Nord e Sud - anno XI - n. 60 - dicembre 1964

... -.- - - - • - - ~ • ~ - • - .._..,..___. e"'-- - • - - - - .. - Rivista mensile diretta da Francesco Compagna , Adolfo Battaglia, Il caso Ippolito - Francesco Compagna, La segregazione e la scissione del Mezzogiorno - Roberto Berardi, Leggere il giornale - Calogero Muscarà, Storia dell' industrializzazion.e veneziana - Rosellina Balbi, Il divenire più probabile. e scritti di Mario Chiari, Girolamo Cotroneo, Antonio Ghirelli, Atanasio Mozzillo, Giuseppe Neri, Michele Novielli, Alberto · Pascale, Giuseppe Sacco, Italico Santoro. ANNO XI - NUOVA-SERIE - DICEMBRE 1964 - N. 60 (121) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE ~ NAPOLI Bibliotecaginobianco

Bibliotecaginobianco

• \...._) I NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XI - DICEMBRE 1964 - N. 60 (121) . .. DIREZIONE E REDAZIONE: N a p o I i -_ .Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346 ~ 393.309 Amministrazion~, Distribuzione e Pubblicità: .. EDIZIONI SCIENTIFICI-IE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - N a p o 1i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700-- Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Editoriale [ 3 J Adolfo Battaglia Il caso Ippolito [7] Francesco Comp-agna La segregazione e la scissione del Mezzogior-· no [18] Mario Chiari Giuseppe Sacco Antonio Ghirelli Michele No.vielli Alberto Pascale Note della Redazione Cronache napoletane - La sede del Papato - Mario Paggi [27] Giornale a più voci Realismo per l'urbanistica [35] L'industrializzazione perrnanente ·[ 38] Cronache ro-mane: olimpionici a p:ilazzo Chigi [ 40] Un dramma antico [ 43] Il Natale di Malagodi [47] Frontiere Italico San toro La sideritrgia costiera [53] Argomenti Roberto Berardi Insegnare a leggere il giornale [68] Recensioni Rosellina Balbi Il divenire più probabile [92] Girolamo Cotroneo- I conti con Hegel [96] Atanasio Mozzillo I beni perduti [99] Giuseppe Neri I giovani picari di Mineo [103] Paesi e città Calogero Muscarà Storia dell'industrializzazione veneziana [ 106] Bibliotecaginobianco

Editoriale J Poche volte il risultato elettorale è stato, nella storia del nostro paese dal 1945 ad oggi, così difficile da commentare e interpretare· co.me per queste ultin1e elezioni del 22 e 23 novembre. I comunisti, naturalmente, pretendono anche questa volta non solo di essere gli itnici e veri vincitori, ma ancJze di aver capito tutto. La variante attitale è che, a far compag·nia ad essi in siffatta presunzione, ci sono i liberali e. l' on. Malagodi. La realtà è, purtroppo, diversa; e diciamo « purtroppo », perché, quando i risultati elettorali sono chiari, anche l'interpretazione e il conto che ne debbono fare i politici e il paese possono essere -chiari e le conseguenze, ancorché - eventualmente - spiacevoli, presentano il vantaggio (che in politica è talora preferibile ad ogni altro) di essere largamente prevedibili. Nel caso delle recenti elezioni, poi, concorre ad aun1entar11e l'importanza il fatto che esse sono state l'ultima impegnativa consultazione della grande maggioranza d'el corpo elettorale nazionale prima delle « politiche » del 1968 e delle « amministrative » del 1969. Se (come ci auguriamo) niente verrà a turbare il nor1nale svolgimento della vita italiana, solo fra quattro anni circa vedremo tornare alle urne una così grande massa di elettori nello stesso momento; e poiché nel valore politico e morale dei « litdi cartacei » abbiamo cred·uto e crediamo profondamente, riteniamo che sarebbe stato di grande vantaggio a tutto il paese se da questa ultima grande c-onsultazione popolare fosse uscito un verdetto veramente chiaro. E da che cosa deriva, dunque, la poca chiarezza delle elezioni ultime? Innanzitutto, certamente, d'al grave contrasto determinatosi tra i lievi spostamenti numerici (assoluti e percentuali) fatti registrare dalle votazioni di ciascun partito e la indubbia fluidità di una parte co,nsiderevole del corpo elettorale. In secondo luogo, dal clima politico in cui le _elezioni si sono tenute e dal tono particolarissimo che ha assunto la campagna elettorale. Vediamo un po' il primo punto. Gli spostan1enti numerici sono stati - come si è detto - lievi. Guarda11-do ai soli dati delle provinciali, il PCI ha registrato rispetto alle elezioni del 1963 un aumento della sua percentuale di voti pari ad appena 0,5 punti; i liberali tln aumento di un solo punto; i socialdemocratici un aumento di 0,31 punti; la DC una diminuzione di soli 0,91 punti. I repubblicani (se con i voti del PRI si so-mmano quelli del partito sardo d'azione), i socialisti (se 3 ·sibliotecaginobianco

Editoriale si sommano i voti del PSI e del PSIUP) e il MSI non hanno fatto registrare alcuna variazione delle rispettive percentuali. I monarchici, infine, hanno accusato un calo di 0,75 punti; ma, po.iché la percentuale di partenza era soltanto dell'l,68, un tale calo ha significato, in pratica, un dimezzamento delle forze del loro partito. C1l1e si desidererebbe di più per proclamare la sostanziale immobilità del corpo elettorale? Eppure il movimento c'è stato, ed anche assai forte. Per i socialisti, in primo luogo. Le forze del PSI, immutate rispetto alle elezioni del 1963, sono state, però, attratte per un quinto dal PSIUP. Si tratta, in assoluto, di un indebolimento della consistenza complessiva delle forze elettorali dei partiti di centro-sinistra. Politicamente si tratta, invece, di un contenimento dell'insipietzte scissione vecchiettiana in limiti più che tollerabili e di una omogeneizzazione dell'elettorato del PSI, che sono altrettanti fattori di rassicurazione del centro-sinistra. Movimento anche per i repubblicani, per i quali c'è da considerare che erano presenti solo in 55 province delle 74 in cui si è votato; e che perciò hanno giitstamente potuto protestare per il modo come la RAI-TV ha datv notizia dei loro risultati ed han,no potuto far presente un loro progresso pari, rispetto al 1963, ad z,tnpo' più di cinquantamila voti; il cl1e, per un partito che ha raccolto meno di trecentocinquantamila voti, è pure qualcosa. Ma la fluidità del corpo elettorale appare, soprattutto, dal confronto tra le provinciali e le corrzunali. In queste ultime, infatti, del tutto al contrario che nelle prime, PCI e_PLI appaio,no in regresso, la DC in progresso. Alcuni dati colpiscono particolarmente. Nei 78 capoluoghi di provincia in cui si è votato, le comunali hanno visto scendere il PCI dal 25,58 al 25,40% e salire la DC dal 30,32 al 33,17%; se si tiene, invece, presente il complesso dei comuni con più di 10.000 abitanti in cui si è votato (e cioè circa 700 località), allora si vede il PCI scendere dal 27,5 al 26,5% e il PLI dall'8,5 all'8,4% e la DC salire dal 33,3 al 35,8%; mentre nei soli capoluoghi di provincia i liberali appaiono in aumento dall' 11,09 all'11,61 %. Infine, nei conzuni aventi tra cinque e diecimila abitan,ti e per la prima volta votanti alle amministrative col sistema proporzionale, la DC sale dal 43,0 al 44,1%, il PLI scende dal 4,4 al 2,7% e il PCI dal 26,2 al 24,1%; e benché proprio per quest'ultima categoria di comuni il confronto sia più difficile (oltre tutto per la frequente presenza di liste miste), non si può fare a meno di t~ner presenti anche questi dati. Ancor più sconcertante poi la distribuzione territoriale di queste variazioni. Nel Veneto e in Sicilia, ad esempio, la DC ha ulteriormente migliorato, e assai spesso non di poco, le sue già forti o fortissime posi4 Bibliotecaginobianco

