Recensioni gente», e il caos programmatico delle opere informali? Se esiste un nesso fra queste due realtà, può consistere soltanto nella loro reciproca esclusione, giacché non si scorge proprio la possibilità di dialogo tra chi abiura se stesso per non alterare 'le cose' e chi può entrare in rapporto con esse a patto di violentarle. Saranno, se mai, due errori antitetici, ma non si è mai trasformato un vizio in una virtù con l'evocare il suo opposto. A questo punto appare in tutta la sua evidenza l'errore di fondo di Opera aperta, che è poi anche ìl suo merito principale - non è un bisticcio dialettico -: Eco ha assunto alcuni testi poetici, musicali, ecc. della cultura contemporanea e li ha rivestiti di un valore paradigmico, normativo. Ha scelto bene nonostante la sua ostentata epoché critica; ha scelto Joyce, Schonberg ... Soprattutto Joyce, al quale ha dedicato un lungo capitolo che è in realtà un saggio, più che degno dell'autosufficienza. Ed esaminando cultura e poesia nello scrittore irlandese, con una sintesi oltremodo suggestiva, è giunto a un giudizio di insieme, quello su cui è di fatto costruito Opera aperta: « dalle prime opere all'ultima vediamo disegnarsi nell'opera di Joyce una dialettica che non appartiene soltanto alla sua personale vicenda intellettuale ma a tutta l'evoluzione della nostra cultura» (p. 355). Va aggiunto subito, però, che da Joyce egli trae anche un'altra conclusione - e proprio dopo aver illuminato, come non si potrebbe cl1iedere meglio, persino lo sconcertante Finnegans Wake -: « Così nel momento stesso in cui stiamo per acclamarlo 'il poeta di una nuova fase dell'umana coscienza', Joyce volta allo scacco ogni nostro tentativo di riduzione e ci ci rivela per quello che parimenti è, o voleva essere e sapeva di essere: l'ultimo dei monaci medievali arroccato nel proprio silenzio a miniare parole illeggibili e fascinatorie non si sa se per sé o per gli uomini di domani» (p. 348). Visto che Eco fa di tutto per trasformare Joyce da quello che ovviamente è, uno dei maestri dell'arte del nostro secolo, nel Maestro tout court si potrebbe, con un po' di malizia magari, ma con una operazione logica, tutto sommato, corretta, considerarlo tale anche per lo ' scacco ' che ci dà: egli ci mostra a cosa approdino le ricercl1e meramente formali, e quale sia la loro natura nient'affatto rivoluzionaria, e generatrice, per giunta, dì una prole asfittica. Il Livre di Mallarmé è giudicato da Eco come un'augusta anticipazione del1'' opera aperta', anzi, della 'opera in movimento'. È irrispettoso dire che, a non volerlo considerare un personalissimo, prezioso zibaldone del suo autore, bensì il capostipite di una genealogia, bisogna poi ammettere in essa, con gli onori dovuti, Con1position n. 1 di Mare Saporta? L'avanguardia ridotta a gioco di società: è questo cl1e vuole Eco? Strettamente congiunta a questa indebita assunzione di schemi nient'affatto 'aperti', è la rivelatrice assenza di una concreta esemplific~zione negativa. Contro chi Eco scrive? Come antitesi militante della po,etica della 'opera ap,erta ', egli ipotizza un astratto paroliere, costretto dalla annosa tradizione a rimare «cuor» con « amor»; e se proprio deve fare il nome di un 'avversario' fa quello di un noto, contemporaneo, garrulo canterino per attardati proletari romantici (Del modo formare come impegno sulla 215 Bibiiotecaginobianeo
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