna, assai più del prevedibile, ma pur sempre sottile - che per tutto il 1964 e tutto il 1965 ha tenuto in vita l'intero meccanismo economico. Con l'inizio del 1966, sembra, anche se non ve n'è ancora la certezza, che una schiarita vada finalmente delineandosi e che l'economia italiana si vada assestando su una più soliida piattaforma. È giunto dunque il momento di guardare indietro e chiedersi chi dobbiamo ringraziare per aver salvato l'economia italiana dall'abisso di una crisi vera e propria; ed è giunto il momento di guardare avanti, per vedere sotto che luce si presentino i sintomi della ripresa. A conti fatti, come si vedrà, dovremo concludere che l'economia italiana può ancora fare affidamento su un settore industriale dotato di energie giovanili, capace di adattarsi alle circostanze e di reagire all'imprevisto con successo; ma dovremo anche concludere che l'economia italiana deve fare i conti con un settore pubblico che pare afflitto da paralisi senile, un settore del tutto inadeguato al controllo dell'economia, lento a scegliere le sue strade, incapac_e di percorrerle, anche se sono strade che menano agli obiettivi più immediati e comuni della politica economica più ortodossa. Le vicende che narreremo sono più che eloquenti in questo senso. Gli anni della depressione Gli anni 1964 e 1965 sono stati ambedue anni di seria depressione per l'economia italiana. È vero che, stando ai dati ufficiali, il reddito nazionale lordo ha continuato a crescere senza interruzione, aumentando del 2,7% nel 1964 e del 3,4% nel 1965. Ma tale progresso è stato realizzato unicamente in virtù di un aumento delle esportazi9ni nette, mentre la domanda interna è rimasta sostanzialmente stazionaria ai livelli del 1963. Questo particolare non è privo di importanza; infatti, se l'aumento di reddito è da ricollegarsi solo .all'espansione delle esportazioni, ciò significa che, nel corso degli ultimi due anni, la collettività italiana si è arricchita solo in quanto ha accumulato una somma mag17 Biblioteca Gino Bianco

Augusto Graziani g1ore di crediti verso l'estero, senza che questo arricchimento abbia messo a disposizione del cittadino una somma maggiore di beni e di servizi. Una delle caratteristiche salienti dell'economia italiana nel corso degli ultimi anni è costituita dalla netta differenza fra comportamento della domanda interna e comportamento della domanda estera. La domanda estera, con il suo sviluppo veloce, ha stimolato le esportazioni, esplicando effetti decisamente favorevoli sull'attività produttiva interna; si può dire anzi che siano state proprio le esportazioni a sostenere il livello della produzione e dell'occupazione e a salvare l'econon1ia italiana da una depressione assai più profonda. Il fatto che l'industria italiana sia riuscita a espandere le proprie vendite all'estero proprio negli anni della depressione, significa essenzialmente che la depressione italiana è venuta a coincidere con una fase di espansione negli altri paesi; circostanza, questa, che va attribuita più alla buona fortuna che a fattori sistematici. Con questa affermazione non si vuole certo negare che le esportazioni, oltre che essere sollecita te dalla domanda estera in espansione, siano state anche sospinte da fattori propri dell'economia italiana. Al contrario, è noto che il ristagno della domanda interna ha di per sé indotto gli operatori a ricercare attivamente mercati esteri; al tempo stesso, e indiscusso che le esportazioni sono state favorite dall'andamento dei prezzi all'esportazione, che per l'Italia tendevano al declino, mentre per gli altri paesi tendevano all'aumento (nel 1965, l'indice italiano dei prezzi all'esportazione in base 1958 era pari a 95; quello degli altri paesi industriali superava il livello 105). Ma, secondo calcoli di esperti della Banca d'Italia, le esportazioni italiane, specie verso i paesi del Mec, sono particolarmente sensibili rispetto all'andamento della domanda internazionale, mentre, rispetto alle variazioni di prezzo, mostrano un'elasticità quasi trascurabile (si veda la Relazione per il 1965, pag. 189). Si deve, quindi, concludere che le riduzioni di prezzo e l'animosità degli imprenditori nella ricerca dì nuovi sbocchi, da sostituire al mercato interno inaridito, non avrebbero avuto esito altrettanto felice se, proprio a partire dal 1963, in concomitanza con il crollo della domanda interna, la domanda internazionale, specie nel settore deì manufatti, non avesse preso a svilupparsi a tassi crescenti. Sul fronte esterno, la salvezza è dunque venuta più che altro ad opera della divina provvidenza. ·cosa accadeva, invece, sul fronte interno? La domanda interna, in termini reali come abbiamo detto, è rimasta congelata ai livelli del 1963; per essere precisi, essa è lievemente declinata nel corso del 1964, per risalire lievemente nel corso del 1965. Ma, se il. volume totale della 18 BibliotecaGino Bianco