.. Editoriale zioni; il PCI }la fatto lo stesso in Emilia, Toscana e Umbria, regioni in cui la DC appare indebolita, mentre a sua volta il PCI è apparso iri regresso in Sicilia e altrove. Se111brerebbe, cioè, che le regioni « bianche » tend'ano a farsi ancora più bianche e quelle « rosse » ancora più rosse. Qui è probabilmente la logica del potere (e il potere locale è, i11 un certo senso, più condizionante di qualsiasi altro tipo di potere)_ ad aver fatto pesare la sila i11fiuenza sull'elettorato; e proprio qu~ sarebbe necessario aspettare eventuali co1 nferme o disdette dei risultati del 22-23 novembre dalle politiche. Ma come interpretare la sfasatura tra provinciali e comunali? Come negare che essa stia ad attestare che i mo~esti saldi complessivi sono la risultante di spostamenti dell'elettorato tutt'altro che trascurabili sia dal punto di vista della loro articolazione territoriale che dal punto di vista della loro articolazione sociale e ·del loro significato sociologico e politico? E veniamo al clima politico in cui si sono svolte la campagna elettorale e le elezioni. Irrefutabile ci sembra quel che lia scritto « Il Mondo »: « È stata una campagna elettorale faticosa e sgradevole, accanita e insieme meschina, priva di slancio e di vigore quanto ricca di accorgimenti e di bugie. Le elezioni sono state preparate e si sono svolte in un'atmosfera politica generale di stanchezza e di rilassamento, 1na insieme di asprezza polemica, che ha strumentalizzato e immiserito ogni parola ». E ancor più importanti, per una valutazione politica dei risultati, ci sembrano le ulteriori considerazioni dello stesso settimanale sulle responsabilità comuriiste, liberali e d·orotee in ordine alla instaurazione di un clima siffatto, mentre « i partiti di democrazia laica e socialista, dal canto loro, sono stati troppe volte costretti a scendere su un terreno che non era il loro, e a difendersi, e quasi a dimenticare, da ultimo, di prospettare all'elettorato le vere ragioni della loro battaglia: quei loro co·ncreti e irrinunciabili impegni, cioè, che sostanziano, insieme, le richieste della stragrande maggioranza e la politica del centro-sinistra ». Nulla è più lontano da noi di una concezione difensiva e ristretta del centr9-sinistra. Insipienti (e magari inco·nsapevoli) conservatori ci sono sempre apparsi coloro che nel centro-sinistra hanno visto soltanto o soprattutto una svolta politica utile per battere i comunisti, e se e fino a quando i coniunisti fossero battuti; e che quindi giudicano lo stesso centro-sinistra per quanto esso « paga » o « non paga » nel quadro di un certo tipo di lotta al comunismo. Abbiamo sempre creduto che il centro-sinistra ripeta le proprie giustificazioni dalla complessa vicenda della costruzione in Italia d'tlna ·grande e soliq,a democrazia moderna, fortemente legata ai più moderni e civili paesi democratici. 5 · B~liotecaginobianco

, Editoriale Che poi esso «paghi» qualcosa nell'arginamento o in una progressiva riduzione del comunismo, è, e dev'essere, solo una co-nseguenza mediata e spontanea della sua realizzazione. . Ma proprio per questo non possiamo in alcun modo gradire i condizionamenti dorotei, un certo modo irresoluto e fiacco di fare le cose, la mancanza di energia nel rintuzzare gli avversari e, soprattutto, ne_l far valere le proprie ragioni. Dinamizzare il centro-sinistra, pop·olarizzare il centro-sinistra, realizzare in tutto il sito programma il centrosinistra: ecco quella che per noi è la permanente esigenza della democrazia italiana. I partiti della coalizione di governo non possono e non debbono dimenticarlo. L'ultima consultazione elettorale ha dato luogo a risultati discutibili, diversan1ente valutabili, fondamentalmente incerti. Ma né la rabbia liberale, né la presunzione comunista, né la stupidità fascista, né l'avvilente meschinità monarchica, né il desolante vuo- ~ to politico e ideologico del PSIUP possono distruggere un dato di fatto estremamente imp·ortante: e cioè che, chiamati a render conto del loro operato in un momento di grandi difficoltà politiche e sociali (congiuntura sfavorevolissima, agitazioni sindacali a catena, recente scissione so-cialista e così via), i partiti di centro-sinistra l1anno nel complesso retto non male alla prova ed hanno, comunque, ricevuto nuovamente dal paese una maggioranza più che sufficiente a confortare la loro· azione fino al termine della presente Legislatura. Ben diversa potrebbe essere la reazione del paese se questi anni non f assero utilizzati come debbono essere utilizzati; se in tutte le questio·ni urgenti del paese ci si regolerà nel prossimo futuro cori la medesima arte di struzzo con cui ci si è regolati finora in una questione così importante co·me quella sollevata dalla infermità del presidente Segni; se fra governo, maggioranza e paese non fosse instaurato un dialogo finalmente efficace e continuo. Sciagura massima sarebbe, poi, se, in conseguenza delle tante situazioni difficili o alternative determinate dai risultati elettorali, i partiti della maggioranza (e specialmente la DC e il PSI) dovessero esaurire la loro capacita di negoziato nel salvaguardare i propri interessi nella formazione delle amministrazioni provinciali e comunali di maggiore importanza a spese di questo o quel punto del programma di governo. In tal caso, infatti, si potrebbero salvare molte posizioni di potere alla periferia, ed anche interessi elettorali particolari; ma il significato liberatore della operazione di centro-sinistra sarebbe f9rse irrimediabilmente perduto; e quel giorno anche i comitnisti potrebbero accorgersi di aver lavorato, insieme con gli altri, per il re di Prussia. 6 Bibliotecaginobianco

