Nord e Sud - anno XI - n. 50 - febbraio 1964

.... .. Rivista mensile diretta da Francesco Compagna -· Ernesto Mazzetti, U1iiversità e squilibri regionali - Raffaello Franchini, Dall'idealismo alla storia · - Alberto Ronchey, Socialisti, laburisti, nazionalismo atomico, disarmo - Adolfo Battaglia, IL finanziamento pubblico dei partiti - Cesare Mannucci, ·u,i decennio di tele7)isione. e :scritti [ di Marisa Càssola, · Ennio Ceccarini, Mario Chiari, Domenico De Masi, Cesare De Seta, Anna Grappone, Clemente Maglietta, · Clotilde Marghieri, Luigi Mazzillo, Giuseppe ·Neri, Alfredo Testi, Antonio Vitiello, Friedrich Vochting._ ANNO XI - NUOVA SERIE - FEBBRAIO 1964 - N. 50 (rrr) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALI.ANE - NAPOLI Bibliotecaginobianco

cedola di commissione libraria bulletin de commande de librarie-biicherzettel • • L. 20 E d i z i o n i S e i e n t i f i e h e I t a I i a n e s. P· A. Via dei Mille, 47 NAPOLI • Bibliotecaginobianco ~ • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • G • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • ' • • ~ .. ' • i • " • .. ., .. ..

NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XI - FEBBRAIO 1964 - N. 50 (111) DIREZIONE E REDAZIONE: N a p o 1i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.309 An1ministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo 1i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 500 .- Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli io ecaginobianco •

SOMMARIO Ernesto Mazzetti Raffaello Franchini Cesare Mannucci Alfredo. Testi Clemente Maglietta Luigi Mazzillo Mario Chiari Alberto Ronchey Editoriale [3] Università e squilibri regionali [7] Dall'idealismo alla storia [19] Note della Redazione Problemi di scelta politica - I « rami secchi » delle ferrovie - Genova, Alessandria e il Mezzogiorno [34] Giornale a più voci Un decennio di televisione [ 40] Aree e nuclei [ 42] I laburisti di fronte alla rivoluzione tecnologica [ 47] Il governo governato: il caso dello zucchero [51] La legge urbanistica al Convegno di Rapallo [57] Discussioni Socialisti, laburisti, nazionalismo atomico, disarmo [61] Argomenti Adolfo Battaglia Il finanziamento pubblico dei partiti [68] Marisa Càssola Fredrich Vochting Girola1no Co,troneo Domenico De Masi Vincenzo Lapolla Ettore De Giorgis Recensioni Il gioco segreto di Elsa Morante [ 81] Il futuro delle due I talie [ 84] Storicismo e filosofia della storia [90] L'onorata illibatezza [ 94] Lettere al Direttore FORMEZ e IASJ\1 [102] Elezioni nei piccoli comuni [ 102] Saggi Antonio Vitiello Problemi sociologici della distribuzione [105] Bi·bliotecaginobianco Cronaca Libraria (a cura di Raffaello Franchini, Anna Grapp,one, Cesare De Seta, Clotilde Marghieri, Ennio Ceccarini, Giusepp·e Neri) [ 117]

.. Editoriale Si poteva presumere che il recente Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana si sarebbe trovato a dover affrontare problemi di grande portata, come qtLello della definizione dei rapporti tra il governo e il partito, una volta che l' on. Moro avesse deposto il suo incarico di segretario del partito, e come quello della ricerca di un nuovo, e sia pur provvisorio, equilibrio fra le nzolte correnti democristiane, che consentisse al partito di arrivare al prossimo Congresso nazionale nelle migliori condizioni possibili. E si poteva perciò anche presumere di assistere, in tali circostanze, ad un dibattito fortemente animato e pienamente dispiegato sui d·ue così importanti problemi. La nostra impressione è, invece, che il dibattito sia in sostanza mancato. Mancato sul problema dei rapporti tra governo e partito, perché, alla esplicita richiesta avanzata al riguardo dall'on. Moro, la risposta che si è avuta si pùò definire formale e di circostanza. Mancato anche su quello dei rapporti tra le correnti democristiane, perché ciò di cui ci si è principalmente preoccupati è stata la nuova ripartizione delle cariche e non la chiarificazione e il confronto delle rispettive posizioni, pur indispensabile dopo un fatto di tanto rilievo come la costituzione del nuovo governo. Vale perciò la pena di soffermarsi ad an.alizzare brevemente sia l'una che l'altra questione. «Noi» - dichiarò l'on. Moro nel discorso con il quale annunciò le sue dimissioni dalla segreteria del partito - « non vogliamo in1mobilizzare, né asservire il partito, ma immaginianzo e speriamo che esso sappia e possa essere una forza capace di alimentare e giustificare la nostra azione». L'on. Colombo ribadì, a sua volta, nel proprio intervento, la richiesta di appo-ggio formulata dall'on. Moro. L'on. Fanfani parlò anch'egli dell' « ovvio dovere politico e morale» del partito « di sostenere il governo dell'on. Moro, non solo ratificandone l'avvenuta costituzione, ma anche impegnando tutti gli organi responsabili del partito a secondare e ad appoggiare lo svolgimento del suo programma e .a valorizzarne l'azione in seno al corpo elettorale>?. L'on. Galloni fu più preciso: a suo- mo-do di vedere, il centro-sinistra è ormai · « una soluzione stabile» ed il governo Moro dev'essere riguardato come la tappa iniziale di una sempre più completa intesa tra i quattro partiti ai quali esso si appoggia. Qualcosa del genere fecero intendere anche .3 Bibliotecaginobianco

