La finanza delle Regioni a statuto ordinario le Regioni a secondo del rispettivo fabbisogno 18 • Perciò, circa 195 miliardi sui 200 miliardi che, secondo la Relazione che acco·mpagna il disegno di legge dovrebbero costituire il costo globale delle Regioni, deriverebbero da partecipazioni: il restante 2,5% del fabbisogno complessivo andrebbe coperto, invece, da una addizionale all'imposta comunale sulle industrie, commerci, arti e professioni (I.C.A.P.). Le partecipazioni costituiscono, dunque, nella finanza regionale italiana, il mezzo di finanziamento che si ~itiene debba essere largamente prevalente. In questo lavoro, intendiamo verificare se una così accentuata prevalenza sia effettivamente giustificata, o se non sussistano invece motivi fondati per far ritenere auspicabile il ricorso ad altri strumenti, che riducano, se non eliminino, il prevalere delle partecipa- • • ZIOnl. 4. - Le partecipazioni indubbiamente presentano notevoli vantaggi, che, ad esempio, hanno giustamente indotto alcuni studiosi a sostenerne una maggiore applicazio·ne nel nostro sistema di finanza comunale 19 • Infatti, per quanto riguarda il pro·blema dell'assicurare alle autorità locali una sufficiente autonomia, questa, attraverso il sistema delle partecipazioni, è concretamente garantita, essendo agli Enti locali attribuite entrate indipendenti dalle decisioni o dall'atteggiamento del potere .1s Al meccanismo di ripartizione previsto faremo ampiamente riferimento p·b~1 oltre. Per quanto riguarda le linee generali del progetto di legge, deve osservarsi che di una delle imposte da concedersi in partecipazione alle Regioni (l'imposta di registro) non molto tempo dopo la presentazione di tale progetto, si proponeva l'abolizione, da parte del massimo organo tecnico consultivo in materia finanziaria oggi operante in Italia, la « Commissione per la riforma tributaria»: ciò fa sorgere fondati dubbi sull'effettiva sussistenza di una sufficiente coordinazione tra progetti e proposte avanzati da organi ufficiali e relativi alla finanza pubblica. Ciè da chiedersi, oltretutto, se l'inserimento stesso di una finanza regionale accanto alle finanze centrali e locali italiane non debba avvenire in modo tale che i suoi effetti sul sistema fiscale nel suo complesso siano tenuti in conto, in modo tale, cioè che quest'ultimo sia ristrutturato in funzione della sua nuova çomponente, la· finanza regionale, non trascurando nessuna rilevante alternativa. Sarebbe estremamente pericoloso per la coerenza del nostro sistema fiscale futuro considerare la riforma del sistema fiscale ora in atto e l'inserimento in esso della finanza regionale due problemi distinti. 19 Si veda, ad esempio, PARRAVICINI G., L'imposizione diretta dei Comuni e delle Province, in « Studi Economici», 5-6 1961, pp. 514-539. Il Parravicini, tuttavia, si riferisce (p. 517) ad una partecipazione determinata « sulla base di criteri obiettivi, rigidamente :fissati dalla legge, e sottratti alla discrezionalità amministrativa, come la popolazione ed altri indici, sociali ed economici, inerenti all'ente stesso, senza rapporto col quantum pagato dai suoi abitanti». In tal modo « si opera una redistribuzione dei redditi dalle collettività riccl1e a quelle povere: si attua il principio di esigere da ciascuna secondo il fabbisogno e questo è, d'altro canto, supposto uguale per tutti i cittadini dello Stato ». La Commissione Tupini, come vedremo, ha raggiunto conclusioni del tutto diverse da quelle del Parravicini. 29 Bibliotecaginobianco
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