I Le keynésien malgré lui domanda interna non è cambiato da due anni a questa parte, ne è cambiata invece profondamente la composizione; si è avuto, infatti, un considerevole aumento dei consumi, accompagnato da una violenta contrazione degli investimenti. Per avere una misura di questo fenomeno, basti pensare che, mentre nel 1963 gli investimenti erano pari a quasi un terzo della domanda di beni di consumo, tale rapporto è sceso a poco più di un quarto nel 1965. Per spiegare l'aumento dei consun1i (o almeno l'aumento dei consumi privati), occorre considerare l'andamento dei redditi di lavoro. Tale andamento è stato alquanto diverso da settore a settore. Nel 1965, i lavoratori dell'industria avevano già ottenuto miglioramenti sostanziali attraverso le lotte sindacali degli anni precedenti; per di più, l'occupazione era in declino e, nel corso dell'intero anno, doveva ridursi di quasi il 4% (con un aumento corrispondente di quasi il 60% nel numero dei disoccupati), il che rappresentava un freno non indifferente alle rivendicazioni salariali. E infatti, il reddito medio per lavoratore dipendente, che era cresciuto di quasi il 14% nel 1964, è aumentato appena r del 6,5% nel 1965. Vicende opposte si sono avute nel settore pubblico e nel settore dei servizi. Qui, i meccanismi in azione sono assai diversi da quelli che vigono nei settori industriali. Nell'industria, le forze che spingono i salari all'insù sono quelle dell'aumento di produttività e dell'aumento di occupazione; nel settore terziario, viceversa, dove la produttività sfugge ad ogni misurazione concreta, i salari aumentano prevalentemente per imitazione, seguendo, con qualche ritardo, l'andamento dei salari industriali. Nel 1964 e nel 1965, più elementi contribuivano a produrre un aumento dei redditi di lavoro nel settore terziario. Anzitutto, dopo i sostanziali miglioramenti ottenuti dai lavoratori dell'industria, i lavoratori del settore .dei servizi avevano in certa misura perso terreno. In secondo luogo, la disoccupazione, che nel settore industriale aveva assunto proporzioni consistenti e che rappresentava il freno più persuasivo agli aumenti dei salari, aveva fatto la sua comparsa nel settore terziario in misura assai più timida: nel 1964, allorché negli altri settori l'occupazione cominciava a declinare, il numero degli occupati nel settore pubblico e dei servizi era addirittura aumentato di un buon 3%, e nel 1965 gli occupati negli stessi settori si erano ridotti appena dell'l,5%, e quindi assai meno che nell'industria. Non vi è, quindi, da stupirsi se il reddito medio per lavoratore nel settore dei servizi e del pubblico impiego sia cresciuto del 10,7% riel 1964 e ancora del 12,1% nel 1965. Mettendo insieme l'andamento dei redditi di lavoro in tutti i settori, si può constatare che il reddito medio per lavoratore dipen19 BibliotecaGino Bianco

Augusto Graziani dente è aumentato del 14% nel 1964 e di oltre il 9,5% nel 1965. Poiché l'occupazione è declinata (dello 0,6% nel 1964 e del 2,5% nel 1965), l'aumento globale nella somma dei redditi di lavoro dipendente è stato del 13,3% nel 1964 e del 7% circa nel 1965. Se questo è stato l'andamento dei redditi di lavoro, non può essere fonte di meraviglia i1 l fatto che, in piena depressione e nonostante la disoccupazione crescente, la spesa per beni di ~onsumo abbia continuato a crescere, realizzando un aumento del 9% nel 1964 e del 7% nel 1965. L'aumento dei consumi, che è venuto a coincidere con la fase della piena depressione, è stato considerato con una certa diffidenza da politici ed economisti. In linea di principio, tutti i commentatori ufficiali erano concordi nell'auspicare piuttosto una ripresa degli investimenti produttivi ·e inclini a formulare sul'l'espansione dei consumi un giudizio sostanzialmente negativo sotto il profilo dell'efficienza (e forse, velatamente, anche sotto quello .della morale). Le riserve che accompagnavano l'espansione dei consumi nascevano da considerazioni di varia natura. In parte esse erano alimentate dalla giusta considerazione che, a lungo andare, come ognun sa, sono gli investimenti produttivi che sviluppano la capacità di produzione del sistema economico e contribuiscono durevolmente al benessere della collettività, mentre i consumi rappresentano ricchezza sottratta alle generazioni future. In parte esse nascevano dalla sensazione, non altrettanto giustificata, che fosse proprio l'aumento dei consumi a impedire l'aumento degli investimenti e quindi in definitiva a inceppare la ripresa. Ora, è vero che, due anni prima, nel mezzo del 1963, le autorità monetarie erano state costrette a porre termine alla fase di espansione perché il livello della domanda globale era divenuto eccessivo e l'inflazione minacciava di assumere un ritmo vorticoso; ed è anche vero che l'espansione della domanda globale era stata aUm-entata principalmente dai consurni, mentre· gli investimenti avevano proceduto a ritmo via via rallentato, per cui si poteva anche sostenere che fosse stato l'aumento eccessivo dei consumi a rendere necessaria la stretta monetaria e a causare, per questa via, la caduta degli investimenti. Ma ora, in piena depressione, il meccanismo in azione era del tutto diverso. Ora il volume della p.-i:-oduzionee dell'occupazione non era più compresso da.Ua mancanza di liqnidità, ma era se mai tenuto basso dalla carenza di domanda globale; per cui un aumento dei consumi, che contribuiva appunto a sostenere la domanda globale e poteva quindi, sia pure indirettamente, condurre ad una ripresa degli investimenti, non avrebbe meritato di essere considerato con tanto sospetto. Non si può infatti 20 BibliotecaGino Bianco

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