Editoriale l'on. Sullo · e gli esponenti di « Rinnovamento », mentre esplicitamente più riservato fu l'on. Scelba, come del rest:o era· da attendersi. La mozione approvata a chiusura dei lavori ha, infine, parlato di « pieno e leale appoggio del Partito in perfetta coerenza con le decisioni adottate al Congresso di Napoli e nella convinzione che la politica iniziata ~ idonea a risolvere i problemi che l'attuale fase di trasformazione e di sviluppo pone alla società italiana ». Così, quella che doveva e poteva essere una grande occasione per un'esplicita e solenne riaffermazione dei naturali impegni del partito verso il governo che ne è promanato si è tradotta in un rinvio agli atti del Congresso di Napoli e in una dichiarazione di « idoneità ». Siamo ipercritici e ipersensibili se ci sembra che sia troppo _poco? A che cosa possono valere le parole dinanzi ai fatti? E i fatti sono che non solo la corrente dell'on. Scelba, ma anche i dorotei e soprattutto i f anf aniani hanno misurato col contagocce la loro adesione al governo Moro. I fatti sono che. i dorotei hanno ritenuto di dover immediatamente togliere all'on. Moro la segreteria del partito, appena egli è diventato Presidente del Consiglio dei Ministri, contro l'evidente volontà dell'interessato, che chiedeva ~i restare alla segreteria della Democrazia Cristiana fino al prossimo congresso. I fatti sono che dalla bocca dell'on. Fanfani si è sentito dichiarare indispensabile che l'azione del governo « non si ponga in contraddizione con quelle che sono le ragioni di vita della Democrazia Cristiana ». AllG: litce di questi fatti la co·nfluenza della corrente andreottiana in quella dorotea e il ponte che si sono reciprocamente lanciati l'on. Scelba e l'on. FanfarLi assumono il valore di sintomi preoccupanti e, per dire tutto quello che pensiamo, il valore di sintomi che una larga parte della Democrazia Cristiana è lontana dal guardare all'attuale governo in una prospettiva più ampia di quella di una consueta e tradizionale combinazione parlamentare. Abbiamo sempre pensato che l'ingresso nel governo dei segretari dei quattro partiti della n1aggioranza avrebbe piuttosto indebolito che rafforzato il governo il giorno in cui, divenuti ministri, essi avessero cessato di essere segretari; e non vediamo ora alcuna necessità di modificare il nostro giudizio sulla pretesa incompatibilità tra le due funzioni. Dobbiamo, però, aggiungere che per la Democrazia Cristiana il problema è ancora più grave che per gli altri tre partiti. Anche _ora che non ne sono più i segretari, Nenni e Saragat corztinuano ad essere gli uomini di gran lunga piiì eminenti ed influenti dei loro partiti; e quanto all'on. Reale, la sua perfetta intesa con l'on. La Malfa e la possibilità di disporre all'uopo, quale suo successore nella seg·reteria del partito,_ di una personalità di eccezione quale appitnto è La Malf a 4 Bibliotecaginobianco

Editoriale danno sufficienti garanzie sia all'on. Realr: che all'opinione pubblica. Nella Democrazia Cristiana non è così. La sua stessa maggioranza è data da una coalizione, per molti aspetti precaria, di alcuni uomini consolari e notabili del partito. Rispetto a questa coalizione nessurt uo1no del partito ha disposto, dopo la sconfitta di De Gasperi nel 1953, di una sufficiente autorità: neppure l'on. Fanfani nel momento della massima fortuna di « Iniziativa democratica». Ed è dalla precarietà e dal prepotere di questa coalizione che derivano quegli aspetti dell'azione democristiana che danno di tanto in tanto al nostro regime democratico i connotati di ttn deteriore parlamentarismo. Noi speriamo vivamente che questa nostra diagnosi possa essere: smentita da altri fatti e qua11to prim.a; ma la realtà di cui ci senzbra che bisogna prendere atto è che, sulla base ,lei lavori del recente Co11siglio Nazion.ale, non la Democrazia Cristiana come partito, ma ( ed è quel eh.e più conta) le pi1',f,forti correriti che la compongono ha·nno voluto sottolineare, più che l'adesione fervida e l'appoggio generoso> i motivi di distinzione, se non proprio di arttonomia, del partito dal governo, pttr nel ribadimento della forrrttlla di centro-sinistra. Ciò può contribuire ad accreditare il disegno di url tiiverso centro-sinistra che, oggi come oggi, è bene convincersi che no·n si vede in nessun purtto dell'orizzonte; ma può anche creare il clima di piena realizzazione é maturazione di intese come quella Fanfani-Scelba abbozzata al Consiglio Nazionale, dalle quali è pruden.te non aspettarsi molto di buono. Quanto al gioco delle correnti, esso era ovviamente condizionat,J qalla posizione assunta verso il governo Moro; né la macchinosità della soluzione escogitata per accontentare u,z po' tutti nella ripartizione dei posti direttivi disponibili consente di ci1iarirsi ulteriormente le idee, tanto più che la soluzione stessa si è avuta, come è noto, solo grazie ad una impreveduta prosecuzione dei lavori oltre il terrnine solito e grazie ad una serie di faticose e oscure mediazioni. Possiamo anche concedere che, dopotutto, la Democrazia Cristiana ha s1-tperato la prova della formazione del governo Moro meglio di qualche altro partito. Ma il gioco delle correnti democristiane si è fatto ora così confuso da non consentire facili ottimismi. D1,1,ranteil discorso del 1ninistro Colombo, quando questi ha parlato dell'unità della De1nocrazia Cristiana, un rappresentante della « sinistra di base » ha potuto interromperlo chiedendo: « unità con quale politica.»? E l'on. Scelba ha potuto· (e ci sembra con ragione) rispondere alle garbate espressioni usate dall'on. Fanfani nei confronti della sua corrente con altre garbate espressio-ni, con le· quali ricordava all'on. Fanfani quanto diverso fosse stato il suo linguaggio quando era sicitro di avere nelle proprie mani la maggio5 Bibliotecaginobianc9

Editoriale ranza del partito. Ma si è trattato di sprazzi. Su questi pitnti essenziali ( unità del partito, politica e<i organizzativG:; 11uovi rapporti tra le correnti) la discussione è stata in sostanza evitata. È sperabile che la discussione sia ripresa e portata a pie·na e conclusiva chiarificazione in occasione del congresso nazionale del partito. Ma se gli equivoci dovessero tl.lteriormente persiste~e o aggravarsi si può già ora profetizzare che la Democrazia Cristiana non renderà alcun buon servizio né a se stessa né - soprattutto - al paese e alla democrazia italiana. L'o-n. Sullo ha detto cose ragionevoli quando ha ricordato che finora « il centro-sinistra manca di slancio popolare, sta diventando un cl1e di burocratico, li1nitato alle riitnioni ministeriali. Moro dovrebbe cercare un maggior contatto con il paese. Non si vince l'infiazione solo con misure tecnich,e, pure necessarie. Occorre fare appello al sentimento, alla passione, all'entusiasmo dei ceti popolari ». Ma, in una società come quella itGlliana di oggi, una tale mobilitazione delle masse e dello spirito pubblico non è possibile al solo governo_, bensì unicamente nella misura in cui vi s'impegnino concretamente ed efficacemente i partiti. Ecco un punto sul quale l'on. Moro - che a noi appare sempre pronto a delineare la strategia delle operazioni politiche più che la loro effettiva strumerztaz.ione, ma che è pure, senza alcun ditbbio, l'uomo intorno al quale il centro-sinistra è stato possibile ed è destinato a restare a lungo legato, - dovrà necessariamente meditare nei prossimi mesi. 6 Bibliotecaginobianco