) Il caso Ippolito di Adolfo Battaglia Più ci si pensa e più il processo Ippol 1 ito appare veramente uno dei nodi centrali dello svolgi1nento attuale della nostra vita pubblica. Creare lo scandalo è stato per la destra relativamente facile; ma sbarazzarsi del complesso caso che ne è sorto le sarà forse adesso molto più difficile di quel che vorrebbe. Il caso Ippolito, in effetti, si è dilatato fino a investire problemi fondamentali della vita dello Stato democratico, che ormai, una volta sollevati, non possono essere più elusi. Certo, sono problemi che l'opinione pubblica conosce ancora a metà, e di cui vede confusi i contorni: ma là stanno e non c'è dubbio che occorrerà risolverli. Cominciamo col dire che non è soltanto la pesantezza della condanna processuale che colpisce in questa vicenda. Quando anche i giornali più moderati parlano dell' « incertezza » e della « titubanza » con cui l'opinione pubblica ha accolto la sentenza; quando la definiscono «pesante» ed «eccessiva»; quando arrivano ad esprimere (co•me « Il Resto del Carlino » ha rilevato) « itn identico sentimento di malessere attraverso identici interrogativi ( è veramente giusta ed equa la sentenza del Tribunale di Roma? e se sì, fino a che punto e in quali termini la coscienza nazionale pitò sentirsi soddisfatta?»); quando la scienza italiana, pressoché al completo, attesta la sua solidarietà all'imputato e formula nei suoi confronti un giudizio morale radicalmente differente da quello che sta alla base delle richieste della pubblica accusa e, ovviamente, della sentenza stessa: allora non si puo non riflettere, anzitutto, al problema che la pubblicistica democratica ha tante volte sollevato da dieci anni in qua, il problema del distacco tra il giudice e il corpo sociale che in definitiva è il fondamento della sua sentenza, il problema della insensibilità burocratica della magistratura alla vita del paese; e sperare che con maggiore saggezza una Corte riesca a dissipare in appello la penosa sensazione che è stata sollevata in prima istanza. Impressionante, d'altra parte, è il concetto che la magistratura sembra avere del rapporto tra potere giudiziario e autorità politica (come si è indotti a ritenere in base all'andamento del processo e ad altri fatti precedenti). 7 Bibliotecaginobianco

Adolfo Battaglia Il rapporto tra magistratura e autorità politica - checché ne pensino alcuni benintenzionati sociolo-ghi portati ad annegare tutto nella loro « classe dirigente » - è un- rapporto tra. due poteri dello Stato posti per così dire su un piano ideale di par1tà, ma dotati ciascuno di finalità, facoltà e volontà proprie, e perciò capaci di quella dialettica che è a un tempo garanzia del cittadino e manifestazione di vita demo-. cratica dello Stato. Perenne è naturalmente la tendenza del Giudiziàrio a diventare Legislatore attraverso una particolare interpretazione giurisprudenziale della legge; e perenne è la tendenza del Legislatore a diventare Giudice attraverso l'emanazione di « interpretazioni autentiche » della norma in vigore; non meno costante, infine, è la tendenza dell'esecutivo a controllare e subordinare la magistratura in armonia alla propria volontà politica. Ma - fenomeno più unico che raro, vero sintomo di una situazione patologica - noi abbiamo adesso il caso di u11 potere giudiziario che tende esso a sovrapporsi all'Esecutivo, a controllarlo e in definitiva subordinarlo. Quel che è più grave, questa palese tendenza della magistratura - di una parte, dobbiamo sempre dire, della magistratura - si accompagna, anzi probabilmente scaturisce da un giudizio morale francamente spregiativo nei confronti della classe politica. È inutile ricordare qui le espressioni che il P.M. ha ritenuto di poter usare nei confronti di alcuni ministri e parlamentari durante il processo Ippolito; casi analoghi si eran~ verificati in passato a più · riprese, senza che l'opinione pubblica ne avvertisse la gravità. C'è, in · realtà, una lunga linea di atteggiamenti che risale fino alla Liberazione. Ma altro è un atteggiamento e un giudizio isolato, talvolta sfo·go delle personali passioni del giudice, altro è un giudizio stabilmente assunto conie fondamento di una concezione del rappo,rto tra i poteri dello Stato. In questo caso, _infatti, non si solleva soltanto un problema di b11oni rapporti tra classe politica e magistratura; si colpisce alle radici quella articolazione costituzionale dello Stato che si basa sulla distinzione e l'eguaglianza del Giudiziario, del Legislativo e dell'Esecutivo, e che è, tra l'altro, a ben vedere, il fondamento, primo della indipendenza richiesta dalla magistratura. Certo, l'idea di una rigida separazione fra i poteri è una costruzione che ci deriva dalle grandi dottrine costituzionali del '700, e che non può accettarsi senza molti « distinguo »: ma altro è individuare i limiti di questa concezio-ne nella realtà storica, e vedere nella concretezza della vita i sottili rapporti e le reciproche influenze che legano fra loro i poteri dello Stato, altro è invalidare il 8 Bibliotecaginobianco

