Nord e Sud - anno XII - n. 64 - aprile 1965

Ernesto Mazzetti Che siano nel vero le categorie universitarie menzionate, lo ammette anche, sia pure con molta cautela, il « Corriere della Sera» in un editoriale del 21 marzo (ed è già significativo che il direttore del più autorevole organo d'informazione italiano reputi giunta ad un punto tale la « questione universitaria» da dedicarle un suo articolo di fondo), quando scrive: « Senza dubbio le così numerose categorie dei professori minoris juris e degli assistenti, senza i quali l'università dovrebbe subito chiudere i battenti, hanno diritto di alzare le loro proteste. Lo stesso dicasi degli studenti ». L'editoriale del « Corriere» che abbiamo citato è, però, significativo anche per altri versi, sopratutto per certi interrogativi che pone e che a noi sembrano proprio gli interrogativi che oggi hanno interesse a sollevare quanti, per un motivo o per l'altro, avversano ogni sostanziale riforma dell'università. Ad esempio, si chiede il « Corriere», « il consiglio di dipartimento ipotiZLato da alcuni non assomiglia ai consigli di gestione delle università, mett:a1no, jugoslave? È questo che si medita? Di attuare nell'università una rivoluzione che non si può attuare ancora nella società?». Che si debba, nelle università, attuare una « rivoluzione», alla maggioranza delle categorie universitarie non sembra dubbio; come non sembra dubbio, alle medesime categorie, che questa « rivoluzione » debba essere la premessa di una « rivoluzione » della società italiana. Ma c'è da intendersi sul significato di questa « rivoluzione». Almeno finora, infatti, i fini rivoluzionari perseguiti dalle rappresentanze degli studenti, degli assistenti e degli incaricati, sono gli stessi fini che hanno mostrato di apprezzare quasi tutti i giornalisti, gli scienziati, i sociologhi che collaborano con una certa frequenza alle pagine che il « Corriere della Sera» dedica settimanalmente ai giovani o alla tecnica: il fine di una maggior~ efficienza delle strutture universitarie, di una più abbondante predisposizione di mezzi per la ricerca, di una differenziazione dei programmi di studio a seconda che mirino a formare dirigenti, ricercatori o funzionari intermedi; tutti obiettivi considerati, peraltro, come condizioni indispensabili al raggiungimento del fine fondamentale: la formazione di una società tecnologicamente più avanzata, e nello stesso tempo sensibile ai valori dell'umanesimo, ma di un umanesimo - come osservava efficacemente, in un recente articolo sulle riforme scolastiche, Umberto Paniccia - non « retorico e letterario», ma inteso come valorizzazione dell'uomo (da cui l'esigenza di portare avanti, a livelli diversi, ma sempre ai livelli massimi cui ciascuno può attingere, il maggior numero di giovani) e che si traduce in un atteggiamento verso la natura « che non sia solo speculativo, ma anche di conquista e di assoggettamento ai bisogni e alle iniziative dell'uomo»; di una società caratterizzata da un più spiccato sens.o comunitario, nella quale, sia sul piano culturale che su quello economico, le aree di opulenza prevalgano su quelle di depressione, e nella quale lo sviluppo urbano e lo sviluppo economico siano frutto di scelte consapevoli, programmate democraticamente e non più lasciate ad una disordinata spontaneità, e gli aspetti ir1dustriali prevalgano su quelli rurali. Questa la vera « rivoluzione » della società che deve scaturire dalla 40 BibliotecaGino Bianco

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