U . . ' n1vers1ta e squilibri regionali di Ernesto Mazzetti 1) Alcuni avvenimenti recenti hanno riportato il dibattito sui problemi dell'Università italiana fuori degli ambienti direttame·nte interessati, in cui esso· va svolgendosi senza interruzione da almeno• cinque anni. Sono, questi a,rvenimenti, la diffusione del lungo rapporto - co1 ntene11te numerose proposte di riforma alle attuali strutture universitarie ~ che la commissione Errnini ha trasmesso al Ministro della P. I., il Convegno tenuto a Lecce per la costit11zione di una nuova università pugliese, il Convegno di Cosenza sull'istituenda uni,,ersità di Calabria, il Convegno s1.1i problemi dell'istruzione superiore promosso dall'Accademia dei Lincei e, i11fine - fatto di natura ben diversa, ma comunque significativo• ai fini del 11ostro discorso -, la « marcia su Roma » o,rganizzata dagli studenti dell'Aquila per rivendicare alla loro città il diritto di ospitare un eventuale ateneo abruzzese. Diverse per motivazione e contenuto, queste 1nanifestazioni hanno espresso tutte la richiesta dell'istituzione, in Italia, di n11ove sedi universitarie. Il rapporto della Commissione Ermini auspica esplicitamente la « creazione di nuove sedi universitarie », osservando che « carattere prioritario, a questo riguardo, presenta la fondazione di istituti universitari nelle regioni clie ne sono prive, avendo• l'avvertenza, in quanto possibile, di costituire un itnico centro universitario e di non sparpagliare le diverse facoltà cui si riten~ga di dar vita in altrettanti centri »: chiaro accenno, quest'ultimoJ al criticato e, per fortuna, tramontato progetto di costituire una 11niversità calabrese con facoltà divise tra Catanzaro, Reggio e Cosenza. La « n1oltiplicazione delle università » è stata chiesta anche al Convegno dei l_jncei dal prof. Calò, relatore ufficiale; e non c'è bisog110 di ulteriori indicazioni per cl1iarire gli scopi c11i miravano le iniziative leccese, cosentina e aquilana. · 2) Nuove università, dunque, per alleviare quei mali della .istruzione superiore italia11a che si ricollegano alla difettosa ripartizione sul territorio delle istituzio·ni 11niversitarie? Se1nbra cl1e tale orientamento ora prevalga e cl1e, contemporaneamente, si te~ga in un conto sempre minore la tesi di risolvere gli squilibri della distribuzio·ne 7 Bibliotecaginobianco

Ernesto Mazzetti territoriale dell'istruzione universitaria attraverso il potenziamento delle sedi già esistenti. Va subito detto-, però, che i d1.1e rimedi - nuove università oppure rammodernamento e amplia1nento delle università esistenti - non so·no- per nulla i11 antitesi. Possono utilmente venir adottati insieme o in alternativa a seco,nda delle diverse situazioni regionali e delle caratteristiche delle singole sedi universitarie. Ciò che deve guidare le scelte in proposito è, infatti, la considerazio-ne che di due squilibri soffre l'istruzione superiore in Italia: oltre quello geografico - regio.ni con tre o· quattro sedi universitarie (Marche, Emilia) contrapposte a regio:ni senza neppure una « facoltà distaccata » - vi sono anche i ben noti squilibri « dirnensionali » tra le diverse università - atenei malati di gigantismo, come Napoli, Roma, Bari, co-ntro atenei afflitti da rachitismo, co,me tante sedi dell'Italia centrale. Da questa situazio11e nasce un do·ppio, ordine di problemi: su scala nazio-nale, per quanto riguarda la migliore ripartizione tra le regioni dell'istruzione superiore, e su scala locale - cittadina, ma anche regionale -- per quanto riguarda il raggiungime11to di una dimensione ragionevole negli atenei già esistenti o da istituire. Questi problemi, d'altronde, no·n sono che la proiezio-ne, sul pia110 dell'istruzione superiore, di vecchi problemi della società ita_liana, quelli connessi all'ineguale ritmo di sviluppo economico e civile mantenuto dalle diverse regioni. È fin tro,ppo noto che, senza l'adozione di corret tivi adeguati, tutte le risorse - finanziarie, umane, imprenditoriali, culturali - del no~tro Paese fi11irebbero per concentrarsi nei due grandi poli costituiti da Roma e dalle « capitali del miracolo ». L'Università non si sottrae a questa dinamica, a tutto discapito no11 solo delie sedi minori, esposte al pericolo dell'abba11dono, ma delle stesse sedi « giganti » che appunto per esser tali perdono molto in funzionalità ed efficienza. 3) Esiste dunque una precisa co·nnessione tra l'auspicata politica di piano - o quella parte di essa cl1e più direttamente sarà volta ad incidere sugli squilibri regio-nali - e la non meno auspicata -riforma delle strutture universitarie. Accettare questo dato di fatto potrebbe, però, indurre a stabilire una pericolosa scala di priorità; a ritenere, cioè, che una n1igliore ripartizio-ne dei centri di istruzio,ne superiore deriverebbe più o meno· auton1aticamente da u11a migliore ripartizione delle forze economiche e dei poteri decisionali tra le varie regioni; e a rimandare, di conseguenza, l'istituzio-ne di nuovi atenei e il rafforzamento di quelli esistenti al momento in cui. gli stanziamenti per 8 Bibliotecaginobianco

Università e squilibri regionali l'ulteriore industrializzazione del Mezzogio 1rno e le iniziative per il riassetto regionale avessero cominciato a dare i loro frutti. In effetti, Università, sviluppo economico, lotta agli squilibri regionali e settoriali debbono essere compresi in un'u11ica visione. Il maggior conforto a questa tesi proviene dalle ben note previsioni for1nulate dalla Svimez 1 circa il 11umero· dei lat1reati indispensabili a far ma11tenere al processo produttivo italiano il ritmo degli ultimi anni. Entro il 1975, secondo i calcoli dell'ing. Martinoli e dei suoi collaboratori, il Paese dovrà poter contare su un milio•ne 250 mila dirige11ti. Al 1961 ve n'erano circa 541 mila, di cui i quattro quinti, pari a 430 mila unità, forniti di laurea. Per mantenere la stessa percentuale, i laureati, nel 1975, dovranno essere almeno un milione. Sarà in grado l'università, in poco più di un dècennio, di fornire al paese mezzo milione di nuovi laureati? È assai difficile crederlo dal mo1nento che la « pro-duzjone » media annua delle trenta università italiane è stata, negli ultimi anni, di circa ventimila unità. Anche se si nota da t.en1po un afflusso crescente di gio·vani all'Università, è difficile che il numero annuo di lauree possa raddoppiarsi o triplicarsi prima del 1970, per cui « in via di larga 1nassima - come osserva la stessa Svimez - si può considerare già ambizioso mirare, per il 1975, a disporre di un nit1nero di laureati intorno alle 750 mila unità, il che corrisponde a far sce11dere la percentuale di laureati nella categoria dirigenti a circa il 60% ». Ambizioso O· moderato che sia, questo obiettivo non dovrebbe assolutamente essere mancato, pena il rallentament? del processo produttivo e il fallimento-, almeno parziale, di quella stessa politica di piano - in cui si co·nfida per l'eliminazione degli squilibri vecchi e nuo,vi lamentati dal paese. Ma aumentare il numero e la preparazione dei laureati è possibile solo nella misura in cui si rafforz~ la struttura dell'Università italiana, la si dilati al punto da farle coprire gli attuali « v11oti » geografici e di qualità. Se si ammette, com'è doveroso fare, cl1e l'istrL1zione superiore condiziona la formazione dei quadri a tutti i livelli, e che svolge quindi un ruolo importa11te i11 una politica di coordinato sviluppo eco·nomico e civile, no-n si può accettare che gli interventi destjnati al suo rafforzamento vengano procrastinati o troppo diluiti nel tempo. Per far sì che alme110 entro la fine degli an11i 1 '60 l'azio11e a favore dell'Università dia i prin1i concreti frutti, bisogna intervenire ·sin da ora, ed in forma massiccia. 1 Mutamenti della struttura professionale e ruolo della scuola: previsioni per il prossimo quindicennio, a cura della SVIMEZ, Roma 1961. Si veda anche MARTINOLI G., L'università nello sviluppo economico italiano, Giuffrè, Roma 1962 e Processo economico e strutture formative nell'Italia del 1975, a cura della _SVIMEZ in bozze d_i stampa, Roma 1963. 9 Bibliotecaginobianco