Il caso Ippolito j principio e assumere il potere giudiziario come superiore all'Esecutivo e allo stesso Legislativo. Questo è in pratica quanto si è verificato al processo Ippolito, quando il giudice si è trovato di fronte a un imputato che dichiarava di essere stato no-n l'autore, ma l'esecutore di alcuni atti addebitatigli come reati, e ad un'autorità politica che reclamava su di sé la responsabilità di quegli atti. In questo caso il dilemma formulato poi dall'on. La Malfa era veramente stringente: o il giudice riteneva che gli atti di cui l'autorità politica si era assunta la responsabilità costituissero reato, e allora doveva incriminare i responsabili politici cui l'atto criminoso risaliva per espressa dichiarazione (non senza cedere la competenza alla Corte costituzionale, a norma dell'art. 96 della Costituzione); oppure riteneva che gli atti in qu~stione fossero normali atti di governo non censurabili penalmente perché costituenti legittimo esercizio dell'autorità discrezionale propria del potere esecutivo, e allora non doveva incriminare nessuno e tanto meno ovviamente chi di quegli atti era solo l'esecutore. Ma quando la magistratura rifiuta di scegliere ambedue le strade, e si cava d'imbarazzo ignorando la dichiarazione di responsabilità rilasciata dal potere politico, del quale aggredisce la dignità col tacciarlo di leggerezza e di incapacità a resistere al raggiro, allora non si tratta soltanto di giudizio spregiativo su un ministro responsabile, che è andato in Tribunale a fare il suo dovere di ministro; qui, come si diceva, si rimette in discussio11e quel rapporto di parità fra i poteri che è il fondamento di una vita statuale ordinata, e in base al quale ogni potere è tenuto tanto a rispettare i propri limiti di competenza, - quanto a non disconoscere l'esercizio delle funzioni da parte degli altri poteri. È facile scorgere le co-nseguenze di un contrasto su questo punto. Se la magistratura rifiuta di riconoscere per valida la dichiarazione di volontà dell'autorità politica, perché questa dovrebbe riconoscere per valida la dichiarazione di volontà della magistratura? Se un tribunale ~gnora atti e dichiarazioni di un ministro nell'esercizio delle sue funzioni, perché un ministro non do,vrebbe igno,rare un tribunale nell'esercizio delle sue? Cosa avverrebbe se, per esempio, il ministro guardasigilli, da cui dipendono i servizi della giustizia, dichiarasse di non riconoscere la validità di alcune sentenze e desse ordine ai suoi sottoposti di aprire ai condannati le porte del carcere? Ma la vita dello Stato non è fatta di queste sfide e di queste prove di forza; è fatta di coscie11za dei pro·pri limiti costituzionali e di riconoscimento della importanza e delle responsabilità degli altri poteri. 9 · Bibliotecaginobianco

Adolfo Battaglia Il che non significa, come una stam_pa incredibilmente tendenziosa ha cercato di far dire a La Malfa, cl1e ogni atto dell'Esecutivo· è coperto da immunità: significa semplicemente - concludendo - che la magistratura è tenuta ad acquisire la dichiarazione di un rappresenta11te dell'Esecutivo che un determinato atto è atto di governo, compiuto nell'esercizio delle funzioni di governo: salvo il pieno diritto del ma-. gistrato di precedere penalmente, quando in quell'atto ravvisi la consumazione di un reato. Ma se la magistratura, al contrario, si costituisce sopra l'Esecutivo, e si riserva di giudicare, essa, quando debba acco·gliere e quando debba respi11gere la dichiarazione di volo-ntà dell'Esecutivo, così come potrebbe riservarsi il diritto di accogliere o di respingere la dichiarazione di volontà del Legislativo, allora ci si avvia fatalmente verso il caos statuale. Il punto eh-e La Malfa ha colto con sensibilità non di giurista, ma di uomo politico consapevole dei valori dello Stato, è questo, ed è di estrema importanza. In ~ffetti, qualunque sia la configurazio-ne giuridica del problema, e sia esso legislativamente previsto o non previsto, uno sco1 ntro, un contrasto, un evidente conflitto tra poteri c'è. Sarebbe grave per l'Esecutivo non accorgersene, e non reagire con l'energia, col rigore di principi, che merita non il caso personale di un uo1no comunque degno di considerazione, ma un grande problema dell'assetto co-stituzio-nale dello Stato. Aggiungiamo, peraltro, che non si tratta neppure soltanto di questo. È inutile, infatti, nascondere che l'atteggiamento della magistratura ha suscitato una sensazione di sospetto, che ha il suo primo fondamento nella troppo evidente disparità di pesi e di misur,e con cui gli stessi organi che hanno proceduto per il caso Ippolito si sono regolati in occasione di altri incredibili episodi divenuti in Italia addirittura leggendari. È inutile nascondere, cioè, che si ha la se·nsazione che l'attacco alla classe _politica espressa d~l centro-sinistra paJsi oggi anche attraverso la Magistratura. Qui non si vuol dire, evidentemente, che la Magistratura sta portando un attacco politico ad una formula di governo: questo sarebbe assurdo. Occorre invece vedere il quadro generale e capire che la reazione al centro-sinistra è venuta e viene non da un partito o da un gruppo di interessi, ma da una intera struttura sociale co·nsolidata da decenni, e per decenni egemone in Italia. Così si spiega la presa che la campagna contro il centro-sinistra ha incontrato in ampi strati della popolazione che dal centro-sinistra non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare; così si spiega come il pani~o finanziario si sia 10 Bibliotecaginobianco

Il caso Ippolito potuto diffondere, come ancl1e i piccoli capitali siano fuggiti, come le borse n9>n funzionino, come gli agenti delle banche spesso non facciano il loro dovere, come i costruttori e proprietari di case siano terrorizzati da una legge urbanistica che non li tocca neppure, come la stampa quotidiana sia orchestrata su un tono pressoché u~ico di ostilità alla formula, e come inson1ma no-n soltanto l'alta borghesia economica, ma spesso· la media e la piccola bo1 rghesia, e talvolta anche certi ambienti operai, cioè tutti gli ambienti che la struttura egemone ha legato a sé in decenni di formazione della vita economico-sociale e del costume italiano, reagiscano con preoccupazio,ne alla formula di centro-sinistra (anche se, grazie a Dio, esistono graduazioni in queste preoccupazioni, e controspinte capaci di riequilibrare la bilancia). Sarebbe ora la magistratura l'unico c~rpo. immune da questa for- ·midabile pressione? Non ne è immune la burocrazia, l'esercito, la finanza, il commercio, l'industria; non ne è immune la classe politica e non ne è immune il Parlamento·. Ne sarebbe dunque immune solo la magistratura? Difficile crederlo. Tanto più difficile quando si rilevino gli atteggiamenti che un certo tipo di alta magistratura assume su molti problemi, e che sono espressione di ,un orientamento netta1nente conservatore. Ancora più difficile quando si ricordano le simpatie che altissimi magistrati nutrono - e non si vede naturalmente perché non dovrebbero - per concezioni che non sono propriamente quanto di più avanzato il paese esprima. Del resto, anche nel dopoguerra, quando resisteva apertamente con le sue sentenze all'indirizzo antiautotitario e democratico implicito nella Liberazione e nell'opera della Costituente, la magistratura faceva vera e propria azione politica: non perché applicava la legg-e nel modo in cui, in coscienza, riteneva giusto applicarla, essa esprimeva meno sentin1enti, resistenze, interessi di cui la sua struttura stessa era pervasa. Diciamo, dunque, tranquillamente che, oltre il panico finanziario, la pressione psicologica e il ricatto politico, la reazione della struttura sociale intaccata dal centro-sinistra si esprime anche attraverso· la magistratura; e che la sua opera viene così ad assumere anche un significato politico di cui non si devono nascondere le insidie e i pericoli. Finalmente, infatti, nessuno può rimproverare· la magistratura se indaga nella vita dei citta,dini, se incrimina quando scopre reati, se condanna quando ritien,e che siano stati consumati, se arresta quando -la legge glielo consente. Anzi, una buona parte del paese è esaltata della piacevole novità apparentemente ·costituita da una lotta· intransigente contro il ~alcostume amministrativo. Ma, di fatto, questa opera altera profondamente, come finora· si 11 Bibiiotecaginobianco

