Nord e Sud - anno X - n. 42-43 - giu.-lug. 1963

./' Recensioni fatica morale e del collettivismo»; ed è libertà « creare ... esprimersi, imbroccare un nuovo giusto linguaggio». Ma le due libertà sono tra loro avvertite in contraddizione perpetua. Il suo dilemma, letteratura o sociologia, parte dunque da un fondo nevrotico, ma per arrivare alla difficile scelta tra due reali libertà. Così è d'altronde per altri binomi prodotti in lui dal « profondo »: classe di nascita e classe di elezione, senso della vita individuale e dei valori collettivi, freudismo e marxìsmo, agricoltura e industria, dirigenza e lavoro manuale; e così via. È questo che lo distingue tra i diaristi dei conflitti interiori e delle velleità sociali. La vera salvezza dalla nevrosi, il vero riscatto, è in lui l'intelligenza concreta, una sorta d'immediato senso della realtà. L'ambiguità profonda del suo libro è in ciò: che Ottieri è e non è un introverso, così come è e non è un « intellettuale di sinistra », simile ai tanti che oggi si descrivono e cl1e egli stesso descrive. Già con tutto il suo voler essere un intellettuale di sinistra - e per esserlo si è staccato da Roma, « come uno va a frequentare una scuola in un'altra città» - si accorge ben presto dei due pericoli opposti: del darsi da fare senza vero costrutto, così, da lontano, per la classe lavoratrice, « come per un miraggio»; e della routine quotidiana di partito, in cui, fuori che nelle grandi occasioni, « l'ideologia pare si frantumi. .. e stia talmente alle spalle che la spinta del suo alito non arriva più ». Donde la necessità di capire la condizione operaia, d'immedesimarsi in essa: necessità che egli non sente condivisa da molti marxisti. Ma non solo quella condizione, bensì ogni altra gli si configura davanti agli occhi con precisione. Qualcuno ha osservato che egli adopera con profitto anche sugli altri le armi affilate per la vivisezione di sé stesso. E indubbiamente l'abitudine all'introspezione gli giova nell'intuire e descrivere gli altri. Ma più gli giova il gusto del reale, che è, poi, per dirla propriamente, il gusto e il senso della storia. Gli stessi suoi intimi contrasti, a ben osservare, spesso s'identificano coi dilemmi politici e sociali che conosce - e deve conoscere, perché sono un portato della storia - tutta la nostra generazione. Di qui il consenso del lettore, se non a molte delle soluzioni intraviste da Ottieri, certo a moltissimi dei problemi da lui posti. Questi problemi egli ama vedere nella loro concretezza, fuori d'ogni preconcetto e senza misticismi. Prendiamo ad esempio il suo interesse per la condizione operaia. Ottieri rifugge d'istinto non solo dai cosiddetti « filosofi » della sinistrai che trattano gli operai come concetti, ma anche dal 110n molto diverso « scientifismo » ·dei marxisti professionali ( « O., comunista, mi accusa e sbeffeggia perché leggo la Weil. L'identificazione con la classe operaia è proibita. Il marxismo è -scientifico, scienza dell'uomo come scienza dei fiori. Si vede che il mio atteggiamento non è scientifico » ). Egli preferisce nettamente l' approach umano, alla Weil apptmto: la quale, « sì, è masochistica; 1na onesta». Se non che, egli evita pure ogni esasperazione psicologica individuale di quell'interesse umano: « Curiose analogie tra il diario di Pavese e quello della Weil: da una realtà che essi scoprono con passione, vanno ambedue verso 219 Bibliotecaginobianco

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