Ernesto Mazzetti 4) I criteri d'intervento sono diversi a seconda che si riferiscano al miglioramento- qualitativo o àlla diffusione: dell'istruzione universitaria. La Commissione Ermini dedica buona parte del suo rapporto ad illustrare alcune intelligenti proposte per la riforma delle facoltà e del corpo insegnante, caldeggiando la creazio-ne dei cosidetti « dipar-- timenti », del ruolo dei professori aggregati, di titoli universitari a diverso livello ecc. Molte utili considerazio-ni circa la necessità di pote11ziare le facoltà tecniche e la ricerca scientifica so:no inoltre scaturite dal dibattito già da tempo in corso intorno a questi problemi. L'unanimità raccolta da certe tesi e il loro co,stante approfondimento da parte di qualificati studiosi fa sì che abbondino gli elementi per elaborare sin da ora una organica azio·ne volta a migliorare la qualità degli studi superiori e a renderli più rispondenti alle esigenze odierne. Tutto dipende dalla buona volo·ntà della classe politica e dello stesso corpo accademico, parte del quale (si veda, ad esempio, la lotta al full time condotta dai professori-medici) si mostra sovente ostile ad ogni innovazione capace di minacciare consolidati privilegi. I\1a · è questione, insomma, di tempo e di fondi e non già di criteri e indirizzi. Ove invece si passi ad esaminare il problema della riforma degli studi universitari dal punto di vista della distribuzione geo-grafica e delle dimensioni delle sedi, il dibattito intorno ai criteri e agli indirizzi appare più che mai attuale. Molte delle iniziative intraprese in questo settore - alludiamo alla istituzione di facoltà a11tonome, o distaccate, in questa o quell'altra città - per essere i11 genere motivate da ambizioni di can1panile, piuttosto che da una cl1iara visione d'assieme dei problemi dell'Università italiana, hanno offerto un contributo assai limitato all'attenuazione degli squilibri esistenti tra le varie regioni nel campo degli studi superiori. Lo Stato, di fronte alle iniziative di enti locali nel campo dell'istruzione s11periore, ora ha dissuaso, ora tollerato, ora avallato; ma_ non s'è mo,strato mai in grado di contrapporre alle molte « politiche universitarie )> dei co1nuni, delle province e di altri organismi, u.11a propria razio11ale politica, avente come scopo la più eq11a e funzionale ripartizione delle secli universitarie sul territorio nazio11ale. No11 solo; esso ha consentito che alcune sedi crescessero oltre « i limiti fisiologici di dimensione » (l'espressione è del rapporto Ermini) e che altre « vegetassero in condizioni •asfittiche », con il risultato c·he alle disfunzioni provocate dai vecchi malanni dell'Università - scarsezza di attrezzature e di docenti, invecchiamento: di istituti, regola1nenti e leggi - si aggiungessero nuove e piµ gravi disfunsio·ni connesse agli squilibri geografici e dimensionali. Che poi questi squilibri sono gli stessi di cui so.ffre il Paese nel suo co·mplesso, non è 10 Bibliotecaginobianco

Università e squilibri regionali certo un motivo di conforto. Semmai un motivo di più per affrettarsi ad eliminare almeno gli squilibri dell'Università. 5) Una prima indicazione circa il 1nodo di ovviare agli squilibri nella distribuzione delle università, viene dalla richiesta di creare nuove università nelle regioni che ne sono sprovviste. Ma è 11na indicazione generica. Vale davvero la pena, ad esempio, istituire una università in Val d'Aosta (popolazione 100.000 ab.), oppt1re in Lucania, (650 mila ab.) specie se un'università verrà istituita in Calabria e se l'apertura dell'autostrada renderà più agevoli le comunicazioni tra le due regioni? E vale la pena di dare una università al Molise, regione di recente costituita (e non certo in obbedienza a reali esigenze eco,nomiche o urbanistiche), ammesso che convenga darla all'Abruzzo? E una volta stabilito di istituire nuove università in Calabria, Abruzzo e TrentinoAlto Adige (parliamo, è cl1iaro, sempre per ipotesi), dove ubicare q1.1esti nt1ovi centri d'istruzio11e superiore e in base a quali considerazioni? All'Aquila perché è il centro amministrativo e perché gli studenti organizzano manifestazioni, o a Pescara? A Trento, oppure a Bolzano per evitare che gli studenti di lingua tedesca vadano a Innsbruck: ove sono esposti alla pro,paganda anti-italiana? Oppure conviene vagheggiare soluzioni salomoniche, tipo la ripartizione fra tre città escogitata per la Calabria? Non sembra che su questi problen1i si siano finora abbastanza soffermati gli stessi fautori della riforma universitaria e le autorità di governo. Ed è un male, perché si tratta di problemi 1nolto• importanti, alla cui soluzione è legata la funzionalità delle strutture universitarie del paese e la stessa prospettiva dello svilt1ppo eqt1ilibrato. Un primo criterio per affrontarli può 1.1tilmente venir suggerito dalle considerazioni del prof. J...JucioGambi a proposito delle deli1nitazioni territoriali delle regioni 2 • Tali considerazioni hanno posto· in luce come n1olti confini amministrativi risultino oggi anacronistici giacché fatti nuovi, di natura economica, demo,grafica e urbanistica, hanno modificato le realtà regionali fino al pt1nto che gran parte di quelle divisioni regionali, provinciali e comunali che ieri sembravano· le p_ii.1 funzionali (e non sempre) rappresentano oggi, o minacciano di rap-_ presentare, altrettanti ostacoli allo sviluppo equilibrato. Inoltrt:, tra le diverse aree, in virtù dello sviluppo delle reti e dei mezzi di comunicazione, si sono creati rapporti nuovi, al punto che la vita economica 2 GAMBI Lucio, L'equivoco tra compartimenti statistici e regioni costituzionali, Faenza 1963. 11 Bibliotecaginobianco