Adolfo Battaglia è detto, il tessuto costituzionale dello Stato liberal-democratico·, aprendo la via all'esautoramento d-ella ·classe politica democratica di governo e profilando così prospettive ben più allarmanti :di quelle che derivano dal malcostume amministrativo. D'altra parte, è materia di semplice constatazione che l'aspr,ezza di quest'opera della magistratura si rivolge specialmente contro uomini del centro-sinistra, anzi, meglio, contro situaziop.i amministrative di cui il centro-sinistra si è limitato ad assumere l'eredità se11za avere ancora la possibilità di n1utarne i lati negativi o la illegittimità. È grave che il centro-sinistra non faccia questo? Certo. Ma che dire se un Procuratore generale di Corte d'Appello aprisse procedime·nto penale contro tutti i giudici_ e i cancellieri del suo distretto che quotidianamente co,mmettono. il reato di falso ideologico in atto pubblico quando attestano di aver co.mpilato verbali che non hanno mai redatto, e di aver raccolto prove che so·no- state, invece, assunte fuori della loro presenza? Che dire se lo stesso Procuratore generale li facesse arrestare tutti, come la legge teoricamente gli consentirebbe di fare? Sarebbe la paralisi della giustizia, cioè u~ rimedio· peggiore del male. Pure, quei reati si co·mmettono-; e se i Procurato,ri generali di Corte d'Appello, pur conosc~ndoli non li p-erseguo,no, è ben perché essi hanno in questo caso la coscienza che non tutto può essere tagliato col filo della spada, che non tutte le situazioni sono uguali, e che insomma non tutti i problemi so,no risolvibili impugnando il codice penale. La politica serve anche a_ questo: a risolvere su un piano diverso da quello giudiziario complesse situazioni di ordine non giuridico. Ma la m~gistratura ha coscienza del valore e dei compiti della politica? Comprende che non può attribuirsi essa, brandendo i pesanti e taglienti attrezzi di cui dispone, il compito di risolvere problemi che possono condursi a soluzione solo con i duttili strumenti della politica? Intende che entrando in un terreno non ·suo finisce co-n l'operare senza adeguato senso della realtà (ecco, per esempio, la situazione della ricerca sc~entifica di Stato, ormai paralizzata con enorme danno generale ~el Paese, di cui la mag_istratura soltanto è respo·nsabile)? Ha la coscienza di quali interessi settoriali si muovano dietro la sua azione, formalmente ineccepibile? E infine, in linea generale, avverte quale è la linea di confine tra azione e problemi politici e azione e problemi giudiziari, linea che non può essere fissata per legge, ~a si affida al buon senso, alla discrezione, al rispetto degli interessi generali del paese? Non diremmo. P-erché il particolare tipo di azione prescelto dalla magistratura potesse sfuggire ad ogni sensazione di sospetto, perché 12 Bibliotecaginobianco

.. Il caso Ippolito la cla'>se politica potesse vedervi un li1npido contributo ad un'opera salutare di \moralizzazione, e non invece una pericolosa distorsione su cui si stende un'ombra autoritaria, occorrerebbe da parte dei giudici italiani, in questo momento delicato della nostra storia politica, un estremo autocontrollo, una estrema riservatezza, una estrema ponderazione nell'azione. Non ci è sembrato di veder brillare queste virtù nel caso Ippolito. Né, a quel che si dice, il procuratore generale .di Roma sembra incline a seguire questa linea di condotta: la sua convinzio-ne è, anzi, a quel eh-e sembra, quella di dover tagliare lui i no1di gordiani di situazioni politiche che i politici non riescono a risolvere. E a parte la mancanza di senso delle proporzioni, è appunto l'assunto teorico che preoccupa. Non bisogna, d'altra parte, che la classe politica dimentichi le sue responsabilità. Se la magistratura intervien·e è anche perché si è creata una situazione di vuoto che il sentimento dell'opinione pubblica chiede venga riempito·. Se non lo riempie la classe politica, come sarebbe suo compito e dovere, può ben sentirsi spinta a colmarlo una parte dalla magistratura. Certo, il giudizio negativo della classe politica che la magistratura più o meno· consap·evolmente riflette, nasce in buona parte dall'antico spirito provinciale e qualunquistico del paese; ma occorre anche dire che la classe politica ha fatto ben poco per cercare di modificarlo. Sua, in primo luogo, è la responsabilità degli scandali che perio-dicamente turbano la vita pubblica; sua in gran parte è la colpa della corruzione che si annida nella burocrazia; e alla sua azione risale la responsabilità - della frequente prevalenza di interessi particolari sugli interessi generali che l'o-pinione pubblica condanna nella sua coscienza anche se spesso non riesce ad èsprimere palesemente. Conosciamo tutte le ragio,ni, di vario ordine, che frenano o impediscono una chiara presa di posizione su questo problema. Ma a chi dice che Bonomi non può essere cacciato perché non si può lasciar campo libero ai comunisti nelle campagne, occorre_ rispondere che assai più grave di uno spostamento elettorale nelle campagne a svantaggio della D.C. (che del resto si è verificato anche con Bonomi, proprio in queste elezioni) è il rafforzamento nel- .l'opinione pubblica del sentimento di sfiducia nella classe politica, nella sua onestà e nella sua incapacità di tutelare altro che i suoi interessi .di potere. È su questo cammino che si creano le grandi vor~gini in cui precipita il concreto fu~zionamento dello stato, in cui cadono regimi democrattci privi di sostegnq nella· coscienza del paese, e in cui si aprono conflitti che finiscono col dare spazio e validità alla ricl1iesta 13 · Bibliotecaginobian·co

