Nicola Pierri il simbolismo, il misticis1no e la n1orte. Io sono più cauto, o più mediocre». A proposito di Pavese, anche in altre osservazioni che· il diario di lui gli suggerisce Ottieri mostra di sentirsi a lui simile, ma insieme diverso: più fiducioso, meno egocentrico - ed ovviamente meno lirico. Della civiltà industriale concreta Ottieri ama accumulare esperienze su esperienze: attento alle tec11iche, agli uomini, alle condizioni ambientali e storiche, alle nuove posizioni umane e politiche che si producono. Ne nascono le note del diario che, senza dubbio, preferiamo: molte volte anche come resa letteraria. Numerose e folte, esse tessono di foglio in foglio una trama smagliante, che nell'ultima terza parte del libro s'infittisce e domina, come resoconto della vita d'azienda e dei contatti sindacali. L'esperienza del mondo dell'industria gli apre vedute storiche suggestive, come questa della figura di Mussolini, ove fascismo e padronato industriale italiano s'illuminano a vicenda: « Nella biblioteca ci sono gli Scritti e Discorsi di Mussolini. Da qt1este pagine rombanti non esce una figura di tiranno, ma quella più modesta e burbanzosa di un padro·ne. Mussolini somiglia a uno degli industriali venuti dal nulla, che accentrano tutto il potere e trattano i dipendenti (anche quelli nominati direttori generali, procuratori, ecc.) come dei segretari privati. L'azienda di Mussolini era l'Italia. Se ne era impadronito con una specie di colpo borsistico. Come i suddetti padroni, Mussoli11i usò sempre della sua origine popolare a scopo demagogico. Non compì alcuna elaborazio,ne critica, organizzativa, della propria ascesa e del rapporto capo-gregari-massa. Pur avendone la mania, non fu mai la coscienza del popolo. Gettava in pasto cruda ai contadini e agli operai la sua origine simile alla loro e tale dato di natura doveva giustificare tutto. Mussolini è stato un prodotto della scarsa civiltà del capitalismo nostrano e di tecniche padronali arretrate. Ma a differenza di molti capitalisti che lo stesso aumentano magnificamente il fatturato delle loro aziende, dopo anni di una prosperità apparente, mandò tutto in rovina. Fu tradito dalla 1nania di se stesso, e dalla mania-necessità della guerra ». Così pure restano nella memoria certi particolari proble1ni dell'organizzazione del lavoro, per esempio quello fondamentale dei tempi, con tutte le sue implicazioni 11mane sociali e politicl1e (e colpisce, se non persuade al tutto, un'osservazione sullo stakanovismo: « Dicono che in Russia il tempo lo dà lo stakanovista, una specie di fuggitivo cl1e guida il gruppo, degli inseguitori. È un onore tener dietro allo stakanovista. Davvero? Questa sarebbe, sul serio, la rivoluzione. La rivoluzione è compiuta il gioirno della morte dell'alienazio·ne, quando gli operai desiderano loro i tempi stretti. .. »). Pure alla fine tanto entusiasmo per il mondo del lavoro, tante esperienze (in gran parte compiute presso la più moderna ed umana delle industrie italiane, la Olivetti) si concludono nel libro con un senso di fallimento: « Lo straordinario Direttore Generale, co•n il suo aziendalismo euforico ed acutissimo, col suo eterno programmare il futuro», dà ad Ottieri « un senso di entusiasmo e di morte». E che « la via aziendale alla classe operaia» gli appare « unà via lunga; ma alla fine cl1iusa. O ci trovi in fondo, il padrone, 220 Bibiiotecaginobianeo
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