Ernesto 1\1.azzetti e sociale di certe province non gravita più sulle regioni di cui esse fanno parte, ma sulle regioni confi11anti. È senza dubbio giusto cercare di ripartire più equamente l'istruzione universitaria tra le regioni, ma perché i risultati della ripartizione siano positivi è indispensabile che il punto di partenza per ogni. iniziativa sia la realtà regionale riguardata sotto il profilo eco·nomico e demografico, e non già storico-ammi11istrativo. 6) Una politica volta a migliorare la distribuzione territoriale dell'Università dovrebbe prefiggersi due obiettivi fondamentali: co·ntribuire ad attenuare gli sqt1ilibri regio·nali e aume11tare il gettito annuo di laureati. Per quanto riguarda il contributo all'eli1ninazione degli squilibri, l'università può agire su due piani, economico-sociale il primo, geografico-urbanistico il secondo. 7) Il miglio,r funzionamento d'un ateneo, o - qualora mancl1i -- la sua istituzio·ne, permette un più celere ricambio delle classi dirigenti locali o l'introduzione in esse di stimoli nuovi con una influenza che sarà più o meno marcata a seco·nda che l'area su cui agisce l'università sia provinciale o regionale. La disponibilità di quadri ad alto livello, specie tecnici, consentita da una nuova università è, inoltre, di per sé un importante fattore di sviluppo, di richiamo di iniziative imprenditoriali. L'insediamento di nuo·ve industrie - scrive in pro·posito Luciano Gallino· 3 -- avviene con notevoli difficoltà ove non sia possibile reperire in loco uri numero di capi e quadri dirigenti adeguato alle necessità del nuo,vo impianto; « quando la scelta si orienti verso aree di tipo agricolo sottos_viluppato, itno dei maggiori fattori negativi sarà appunto la scarsità locale di quadri tecnici e direttivi, cui si contrappongono gli alti costi richiesti per trasferire in loco quadri dirigenti provenienti dai grandi centri urbani ». Queste affermazioni sono valide sopratutto per la Basilicata e la Calabria, dove l'istituzione di un'università può senza dubbio rappresentare un elemento di rottura in una realtà sociale ristagnante, sopratutto se si darà vita ad una università « diversa », no·n afflitta sin dalla 11ascita dai mali cronici delle altre università italiane, ma organizzata in base a criteri n1o·derni e ad indi- .,. 3 GALLINO LUCIANO, Questioni di sociologia industriale, Comunità, Milano 1963, pgg. 142-143. 12 Bibliotecaginobianco

Università e squilibri regionali rizzo spiccatamente scientifico. È quel che hanno chiesto il prof. Amirante, l'on. Franco e numerosi altri partecipa11ti al recente convegno di Cosenza, e quel che la nostra rivista, confortata peraltro da un coro di autorevoli voci, va scrivendo da qualche anno 4 • C'è perciò da sperare che, tornando ad occuparsi del problema, il Parlamento entri in quest'ordine di idee, scartando una vo1ta per tutte le proposte che vagheggiano facoltà decentrate, o che co:munqu.e no-n prevedono congrui stanziamenti intendendo come tali quelli che non scendono· al disotto di venti miliardi. _Per soddisfare le medesime esigenze di sviluppo· econo-mico e di rinnovamento dei quadri locali, anche· nella regione Trentino-Alto· Adige, che s'avvicina al milione d'abitanti, sarebbe necessaria l'istituzione d'una università, cui toccherebbe un non lieve co·mpito politico·: trattenere al di qua del p·asso del Brennero gli studenti altoatesini di lingua tedesca che o·ggi vanno a studiare in Austria. Cosa che sarebbe possibile ubicando a Bolzano la nuova università, dotandola di ampi mezzi e garantendone l'assoluto bilinguismo. 8) Sul piano geografico l'istituzio·ne di nuove università può esercitare un'importante funzione nella misura in cui contribuisce a decomprimere situazioni u~banistiche giunte al limite della co!ngestione, e ad attivare nuove funzioni in città che sono andate progressivamente depauperandosi delle loro energie. Anche in questo caso gli esempi più significativi si tro·vano nella realtà meridio 1 nale, che da un lato ci -ha mostrato lo svilupparsi di Napoli in quanto c~pitale e quindi punto di massima concentrazione di tutte le attività direzionali, amministrative e anche culturali del Mezzogio,rno, dall'altro la deb·olezza eco,nomica delle città .del Sud, la loro incapacità o impossibilità di attribuirsi autonomamente delle funzio,ni urbane moderne, e quindi di allacciare con la metropoli napoletana dei rapporti che non fossero di mera dipende~a, sì da creare una organica rete urbana meridio,nale. Alla base di tutto questo, sono state, è o,vvio, ragioni storico-politiche, così come ragioni storiche sono state all'o,rigine dell'autono·mo fiorire di. molti co·muni dell'Italia centrale e dello svilupparsi in essi di una 4 Per il dibattito sull'Università calabrese si veda.no gli atti del convegno ·organizzato dalla Provincia di Cosenza nei giorni 6 e 7 dicembre 1963, e in particolare la relazione del prof. Lùigi Amirante. Dello stesso si veda su Il Nuovo Osservatore n. 9, dic. 1962, « Il Mezzogiorno e la questione universitaria». Per Nord e Sud si veda il n. 16 (77) Aprile 1961. · 13 Bibliotecaginobianco

Ernesto Mazzetti vivace vita culturale, culminata sovente nella nascita di istituzioni universi tarle. Oggi i vincoli di dipendenza cl1e legavano a Napoli quasi tutte le città del Sud sono caduti. Ma mentre Bari, Salerno e, più recentemente, Taranto·, Brindisi, Caserta, sia pure grazie ad interventi esterni,. hanno acquisito spiccate funzioni economiche e direzionali nell'ambito delle rispettive province, altre città meridionali, in p·articolare quelle lucane e calabresi, si caratterizzano ancora per lo scarso dinamismo, la cui manifestazio,ne più evidente è sul piano demografico, in conseguenza della forte emigrazione di giovani in età di lavoro o di studio 5 • L'istituzio,ne d'una università calabrese può ostacolare la tendenza in atto e alleviare situazioni pato-lo·gicl1e sia trattenendo quei giovani che sinora so-no stati costretti ad abbandonare prematuramente la loro regione, sia trasformando in movimenti pendolari quei mo·vimenti che oggi sono migrato 1 ri. Si tratta di creare un polo di diffusione culturale così co·me si cerca, nel Sud, di creare dei p·oli di sviluppo economico; e ciò anche in obbedienza a quell'esigenza dell'azione meridio,nalista, più volte po1sta in rilievo da Francesco Compag11a, che si concreta in una politica di diffusione delle istituzio,ni cittadine in regioni tipic·amente contadine, e quindi di redistribuzio,ne della popo,lazione p·er tipi di insediamenti e per tipi di attività. Un centro universitario 1 ubicato a Cosenza, in virtù dei rapp-orti che legano questa città alle co-nfinanti province calabresi e lucane (rappo·rti che saranno ulteriormente rafforzati dopo l'entrata in funzio 1 ne dell'Autostrada Salerno-Reggio che, com'è noto, percorrerà la valle del Crati), può soddisfare il fabbisogno di istruzione superiore di un'area che abbraccia tutta la Calabria (esclusa, forse, Reggio, che probabilmente continuerà a gravitare sull'università di Messina, grazie ai più agevoli collegamenti via mare) e parte della Lucania. Da un lato, dunque, il centro universitario è in grado di offrire una nuova funzione urba11a alla città calabrese più favorita geograficamente, in quanto meno periferica, dall'altro· può operare un benefico salasso sugli istituti universitari di Napoli (che raccolgono 35 mila allievi, circa un terzo dei quali provenienti da centri ubicati al di fuori della provincia di Napoli) e sull'università di Bari (15 mila allievi), che mostrano segni palesi di congestione. E nella misura in cui gli studeuti calabresi e lucani, frequentando una università più vicina ai loro comuni di residenza, potranno risparmiare sulle spese che oggi s Per una esauriente indagine sull'entità dell'esodo delle forze del lavoro dalla Calabria cfr. la comunicazione del Dr. Medusa della SVIMEZ su Scuola e emigrazione in Calabria al Convegno di Cosenza. 14 Bibliotecaginobianco