Adolfo Battaglia di un regime autoritario miticamente capace di risolvere ciò che la classe politica democratica è stata incapace di affrontare. Ad un altro problema porta poi una attenta considerazione del caso Ippolito, cioè a quel che si chiama normalmente la « politica della giustizia ». Di fronte ad una magistratura che prende così pericolosi dirizzoni non è vero che il potere politico no,n abbia armi per intervenire. È vero invece che le vie che si offrono sono ancora una volta due. La prima è quella tradizionale, che con ottimi risultati scelgono i regimi dittatoriali, ma alla quale governi democratici non possono ricorrere, come l'esperienza dimostra, se non con risultati mediocri e negando la concezione su cui si reggono : la via della pressione diretta sulla magistratura, del suo assoggettamento, della strumentalizzazione della giustizia, nei casi che all'esecutivo interessano•, come ancella della politica. La secon-da strada è quella dell'auto·governo della magistratura. C'è molta gente oggi che, spaventata degli indirizzi che i casi Ippolito e Marotta lasciano intravvedere, si domanda meravigliata come si po-ssa pensare a dare alla magistratura ancora più indipendenza di quanta non ne abbia. Se con questo grado di indipendenza accade tutto ciò - si dice - che cosa avverrà quando la magistra~ura sarà completamente auto-noma? E sarebbe come rifiutarsi di proseguire una lezione di nuoto perché, scesi in acqua, si è bevuto un po'. Certo, se si sa nuotare poco, si berrà; ma non c'è altra via, per non bere, che continuare a stare nell'acqua e imparare definitivamente a nuotare. Così, non è il principio dell'indipendenza della magistratura cl1e deve essere rimesso in questione, ma la qualità di questa indipendenza. E se ci si accorge che nella magistratura indipendente predomina un indirizzo conservatore, bisognerà cercare di fare qualcosa per democratizzare la magistratura, non per toglierle l'indipendenza. Perché, qui è il punto, non si po~ranno limitare le influenze conservatrici sulla magistratura, oggi purtroppo n1assime, se no·n andando avanti sulla strada dell'autonomia. Abbiamo oggi in Italia la peggiore delle leggi in questo campo: la legge che determina l'assoluta prevalenza nel Consiglio superiore della Magistratura di quegli alti magistrati il cui orientamento può a grosse linee dirsi retrivo e che restringe il diritto di voto e la rappresentanza di quei giovani magistrati (venuti alla funzione nel dopoguerra, e in generale più aderenti alla vita e alle esigenze del corpo sociale italiano) il cui indirizzo- può a grosse linee dirsi « democratico ». / Ora, come si diceva, se c'è qualcosa da chiedere al guardasigilli 14 Bibliotecaginobianco

... · Il caso Ippolito del Governo ~i centro-sinistra, non è un intervento, la cui scorrettezza sarebbe evidente, su questo o quel magistrato; ma l'inizio di una politica liberale della giustizia attraverso cui modificare. in profondità i dati della situazione attuale: una riforma democratica della legge sul Consiglio superiore, che elimini nel supremo organo di autogoverno dei giudici il peso schiacciante dell'alta magistratura conservatrice e lo apra all'influsso delle tendenze più democratiche; la riforma della procedura penale, che eli1nini istruttorie come quelle cui abbiamo assistito, metta accusa e difesa su un piano di parità, e provveda a rendere i procedimenti penali più rapidi e meno gravidi delle nullità che i difensori continuano a prospettare senza successo; una riforma demòcratica, infine, dell'ordina1nento giudiziario fascista del '41, cioè la distruzione di quella piramide gerarchica che fa dei magistrati di grado minore i sottoposti e i subordinati di quelli di grado superiore, in una scala di dipendenza che non può non influire sull'indipendenza dei singoli giudici. È dalla politica conservatrice della giustizia fatta per quindici anni dai guardasigilli democristiani che è scaturita la situazione attuale in cui predominano indirizzi conservatori e in cui affiorano le pericolose velleità che il processo Ippolito ha reso manifeste. Se si vuole spegnere queste velleità non si deve chiedere una serie di interventi autoritativi del ministro, cioè la conti11uazione di una politica che ci ha portato alfi.ne, in concomitanza con altri fattori, alla situazione attuale; si deve chiedere ciò che è mancato per quindici anni, e cioè, semplicemente, una politica liberale della giustizia capace di esaltare le tendenze democratiche della magistratura e di comprimere la forza delle §Ue spinte conservatrici e autoritarie. Il processo Ippolito, come feno1neno in cui si sono conde11sati anche questi problemi, rende urgente tale politica. Il caso Ippolito investe, infine, il problema (di cui parliamo per ultimo, ma che non è davvero il minore) dell'azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici, dei rapporti che debbono intercorrere tra loro, ~ dei rapporti fra classe politica e burocrazia tecnica e amn1inistrativa: in particolare, quali siano le facoltà discrezionali asseg11ate agli enti e come debba _essere esercitata I.a funzione di controllo . .Se è assurdo che un n1inistro presieda il consiglio d'amministrazi9ne di un ente che il suo Ministero è chiamato per legge a co1 ntrollare, non è meno assurdo che la magistratura si metta a sindacare sotto un profilo penale atti la cui discrezionalità è implicita nella natura stessa degli enti cl1e li mettono in essere; atti la cui opportunità, 15 Bibliotecaginobianco

Adolfo Battaglia la cui validità tecnica, il cui valore ·politico ed economico• .possono essere giudicati solo dal potere politico, il cui compito- istituzionale è quello di avere una vision~ generale degli in~eressi del paese, e cl1e può, quindi, per esempio, ritenere vitale per il suo sviluppo ciò che col metro del co·dice penale e sulla base di una valutazione immediata può co-nfigurarsi, come è avvenuto, quale delitto di peculato-. Il potere politico non può non rivendicare in questa materia 'la primarietà del suo giudizio, inerente al tipo di azione che esso istituzionalmente è chiamato a svolgere. E se il potere giudiziario contesta questa primogenitura, il potere politico non deve ritirarsi pauroso, .come è avvenuto durante e dopo il processo Ippolito, ma ha, anzi, il compito di aprire un grande dibattito chiarificatore, di cui la co.mmissione parlamentare d'inchiesta· proposta da La Malfa è certamente il primo e più importante mome11to. D'altra parte non è solo una questione di principio che deve essere fatta valere. Proprio per le distorsioni cui l1a dato luogo, il processo Ippolito ha messo a nudo con straordinaria evidenza l'esigenza di una nuova disciplina giuridica· della vita degli enti pubblici e del loro rapporto con gli organi amministrativi centrali dello Stato. La vecchia legislazione deve essere aggiornata a tempi in cui l'intervento dello Stato è fattore decisivo della vita economica; e le norme che valevano nell'età del vapore devono essere adeguate all'attività scientifica di enti e istituti che si muovono nell'età nucleare. La scienza italiana, i fisici, i chimici, i biologi, harino accolto per primi con estremo favore la proposta La Malfa di inchiesta· parlamentare: e ad essi deve essere fornita con estrema rapidità - se non si vuole la fine della ricerca di Stato e la sua acquisizione all'industria privata, e ai suoi scopi particolari di profitto: che è una della poste, e non delle meno importanti, del processo Ippolito, forse anche una delle ragioni del · sorgere del « caso » - la garanzia cl1e essi si muovono non contra o praeter legem, ma in armonia con una legge moderna che ne assicuri l'autonomia, ne rispetti l'insindacabilità di giudizio scientifico, e ne controlli, non burocraticamente o meschinamente, le attività. Così, dunque, se il processo Ippolito sarà servito a mettere.a fuoco gli immensi problemi che gli sottostanno, da quello decisivo del rapporto tra poteri, che investe la vita stessa dello Stato costituzionale ' a quello della moralizzazione della vita pubblica, da c11i deriva il senso di vuoto e di insofferenza in cui si inseriscono fenomeni autoritari ed extra-costituzionali; da quello di una politica liberale della giustizia che impedisca tra l'altro lo scempio del nome der cittadini che è facile 16 ' Bibliotecaginobianco

