Nord e Sud - anno X - n. 48 - dicembre 1963

Recensioni emerge decisamente sulle altre: « l'industrializzazione ha ... direttamente contribuito a rinnovare il vocabolario della lingua e dei dialetti attraverso l'immissione nelle attività agricole, nell'ambito domestico, in tutt'intera la vita quotidiana, di una massa d'attrezzi, oggetti, utensili, ciascuno dei quali è dotato non solo di identiche caratteristiche obiettive, ma anche d'una stessa denominazione valida in tutto il territorio » (pp. 63-64). E poi, naturalmente, la scuola. Ma se essa ha costituito l'arma primaria nella lotta contro l'analfabetis1no, cioè contro l'uso esclusivo dei dialetti, soprattutto nel suo settore più direttamente impegnato, l'istruzione elementare, a lungo ha dovuto venire a pesanti compromessi con l'avversario, usando il dialetto in quelle aule (quando c'erano) che erano state create proprio per sbandirlo. Compromessi che appaiono più gravosi quando si pensi al manzonismo imperante nelle sfere direttive della P.I. fino agli inizi del nostro secolo; per esso, estirpare la « malerba dialettale » era ragione di vita. Né si può certo annoverare al suo attivo il fenomeno dell' « ipercorretismo scolastico » al quale il fiorentinismo dette vita, soprattutto nella scuola media, quasi per rifarsi delle un1-iliazioni subite. Ma qui per spiegarsi la genesi e la morte di questi fenomeni occorre passare dal dominio delle statistiche al regno delle idee. Dal '60 alla fine del secolo, la letteratura italiana è stata oltremodo ricca di fermenti, di correnti, per un verso o un altro, di opposizione al manzonismo degli epigoni; e tutte quindi - il verismo in testa - generatrici di opere « scritte male» rispetto ai moduli dei neopuristi. Questa realtà culturale, a mano a mano divenuta « mag,gio,ritaria », ha contribuito in maniera notevole al diffondersi di un fenomeno· anco,ra oggi in atto, l'affermarsi delle « varietà regionali d'Italiano», che trovano, si potrebbe dire, il loro blasone artistico nella lingua parlata dai pescatori dei Malavoglia. Si aggiunga che nello stesso periodo il Pascoli operava _ un'analoga rivoluzione nel settore in cui la tradizione era più vistosamente operante, quello della poesia. E si comprenderà quindi perché si debba mettere in rilievo come momento- risolutivo di un processo, « la semplicità e per dir coisì, la tranquillità scevra di polemica con cui Croce agli inizi del Novecento considerò chiusa la vecchia « questione della lingua» (p. 118). È un atteggiamento che giustamente il De Mauro collega alla « svolta che, nei medesimi anni, si verificava nelle condizioni linguistiche dell'intera società italiana: si poteva tranquillamente sottolineare la funzione della creatività e della spontaneità linguistica contro la pedanteria, si poteva mettere da parte come invecchiato il lessico arcaizzante e volgersi alla lingua quotidiana viva e moderna, poiché in quegli anni, per la prima volta nella storia d'Italia, la lingua nazionale si avviava a diventare una realtà davvero quotidiana e viva in tutto il paese, uno strumento usato da milioni di persone, · che con il loro stesso numero, rendevano difficile ad attuarsi i vecchi intenti . . puristici e pedanteschi» (p. 118). Per restare in sede letteraria, può essere persino superfluo mettere l'accento sulle nuove possibilità espressive derivate da tutto questo e nella narrativa a nella poesia italiana. Ma una volta consolidatosi questo imponente processo di promozione 109 Bib_liotecaginobianco

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