Università e squilibri regionali sostengono per vivere e studiare a Napoli, Bari o Roma, essi saranno incoraggiati a scegliere, in luogo delle facoltà umanistiche che ora frequentano anche perché n1eno. costose in quanto articolate in un minor numero di anni di corso, delle facoltà scientifiche e tecniche, sfatando quel mito della vocazione « umanistica » meridio,nale, vo·cazione, un tempo, forse, legata a condizio:ni psicologiche, ma 01 ggi sopravvivente sopratutto a causa della scarsa possibilità di utilizzazione dei diplomati tecnici in certe regio·ni del Sud, o delle difficoltà ad accedere alle facoltà scientifiche 6 • 9) Veniamo ora al problema di aumentare il gettito annuo di laureati per raggiungere, entro il 1975, quegli obiettivi che a giusta ragione gli esperti dello SVIMEZ ritengono di fondamentale importanza ai fini di un ulteriore sviluppo della società italiana. Una considerazione preliminare, al riguardo, la fornisce lo stimolante rapporto inviato dal prof. Umberto Toschi alla Conferenza sulle nuove università promossa dal Consiglio d'Europa 7 • La domanda di licenziati dalle scuol~ universitarie - scrive il prof. Toschi - è « nazionale », e solo a titolo di studio e co·n larga approssimazione la si può articolare in suddivisioni territoriali definite. Al contrario·, osserva ancora il Toschi, il quadro regionale assume un rilievo essenziale per quanto riguarda « l'offerta» di laureati. Stando ai dati riferiti dall'ex vice-Presidente del Consiglio Superiore della P. I., prof. Raffaele Ciasca, il contributo delle diverse regio 1 ni italiane alla formazio.ne dell'« offerta » complessiva nazionale di studenti universitari e di laureati è notevolmente ineguale, con scostamenti negativi dalla media concentrati essenzialmente nel Sud. Su 10 mila maschi in età specifica, nel 1958, gli iscritti al primo anno d'università erano, in media nazionale, 126,8. Le regioni meridionali, però, con l'eccezio11e della Campania, erano al disotto di questa cifra: 120,3 iscritti su 10 mila in Puglia; 111,4 in Calabria; 89,1 in Lucania e 86,1 in Abruzzo-Molise. Per quanto riguarda i laureati, alla media nazio ... nale di 32,8 giovani su 10 mila in età specifica, faceva riscontro· la media calabrese di 29,1, lucana di 22,7, abruzzese di 19,7. Campania e Puglia - ambedue dotate di sedi universitarie - superavano invece la media rispettivamente con 43,7 e 41,2. 6 Al riguardo cfr. ancora AMIRANTE: « Il Mezzogiorno ecc.» su Il Nuovo Osservatore cit. 7 TOSCHI U., Considérations et motifs entrant en jeu lors de la création de nouvelles Universités (ou institutions équivalentes) en Europe, ·Bologna 1963. 15 Bibliotecaginobianco

Ernesto Mazzetti È agevole dedurre da questi dati che le regioni meridionali contribuiscono al soddisfacimento del fabbiso,gno _ « nazionale » di laureati in misura inferiore alle loro possibilità demografiche, e che, quindi, in esse, come nelle altre regioni ove si risco,ntra la medesima situazio:ne, va sollecitamente potenziato 1 il « reclutamento » dei giovani per l'Un~- versità. Questo obiettivo può essere raggiunto in due modi: o rendendo più confo 1 rtevole e meno dispendioso il trasferimento dei giovani cala- . bresi, lucani e abruzzesi nei centri universitari di Napoli, Bari, Roma; o-ppure aprendo nuove università che assorbano in loco i licenziati e i diplomati delle scuole secondarie. 10) La scelta tra le due possibilità do·vrà dipendere da comparazioni di costi, ma non solo da queste. Il prof. Toschi ha es.presso i termini essenziali del problema co-n grande efficacia: « Due tendenze - egli scrive nel rapporto citato - si fronteggiano: l'una a localizzare gli istituti universitari in piccoli aggregati che ne ricevano un tipo di specializzazione (città universitarie), l'altro a localizzarli nelle grandi città ... Attualmente si p-uò dire che le due tendenze si equilibrino. Con dei correttivi. Le grandi città e, per conseguenza, le « grosse » università presentano dei vantaggi. Questi potrebbero riassumersi in . termini di scienza economica nelle 'economie esterne' consentite ad ognuno degli elementi di questi grandi insiemi. Ma; co-me si sta constatando nell'industria, vi è un limite al dilatarsi di queste economie esterne. Al di là di esso l'accrescimento diviene antieconomico ». A noi pare che l'antieco;nomicità sia appunto la caratteristica dell'ulteriore ingigantirsi delle « grosse » università di Napoli e Roma 8 • Porle in grado di ospitare più economiçamente e co·nfortevolmente un maggior numero di studenti meridionali implica almeno la costruzio•ne di nuovi co,llegi e pensionati. Ma fermarsi ai collegi equivale a restringere il concetto dell' « ospitalità » al solo aspetto edilizio; mentre, al contrario, ci pare che esso vada allargato sino a comprendere lo stesso funzionamento delle facoltà e degli istituti; quindi un problema di attrezzature, di perso,nale insegnante e assistente. Cosicché, se per attenuare gli squilibri regionali e per impedire che città piccole e medie divengano troppo piccole e che grandi città sfiorino l'apo·plessia è utile percorrere la via che conduce alla migliore ripartizione territoriale delle sedi universitarie o all'istituzione di nuove sedi, percorrere la stessa via diviene addirittura indispensabile, - anche s Un eloquentissimo esempio straniero è dato da Parigi. In proposito GRAVIER F., Paris et le desert française, Flammarion, Paris 1954. 16 Bibliotecaginobianco