.. Il caso Ippolito compiere nelle\ istruttorie scritte e (falsamente) segrete, a quello di una rinnovata relazione di fiducia tra classe politica e magistratura, oggi palesemente carente per i giudizi che la seconda esprime o sottintende sulla prima; se avrà servito a tutelare la ricerca scientifica di Stato, a fissare le regole che debbono determinare i rapporti tra classe di governo e dirigenti degli enti pubblici, a precisare i criteri che debbono reggere il tipo di azione amministrativa svolta dallo Stato, a. ribadire la scala di responsabilità cl1e vige in ogni comunità bene ordinata, per cui prima viene la superiore autorità politica e poi viene la dirigenza burocratica o tecnica; ebbene, se avrà servito a tutto questo, il processo Ippolito, quali che siano state le vicissitudini del suo mag~ giore protagonista che noi, come altri, ci auguriamo di cuore debbano rapidamente finire, potrà non essere stato inutile per una vita democratica più matura e per un assetto più moderno dello Stato italiano. Ma è anche vero che occorrerebbe, per tutto questo, una volontà, un vigore morale, una capacità d'iniziativa che, purtroppo, allo stato delle cose, la classe politica no·n ha ancora mostrato di possedere in misura sufficiente. ADOLFO BATTAGLIA ✓ 17 Bibliotecaginobianco . ,.

. ' La segregazione e la scissione del Mezzogiorno di Francesco Compagna Vi è stata --- -e dura tuttora - una combattuta polemica pro e contro le autostrade. Questa polemica, co-me git1stamente rilevava «Mondo economico », nel su.-ofascicolo del 10 ottobre, è stata « mal posta ». E infatti, « è - o dovrebbe essere - ben evidente che vano è discutere ' delle autostrade', quando si deve, invece, discutere di qu,esta o quella autostrada» (o superstrada). Così come dovrebbe essere altrettanto evidente quando e perché la costruzione di. un'autostrada è « propugnata da interessi sezio,nali », o risulta « prematura», o comunque « non indispensabile»; e quando e perché la costruzione di un'altra autostrada risulta indispensabile, anzi « in ritardo », onde a suo favore si deve far valere un criterio di effettiva priorità. « Mondo econòmico », sulla base di questo e di altri giusti rilievi, indicava, quindi} fra le priorità a11tostradali, ora che l'Italia risulta « accorciata » fra l\1ilano e Napo-li, il completa.mento della « grande dorsale» Nord-Sud: completamento a Nord, « dal Brennero· e da Frejus », e co-mpletamento a Sud, « fino a Reggio Calabria ». Se, infatti, l'Autostrada del Sole non fosse completata, a .Sud ed a Nord, essa « non assolverebbe il servizio globale per il quale è stata concepita ». Noi condividiamo pienamente questa valutazione. Portiamo, però, il discorso sulle priorità autostradali anche più avanti di quanto non lo portasse «Mondo economico»: perché, fra le priorità autostradali, immediatamente dopo il completamento dell'Autostrada del Sole, fino a Reggio Calabria, da un lato, e fino al Brennero e a Frejus, dall'altro lato, collochiamo: 1) l'autostrada Napoli-Bari; 2) la superstrada Basentana; 3) l'autostrada Bologna-Pescara-Canosa; 4) le autostrade siciliane. E diciamo, pure, ch,e, nel momento in cui riconosciamo che si., deve com .. pletare subito la« grande dorsale » non solo in direzione della Sicilia, ma anche in direzione d-ei passi alpini, non riteniamo tuttavia che si possano accogliere tutte le richieste eh-e sono state avanzate, e subire tutte le pressioni che si vanno esercitando, p,erché, a Nord, l'Autostrada del Sole sia collegata, da Milano, da Piacenza, da Modena, ecc., a tutti i passi 18 Bibliotecaginobianco

... .. ( La segregazione e la scissione del 1\1ezzogiorno alpini; né che si possano accogliere nuov,e .pro·poste e subire nuo,ve pressioni per aprire, grazie all'intervento della finanza pubblica, nuovi costosi trafori. Si tratta di decidere quali passi alpini devono essere assolutamente e imm-ediatamente collegati all'Autostrada del Sole (e siano pure, come indicava « Mondo· economico», il Brennero ed il Frejus, sempre che, per quanto riguarda l'arco alpino occidentale, non sia preferibile, come a noi sembra, stabilire anche e anzitutto· uno scorrevole raccordo, per la Val d'Aosta con il traforo del Monte Bianco e con quello del Gran S. Bernardo); e si tratta di capire che i trafori che si sono già scavati o eh.e si stanno già scavando devono servire tutte le regioni e tutte le provincie, quale più e quale meno, quale meglio e quale peggio, perché non si può pretend!ere che si scavino, tanti trafori quanti ne sono richiesti dagli interessi specifici e circoscritti di ogni regione e di ,, ogni provincia piemontese, lombarda, veneta (onde poi l'esigenza di sempre nuovi raccordi con l'Autostrada del .So1e). Ora, per ese1npio, si parla del traforo dello Stelvio perché la Lombardia si sente sacrificata rispetto al Piemonte, che più direttamente si può avvalere del traforo del Monte Bianco e di quello del San Bernardo; e che si potrà prima o poi avvalere anche di quello del Ivlo,ncenisio. Ma in pari tempo il Piemonte stesso ne vuole un altro, di trafori, quello- del Marcantour, perché la Costa Azzurra possa essere raggiunta, da Torino e da Cuneo, più facilmente di quanto attualmente non sia possibile attraverso il colle di Tenda o quello della Maddalena. E giustamente « Le Monde >) ha rilevato che un traforo non solo- « costa caro », ma presuppo-ne anche, quando è internazionale, un accordo - internazionale, per l'appunto· - che definisca chiaramente gli interessi, gli oneri e le responsabilità dei paesi ben,eficiari e co·ntraenti; e che, nel momento in cui l'apertura del traforo del Montè Bianco pone già con1plicati pro-blemi, tecnici, giuridici e finanziari, non è il caso di intraprendere nuove imprese del genere: « a quale scopo, infatti, scavare un tunnel, se esso non può poi essere servito da grandi vie di comunicazione che ne assicurino la redditività? ». Ciò che è vero per la Francia. (no,n serve a niente, scriveva ancora « Le Monde », scavare le Alp,i e realizzare con grandi spese opere stradali e ferroviarie audacissime, v,ere e proprie « chiuse », se poi le strade che vi adducono risultano ancora troppo strette o mal orientate), è, dunque, anche vero per l'Italia: prima i raccordi delrAutostfada del Sole con i trafori che sono entrati o che dovranno entrare in funzione, e poi, soltanto poi, eventua_lmente, nuovi trafori. E a maggior ragione prima l'inserimento del Mezzogiorno nella rete autostradale 19 Bibliotecaginobianco

