, Recensioni che bisogna intervenire per inserire le zone povere nel resto del sistema economico. L'emigrazione e gli effetti che ne sono derivati, se sono insufficienti a provocare queste modificazioni, sono, nondimeno, la loro premessa indispensabile. Quali sono gli effetti dell'emigrazione dalle zone povere del Mezzogiorno? Dal punto di vista demografico, l'emigrazione provoca ì'invecchiamento, la « femminilizzazione » e l'inattività percentuale della popolazione globale. Partono, cioè, preferibilmente i giovani, gli uomini, i lavoratori. Le loro rimesse, però, aumentano la disponibilità monetaria delle famiglie rurali; e a questo aumento concorrono anche i cantieri di opere pubbliche e le prestazioni previdenziali. Nelle zone di esodo si forma, anzi, un certo risparmio, che, in misura comunque modesta, alimenta il mercato fondiario; ma non si traduce in maggiore produttività dei terreni. L'iniziativa privata, nelle zone di fuga, non si è mostrata fino ad ora capace di rimuovere gli aspetti strutturali ed organizzativi dell'agricoltura, non ha saputo sfruttare quel tanto di « polpa » che c'è. Né si può dire che un particolare aiuto sia venuto dall'intervento pubblico, il quale si compendia nella accumulazione di capitale fisso e nell'incentivazione diretta degli investimenti privati, presupponendo, erroneamente, « l'esistenza di centri imprenditoriali capaci di valutare e utilizzare nella direzione voluta le facilitazioni introdotte» (p. 37). Giustamente H. W. Singer ha detto che è più facile trapiantare i frutti dello sviluppo economico che trapiantarne i semi. Sono molto interessanti i casi riportati dal Cafiero per illustrare le funzioni latenti, le conseguenze impreviste della politica agraria finora seguita. Gli esempi riportati (p. 37-38) costituiscono un ottimo spunto per n1ettere in discussione il pregiudizio razionalistico sottinteso alla incentivazione. Si presuppone, cioè, che gli interessati, non solo vengano a sapere dell'esistenza degli incentivi senza esserne informati, ma che, una volta conosciutili, rispondano ad essi in maniera razionale dal punto di vista dello Stato e non dal proprio punto di vista. Ne deriva, quindi, che gli incentivi per l'agricoltura, nelle aree povere, non solo possono rimanere inoperanti, ma possono addirittura diventare controproducenti. In un'agricoltura ancora di sussistenza, osserva giustamente il Cafiero, è possibile che « la funzione di alcuni strumenti tradizionali dell'intervento pubblico si risolva in quella di migliorare i livelli di sussistenza, ad un costo, però, molto spesso maggiore di quello che si avrebbe attraverso la semplice somministrazione di sussidi» (p. 38). Gli incentivi non funzionano sempre e, meno che mai, per l'agricolt4ra delle zone povere, il cui progresso non può essere lasciato ad inesistenti centri di decisione privati. « Il problema fondamentale della politica agraria per le zone povere non è tanto quello della predisposizione di agevolazioni e di incentivi ad iniziative che, come si è. visto, non possono esprimersi spontaneamente, quanto quello dell'assunzione di più dirette responsabilità nella determinazione di tali iniziative. D'altra parte la natura e l'entità delle trasformazioni necessarie nelle zone di esodo sono tali da eccedere le passi113 BibliotecaGfnoBianco
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