Università e squ.ilibri regionali se costa di più, quando si voglia aumentare il reclutamento degli studenti e adeguare il numero dei laureati ai bisogni del pro·cesso pro·duttivo. 11) Ci sembra che su questa strada lo Stato sinora si sia lasciato · trascinare a rimorchio dalle iniziative di singoli enti o di consorzi di comuni, province ed altri organismi. Non c'è dunque da stupirsi - pure se di ciò, certamente, bisog11a dolersi - se il suo cammino è stato estremamente oscillante e irregolare. L'istruzione superiore, è appena il caso di ripetere, riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo del nostro paese. Già è inconcepibile la scarsa attenzione finora dedicata alle condizioni delle università esistenti e della ricerca scientifica, deplorevole la modesta entità dei fondi destinati all'istruzio·ne superiore; e colpevole la totale assenza di una organica politica per l'Università che ha caratterizzato quasi tutti i governi succedutisi negli ultimi anni. Ma è addirittura assurdo che, riguardo all'istituzione di università o facoltà nuove, lo Stato co11tinui ad affidarsi co1 mpletamente alle iniziative locali. Perché, delle due l'una: o la creazione di istituti universitari in questa o quell'altra provincia risponde ad una accertata esigenza dell'istruzione superiore nazionale nel suo complesso, ed allora sarebbe dovere dello Stato assumersi l'onere e la guida dell'iniziativa; oppure la creazione dei medesimi istituti non risponde alle medesime esigenze, e può quindi rapp_resentare uno spreco di energie e di fondi che andrebbero- meglio impiegati altrove, ed allora lo ·Stato fa malissimo a non scoraggiare l'iniziativa, o ad _avallarla attraverso il riconoscimento della nuova istituzione universitaria che finisce per concedere dietro pressione dei soliti parlamentari locali assetati di benemerenze e di voti dei com- • paesam. Il problema della ripartizione regionale delle sedi universitarie è, senza dubbio, uno dei più importanti problemi dell'istruzio·ne superiore italiana. Se si è avvertito il bisogno di affrontare quelli, tra essi, che si ricollegano alle strutture delle facoltà, ai ruoli e allo1 stato giuridico del personale insegnante, all'assistenza agli studenti, all'organizzazione della ricerca, demandando a commissioni di « saggi » il compito di studiare le possibili soluzioni, non vediamo perché un a11alogo impegno di approfondimento e di studio non debba essere rivolto anche alla soluzione del problema della ripartizione .delle sedi, che non è certo meno· importante degli altri. 17 Bibliotecaginobianco

Ernesto Mazzetti 12) A nostro avviso, proprio questo aspetto della crisi universitaria dovrebbe essere affrontato attraverso un piano organico, elabo 1 rato tenendo conto del fabbisogno, attuale e futuro di istruzione superiore del p·aese e delle singole regio,ni. Un piano, capace di far raggiungere alle università esistenti le massime dimensio,ni compatibili col massiII?-o della funzionalità, quindi dotato di forza operativa sufficiente a decongestionare, attraverso opportuni decentramenti di facoltà, le sedi troppo grosse, a specializzare in particolari branche di ricerca le sedi troppo piccole o addirittura a fonderne insieme qualcuna. Un piano-, inoltre, che decida l'ubicazione di eventuali nuove sedi universitarie alla luce di obiettive valutazioni di natura geo-grafica, in base - come specifica il Toschi - << alla situazio-ne nodale nella rete dei trasporti e delle comunicazioni e al rapporto di distanza con le grandi concentrazioni esistenti e con le altre sedi d'istruzione superiore del pari già esistenti », e non già in base alle richieste, più o meno motivate da ambizioni di ca1npanile, di singoli comuni o province. L'obiezione che un piano statale per la più equa distribuzione· geografica dell'istruzione superiore contrasterebbe con l'autonomia ch'è presidio e vanto dell'Università non è pertinente per tutto· quanto riguarda auto,no1 mia dei programmi e del funzio 1 namento delle facoltà e lo è solo in parte per quanto: riguarda l'istituzione di eventuali nuove facoltà o istituti. Libero, infatti, ogni comune od altro ente di istituire nuo·ve facoltà più o meno collegate ad università già esistenti, ma altrettanto libero lo Stato di rifiutare il ricono,scimerito- pubblico ai titoli da queste rilasciati e ogni contributo finanziario, ove le iniziative dei singo1i enti contrastino con le indicazio·ni del piano. Ogni obiezione, d'altro·nde, non dovrebbe prescindere dalla considerazione che il problema geo·grafico dell'Università, prima ancora di essere un problema « universitario » è, come osserva ancora il Toschi, « una questone di politica di localizzazione, che s'inserisce nella politica generale di pianificazione territoriale ». Una felice ·soluzione di esso è, insieme, condizione essenziale per il miglio,ramento delle strutture universitarie e per lo sviluppo della società italiana. ERNESTO MAZZETTI i. 18 Bibliotecaginobianco

Dall'idealismo alla • storia di Raffa,elloFranchini Ci si intenderà mai con coloro i quali continuano, con monotona insistenza, a ipotizzare uno sviluppo uniforme e perciò stesso involutivo della filosofia idealistica italiana del nostro secolo? Con quanti, f~rmi al vieto e fuorviante cliché del « neo·hegelismo », e magari ostinatamente attaccati a una tutta estrinseca fedeltà verso, la sua tradizione, non temono nemmeno il paradosso cui necessariamente li co-nduce il loro amore delle etichette e il loro innato orrore per le difficili sfumature del processo storico, il paradosso, cioè, di negare, in nome appunto di una pretesa e onniagguagliante orto-dossia hegeliana, qualsiasi originalità speculativa al fecondo movimento di idee che si sviluppò, ad opera del Croce e del Gentile, nella prima metà del secolo presente. Tale negazione viene fatta, assai dall'esterno, considerando che, se in Francia e nei Paesi anglosassoni sorsero nel Novecento appena iniziato delle filosofie nuove, come l'intuizionismo o il pragmatismo, in Italia invece si rimase fermi a una tradizione di pensiero che altrove veniva accantonata o considerata ormai come un semplice ricordo. Estrema vanità delle classificazio·ni e delle osservazioni puramente esteriori! Il pensiero umano, infatti, progredisce quasi sempre per vie insospettate e comunque sempre in guisa del tutto indipendente dalle forme esterne che inevitabilmente assumono le filosofie. Per quanto riguarda l'Italia, ad esempio, che è poi il caso nostro, il discorso con Hegel venne ripreso no·n senza che, col Croce, e non certo col Gentile rimasto fermo alla tradizione ortodossa dei Fischer e degli Spaventa, gli acquisti più significativi della filosofia contemporanea, specie nel campo de~la critica della scienza, venissero messi fruttuosamente a confro-nto e fatti reagire con la struttura antiquata ma poderosa e ricca di suggestioni feconde del sistema idealistico, e perciò stesso metafisico, costruito senza troppi riguardi per la realtà e per il concreto dal grande filosofo di Stoccarda. Quando si possederà tutto il materiale documentario, (e dovranno ancora passare molti anni, anche se fin da ora parecchi punti si p,ossono ormai considerare acquisiti a una più spregiudicata indagine) si vedrà che la corrente più legata al vivo delle ricerche storiche, più aderente al concreto delle indagini particolari di estetica e di filologia, più attenta e appassionata al mondo 19 Bibliotecaginobianco

