Gianni Statera non di rado fraintese al punto che si tende a valutare di secondo ordine quella cultura tecnico-scientifica che molti definiscono solo a malincuore « cultura». E così in là si spinge il fraintendimento che spesso ci si preclude la possibilità stessa di rendersi conto che una antinomia così rozzamente prospettata risale ad una concezion.e globale della vita che - per usare i termini di un sociologo italiano non certo sospettabile di nutrire reconditi propositi rivoluzionari - « presuppone almeno l'esistenza degli schiavi». È, infatti, da una matrice umanistico-ciceroniana che traggono origine le assurde contrapposizioni della vera cultura come fruizione disinteressata e dell'educazione tecnico-scientifica come indirizzo volto alla produzione, cioè al vile negotium. E di questo è ovvio presupposto che solo all'uomo agiato è consentito di godere della fruizione disinteressata « del vero, del bene, del bello ». Se in quel senso si caratterizzavano gli esordi dell'introduzione del ministro Gui, non c'era poi tanto da stupirsi che si intravedesse nella relazione alla legge Casati nientemeno che « l'applicazione del principio di libertà » e in quella che precede la Carta della Scuola elaborata da Giusep·pè Bottai, negli anni trenta, « intuizioni degne di rilievo dell'evolversi dei tempi e delle nuove necessità»; d'altra parte - aggiunge Gui - tali intuizioni risultarono « completamente annullate dalla forzata distorsione verso il totalitarismo». La presentazione, da parte dell'on. Gui, dell'ultima relazione sulle linee direttive del piano di sviluppo pluriennale della scuola è giunta a confermare in pieno tutte le perplessità che si erano venute manifestando intorno alla possibilità di concretizzare una riforma reale della scuola italiana, fino a superare, in diversi aspetti, le più pessimistiche previsioni. Se, infatti, per quel che riguarda l'istruzione elementare e secondaria, si ribadiscono i concetti già espressi dalla Commissione di studio, senza, peraltro, che se n~ approfondiscano minimamente le modalità e i termini concreti d'attuazione, i problemi dell'Università, sui quali la Commissione aveva particolarmente volto la sua attenzione, sono prospettati e praticamente accantonati nello spazio di sette pagine scarse. Che quella di approfo:ndire e chiarire compiutamente la complessa problematica dell'Università italiana, con le sue assurdità e le sue strozzature, fosse impresa tuttaltro che facile, era risaputo; ma oramai il più era stato fatto. La Commissione d'indagine, avendo seriamente affrontato il compito di precisare dove fossero i difetti di struttura, si era resa conto del fatto che per avviare a soluzione i problemi individuati, è necessario prospettare un organico programma di intervento, inquadrato in una visione generale della situazione, e non suggerire rimedi o palliativi empirici. Di fronte a studenti di lettere che dovrebbero essere futuri insegnanti, i quali non sono tenuti a sapere cosa sia la pedagogia; a laureandi in farmacia che devono sobbarcarsi quattro anni di università per essere abilitati a ritagliare i talloncini delle mutue; a ·futuri ingegneri con la testa piena / di formule, ma ignari dei più semplici principi sociologici che regolano la 46 Bibliotecaginobianco
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