Sergio Ristuccia giuoco, si ripropone qui la necessità, come già si è detto•, della programmazione comunitaria. Cosa dire, a questo punto,· riguardo al problema degli investimenti americani in Europa? Com'è noto, poco dopo la rottura delle trattative per l'adesione della Gran Bretagna alla CEE, questo problema è stato l'oggetto .di una vivace polemica iniziata da parte francese. I~ verità, a partire dalla creazione della CEE, vi è stato un notevole afflusso di investimenti americani in Europa. Per fare qualche esempio, nel solo 1962, secondo dati riportati dalla stampa francese, l'industria automobilistica tedesca avrebbe usufruito di investimenti americani dell'ammontare di ben 432 milioni di dollari, pari al 70 per cento degli investimenti diretti americani nel MEC; e l'industria chimica, specialmente olandese, avrebbe fruito di 62 milioni di dollari, cifra che si prevede salirà a 87 milio,ni nel 1963 .Alcuni avvenimenti vistosi, come l'acquisto da parte della Chrysler del pacchetto azionario· di controllo della SIMCA, l'installazione in Francia di circa 100 imprese americane· nel corso di pochi mesi, il progetto della Società Libby di impiantare nel Gard o nell'Hérault una grande industria di conserve alimentari, hanno messo in allarme non solo il governo gaullista, ma anche gli ambienti di si11istra. Sarebbe, in v.erità, difficile cogliere differenze sensibili nel contenuto di siffatte preoccupazioni se si astraesse dai quadri di riferimento ideologico-politici rispettivamente del gaµllismo e degli ambienti di si-· nistra, come, per esempio, il gruppo di France Observateur. Un problema sollevato da sinistra è la presumibile contradditorietà fra la libertà concessa agli investitori americani e le esigenze di una programmazione europea. È probabile, si dice, che i grandi oligopoli am·ericani pianifichino lo sviluppo in Europa di taluni importanti settori industriali prima ancora che gli europei riescano ad avviare qualche efficace forma di programmazione; con il risultato che la stessa possibilità di una programmazione europea ne potrebbe venire pregiudicata. L'argomento appare degno di riflessione. Quanto all'entità del fenomeno i dati forniti dalla Commissione della CEE nel marzo scorso, in risposta ad un'interrogazione del parlamentare europeo René Pleven, pur limitati al periodo 1956-1961, sembravano ridimensionare il problema. È vero, infatti, che, dal momento dell'entrata in vigore del Trattato di Roma (inizio 1958) alla fine del 1961, il valore degli investimenti diretti effettuati dalle imprese americane nella CEE è aumentato dell'81 %; ma è pur vero che a questa data tale valore non ragiungeva ancora il 10% del totale degli investimenti diretti americani all'estero. Non solo: sempre alla 20 Bibliotecaginobianco
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