Raffaello Franchini della politica, è quella che ·dal vecchio tronco dell'hegelismo, trapiantato in Italia_ e opportunamente sotto-posto a: innesti e ringiovanimenti, ha saputo cogliere frutti ancora oggi fecondi, capaci di nutrire nuove ricerche, di ispirare nuovi pensieri anche al cospetto di altre o ulteriori filosofie che, come la fenomenologia, l'esistenzialismo e il neopositivismo, una volta ancora, si sono• dimostrate spesso soltanto più abili nell'arte di travestire con nomi nuovi cose abbastanza vecchie. Ma questo discorso su ciò che domani lo storico dell'idealismo crociano e gentiliano potrà meglio verificare e racco,ntare si può ormai anche, in parte non tras~urabile, avviare sulla base di un'importante documentazione venuta alla luce nelle scorse settimane, che, in misura assai maggiore per le Lettere dell'Omodeo e in maniera non trascurabile per gli Scritti politici del De ~uggiero, fornisce un punto nuovo di osservazione delle. tappe lente ma sicure che alcuni tra i migliori discepoli del Croce e d~l Gentile, sull'esempio soprattutto del primo, compirono, segnatamente nel secondo ventennio del secolo, lungo la via di un deciso trapasso dall'idealismo alla storia, dalla n1etafisica alla metodologia, dall'astratto al co·ncreto 1 • Molto di questo sapeval!lO soprattutto attraverso la lettura delle opere di Omodeo e segnatamente di quelle concepite nel lu~go periodo, che fu il conclusivo della sua troppo presto interrotta attività di studioso, della collaborazione alla «Critica» (1929-1946): egli· stesso ce ne aveva magistralmente indicato i moventi, l'impegno, il significato in due bellissimi saggi 2 • Ma ora la pubblicazione dell'Epistolario, anche se privo purtro·ppo della parte relativa a Croce, che certo· per tanti riguardi poteva essere forse la più significativa, ci fornisce uno strumento imprevisto, di enorme utilità per do-cumentare, attraverso la figura del suo maggiore rappresentante, i momenti decisivi di quella. conversione alla storia che costituisce la peculiarità e in fo-ndo il vero titolo d'ono,re dell'idealismo italiano rispetto non solo ad altri idealismi, ma, co·me vedremo, rispetto· a tutta la filosofia co.ntemporanea. Codesto itinerario ideale non deve, a lettura dell'epistolario ultimata, distrarci, però, dal considerare e sottolineare quello che, a nostro avviso, meglio lo spiega e giustifica: la formazione e l'affermazio,ne di una personalità eccezionale non solo sul piano delle attitudini alla . 1 Si parla dei volumi: A. OM0DE0, Lettere: 1910-1946 Prefaz. di A. GalanteGarrone, ed. Einaudi, Torino, 1963; e G. DE R·uGGIERO, Scritti politici: 1912-1926 con introduzione a cura di R. De Felice, ed. Capp·elli, Bologna, 1963. ' 2 Cfr. A. OM0DE0, Trentacinque anni di lavoro storico ora nel voi. Il senso della . - , storia (Torino, 1955) e La collaborazione con Benedetto Croce durante il ventennio· ora nel vol. Libertà e storia (Torino, 1960).· ' 20 Bibliotecaginobianco

Dall'idealismo alla storia ' ricerca storica, ma su quello etico e, nei limiti in cui l'etica si fa concreta ed umana nella vita delle comunità, anche politica. Co-me tutte le personalità di eccezione, Ornodeo• aveva un istinto quasi medianico del pro·prio- destino umano. Giova11issimo, si prefigurava l'avvenire non già nell'astratto programma del carrierista, ma nella sicurezza e vivacità prorompenti degli interessi e dei problemi, al chiarimento dei quali egli sentiva come missio·ne in senso• ·mazziniano- di dover dedicare tutta la vita. Aveva, nel 1912, appena terminato di rielaborare il suo Gesù e le origirii del cristianesimo, che, ricavato dalla sua tesi di laurea, avrebbe visto l'anno successivo la luce nella collezione di studi filosofici diretta dal Gentile presso il Principato, e già pensava al proseguimento dell'opera, già. meditava il Paolo e il completamento della sua Storia delle origini cristiane: « D'una cosa sono ... sicuro - scriveva nella lettera del 6 maggio 1913 - che il mio Paolo verrà meglio assai del mio Gesù. Ormai sento· di esser di molto maturato nell'indagine storica, e mi sento capace di tentare una sto1 ria molto più vasta, dagli o-rizzanti molto più ampi. Il pensiero· cristiano voglio considerarlo in, tutta la sua pienezza, in tutta la sua efficacia sociale. E cosa bella certo dovrà venir fuori: cosa non mai tentata ». E pochi mesi più tardi (a Eva Zona, 24.4.1914): « vado leg_gendo a spizzico frammenti di storia del Risorgimento. Mi riassale il desiderio di qu.esti studi. Ah, se vinc~ssi il posto di Roma! Certo·, la storia religiosa non_ mi assorbirebbe del tutto ». V'è qui, in queste brevi battute, l'essenziale del suo grande piano di lavoro, la testimonianza del nascere spontaneo, irresistibile di quelli che possono venir considerati i maggiori interessi della sua vita di studioso : le origini _cristiane e il Risorgimento, illuminati. l'uno mediante l'altro co,n una versatilità e competenza -insieme che sono rarissime negli storici di mestiere e insieme con la consapevolezza di una scelta metodologica che verrà mirabilmente confermata negli anni maturi e che tuttavia in una lettera dal fronte alla moglie, del 26 agosto 1917, trova espressio,ne precisa ·e lapidaria: « Avrei bisogno di letture e studi estranei al mio argomento. Storia antica, filosofia, storia del Risorgimento, po,ljtica. La cecità che produce l'argomento unico è tremenda: accade che la visione s'annebbia, perde sfo·ndo e contorno·, e diviene qualcosa di tedesco. E questo non voglio ». Anche dal fronte, in una delle tante stupe11de lettere dal fronte, quasi tutte alla mo·glie, che da sole potrebbero costituire un epistolario a sé e una sezio,ne esemplare dei Momenti della vita di guerra, la celebre raccolta pubblicata dallo stesso Omodeo trent'anni or sono, viene il preannunzio di un altro dei temi caratteristici della sua storiografia, il mondo greco, con particolare riguardo 21 Bibliotecaginobianco

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