Nicola Pierri ragione. Come il titanismo ron1antico aveva - accanto agli eroi - i « milites gloriosi», così anche il freudismo moderno ha i: suoi posatori. Ma non è questo che conta (e poi non sarebbe certo il caso, di Ottieri). Né d'altronde la protesta e la volontà di cura contro la malattia - il freudismo - va confuso con la malattia stessa. V'è qualcosa di nobile nel nostro « mal d~ siècle », come v'era qualcosa di nobile nel malore romantico. Ma v'è pure un elemento estremamente individualistico, un egocentrismo feroce; e questo ripugna alla conclamata socialità. Giacché ormai un'altra posizione spirituale s'accompagna spesso al freudismo in molti letterati ed artisti: l' « impegno » sociale, quando non addirittura la professione di marxismo: quasi a trovare in questo - che vuol essere lezione di realismo e al postutto è volontà di vita - un appiglio o un sostegno contro quel dissolversi della realtà oggettiva che è insito nella « psicologia del profondo» (senza contare, e sia detto non certo con l'intenzione di una volgare malignità, una specie di « complesso di colpa» del'intellettuale d'estrazione aristocratica o borghese, specie poi se benestante, per il mondo operaio). Tutto questo c'è nella Linea gotica di Ottieri; eppure c'è anche moltissimo altro di ben diverso o di opposto. Sicché la plurivalenza della sua scrittura vi raggiunge una sorta di perfezio•ne involontariamente beffarda. La « linea gotica» a cui questo diario s'intitola non è quella dietro cui si ostinarono in difesa le trup•pe tedesche e i fascisti, anche se press'a poco geograficamente coincide con essa. È una « linea gotica, mentale », che « taglia l'Italia» in maniera più permanente, dividendo due mondi, due civiltà. Nei dodici anni del diario (1948-1959) l'autore protagonista la passa e ripassa, perché così trascorre senza posa dall'uno all'altro polo delle contraddizioni in cui nevroticamente si agita. Così, « i dilemmi spirituali, dell'anima, si proiettano nella geografia. U11a scelta interio,re si camuffa da scelta di una città e non è nemmeno del tutto un camuffamento». Milano è il lavoro moderno, l'esperienza dell'industria, l'indagine sulla condizione operaia e sul neo-capitalismo: la politica, lo studio sociolo~ico, il lavoro, l'amicizia, infine, con Musatti, a soddisfare la sua passione e il suo bisogno di scienza psicanalitica; ma tuttavia ancl1e un perdersi « nella selva delle sovrastrutture», anche· il senso di una duplice « alienazione », se così posso dire: sua, di nevro•tico (davanti ali'« onesta - e noiosa - vita associata e produttiva »), e collettiva degli operai e degli impiegati. Roma, e con essa tutto il centro e il meridione, sono la gioia di vivere, la mancanza di respo-nsabilità, la natura; in essa sono, infine, le condizioni e i succhi della sua vocazione alle lettere. Roma è l'essere, Milano il dover essere. Ecco dunque, ancora, i due poli di ogni sua scrittura, la sociologia e l'arte, apertamente confessati, ma anche calati in una generale condizione nevrotica. In questo modo, egli costringe al silenzio noi critici ed esortatori. Sono fatto così, sembra dire. La mia costituzione nevrotica mi n.ecessita ad essere così. È una spiegazione non certo disarmata, se non apparentemente, ma in fondo sincera. È che egli ambisce alla luce, alla libertà: è libertà costruirsi una vita non inutile, ·fatta « del dover essere, del lavoro, dell'impegno civile, della 218 Bibliotecaginobianco
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