Francesco Compagna italiana, ed europea, e poi, soltanto poi, eventualmente, sia i progetti di nuovi trafori alpini (dopotutto la Lombardia è servita, anche se meno direttamente del Piemo,nte, dai trafori di cui si è detto· che so,no· entrati o che dovranno entrare in funzione), sia i progetti di nuove autostrade nelle già relativamente ben servite regioni dell'Italia centro--settentrionale (dopotutto i torinesi, per imboccare l'Autostrada del Sole, se no~ possono andare in autostrada a Piacenza, possono andare in autostrada a Milano, poco più a nord, m-entre i baresi, se vogliono risalire la « grande dorsale », devono venire a Napoli o risalire a Bologna nelle condizioni stradali più disagevoli). D'altra parte, si deve riconoscere e tener presente che, dal momento in cui l'Autostrada del Sole è stata aperta tutta al traffico, annullando, fra Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli, gli « ostacoli della geografia», e dell'orografia in particolare, il problema di integrare il più profondo Sud nella nuova rete autostradale che l'Italia si è data è diventato•, comunque, un pro.blema la cui soluzione condiziona tutte le altre questioni inerenti alla politica meridionalista, che è quanto· dire la politica di unificazione economica e civile del pa,ese. E pertanto le opere che si sono più sopra indicate (pro,lungamento meridionale del1' Autostrada del Sole, Napoli-Bari, Basentana, Bologna-Canosa, autostrade siciliane) devono avere la precédenza assoluta nei confronti di ogni altra opera autostradale e nei co,nfro,nti di altri programmi di pur· necessarie, ma meno urgenti, o,pere pubbliche. . Il rilievo eh.e ha avuto sulla stampa na_zionale (e anche sulla stampa internazionale: significativo, per esempio, un editoriale de « Le Monde ») la cerimonia del 4 ottobre (apertura al traffico del tronco OrvietoChiusi, onde l'Autostrada del Sole fra Milano e Napoli può dirsi ormai tutta percorribile) non è in definitiva cl1e una delle tante testimonianze del valore rivoluzionario che gli italiani attribuiscono, e giustamente, al fatto che, come si diceva, certi << ostacoli della geografia » siano stati rimo-ssi e, di conseguenza, il Sud sia stato avvicinato al Nord. Ma è anche vero che, se il Nord· è diventato più vicino p-er i meridionali, tutto il Sud che si trova al di là del Cilento e al di là della ormai mitica piana di Eboli, è div-entato - per i settentrionali che possono raggiungere Napoli da Milano in circa otto ore - relativamente più lontano: molto più lontano·, e, per dirla con Giustino Fortunato, più ch,e mai « segregato dal punto di vista topografico». Inoltre, l'antico male del Mezzogio~o, la grande difficoltà di comunicazioni fra i due versanti, non risulta affatto attenuato; risulta, anzi, aggravato, perché, quando le comunicazio-ni fra Napoli e Milano diventano tanto più agevoli, il fatto che quelle fra Napoli e Bari, o fra Napoli e Taranto, siano rimaste tanto disagevoli 20 Bibliotecaginobianco

La segregazione e la scissione del Mezzogior1io non può non provocare una piì1 grave scissione fra il Mezzogiorno che gravita sull'asse più forte, Salerno-Napoli-Roma, e quello che gravita sull'asse più debole, e più lontano, Taranto-Bari-Pescara: con la conseguenza di frustrare sul nascere il tentativo di creare nel M-ezzogiorno un nuovo sistema urbano, formato da metropoli - e da città di. raccordo - non solo interdipendenti le une rispetto alle altre, ma anche ricavanti ognuna impulsi dinamici, in senso· economico, e in senso civile, dalla possibilità di coltivare una crescente densità di relazioni con tutte le altre. Questo è un aspetto molto importante del discorso meridionalistico sulle. autostrade. C'è, infatti, chi potrebbe ritenere cl1e Napoli e la Campania si vengano a trovare ora in una situazione privilegiata; e che pe_rtanto, ai napoletani, paghi di essere stati collegati a Milano mediante l'Autostrada del Sole, non interessi gran che il co,mpletamento di quest'ultima fino a Reggio. Co-sì, del resto, si è pure detto, che ai baresi non interessa gran che la Napoli-Bari, perché essi avrebbero- di gran lunga preferito una Roma-Bari e considerano·, co1nunque, la BolognaCanosa assai più importante dell'autostrada che dovr,ebbe collegarli all'antica, e non amata, « capitale del Mezzo·giorno ». Ora, può darsi che effettivamente, grazie alla « dorsale » che li collega a Milano, Napoli e la Campania si vengano a trovare contingentemente in una condizione di privilegio risp-etto al resto del Mezzogiorno, sia ài fini della convenienza delle localizzazioni industriali, sia ai fini dell'incremento delle co1 rrenti turistiche: ma più in apparenza che i11 realtà, forse; e comunque, solo fino a un certo punto e per certi aspetti molto particolari del problema delle localizzazioni industriali e dell'incremento delle attività turistiche. Napoli e la Campania, infatti, sono, per così dire, la hall del Mezzogiorno·: con l'Autostrada del Sole, questa hall diventa certò più accessibile; ma non per questo diventano più accessibili il mercato meridio·nale, le aree industriali delle Puglie e delle Calabrie, i comprensori di potenziale valorizzazio·ne turistica· del versante tirrenico, della Sila, del versante adriatico e ionico, per non parlare della .Sici~ia.Una hall quasi cieca, insomma, ad imbuto, per così dire, in quanto non si apre agevolmente su quell'interno del Mezzogiorno che essa dovrebbe servire assai meglio di quanto no-n lo abbia servito finora. La verità da tener presente è che per la Campania, e per Napoli, non c'è un vero e proprio interesse a distanziare il resto, del Mezzogiorno sulla via dello sviluppo economico·, ammesso e non concesso che questo sia effettiyamente possibile; ma· c'è l'esigenza di progredire insieme al resto del Mezzo·giorno, di essere regione-pilota e non regione 21. Bibliotecag·inobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==