Giornale a più voci (e talvolta è avversario tutto il pensiero passato) significa appunto essere liberati dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista 'critico', l'unico fecondo nella ricerca scientifica». Superfluo aggiungere che la limitazione della libertà, per un uomo di cultura, non consiste necessariamente in un'aperta pressione esercitata dai gruppi politici dominanti; può anche coincidere con l'inserimento dell'intellettuale nella 1nacchina burocratica: trasformato in un funzionario subalterno, agli ordini di questo o quel gruppo economico, egli diventa una insignificante rotella del congegno produttivo, sprovvista di qualsiasi autonomia. All'intellettuale si offre u11'altra possibilità, come si è detto: che è quella di rivendicare il diritto di sottoporre ogni cosa alla critica della ragione, di servire la verità, di difendere l'uomo. Ma è una via che conduce, molto spesso, all'isolamento, all'esclusione dal consorzio sociale, alla povertà, talvolta alla persecuzione. Una scelta difficile, dunque; e che lo diventa ancora di più, se si tien conto del fatto che non se1npre il nemico da combattere è facilmente identificabile. L<? fu il nazifascismo, e, in quel caso, chi non accettò di avere la schiena, come disse Rosselli, « a scala mobile », poté lottare con coscienza sere11a: sia direttamente, sia indirettamente. Giacché v'è più di un modo di restare fedeli al proprio impegno: traducendo « Moby Dick », Cesare Pavese affern1ava a buon diritto che era, quello, « un mettersi al corrente con i tempi»; lo stesso faceva Leone Ginzburg con i suoi studi sulla letteratura russa. « Le pagine cli Vittorini ci trascinarono e ci entusiasmarono » scrive Laura Conti. « Erano indubbiamente un messaggio in chiave, ma fummo in molti, d'improvviso, ad accorgerci di possedere la chiave. Quelle pagine parlavano di 'altri doveri', e fummo in molti a capire quali erano gli 'altri doveri', e che erano nostri doveri». Vi sono, tuttavia, situazio11i ben più intricate: nelle quali menzogna e verità sono strettamente intrecciate, e il bene e il male non si possono agevolmente separare; situazioni in cui si rischia, mettendo l'accento sulla giustizia, di ferire a morte la libertà (o viceversa). È questo il caso più terribile; ed il più frequente, anche. Ne deriva il dilemma: è lecito, o no, battersi per una parziale verità (ossia per una parziale menzogna)? Le scelte individuali saran110 diverse a seconda dei casi, naturalmente, e ciascuno potrà rivendicare la validità della propria decisione. A nostro avviso, peraltro, esiste pur sempre una soluzione dignitosa, per l'intellettuale che sia lacerato dal dubbio. Poiché ogni azione deve essere sorretta da una precisa indicazione morale, fin tanto che questa manchi è preferibile rip.unciare all'azione. Non se1npre l'appartarsi significa disimpegno, fuga, cedimento. Citeremo ancora una volta Norberto Bobbio: dopo avere· ricordato certe parole di Spinoza, durante l'infuriare di una guerra ( « Lascio ... che ognuno viva a suo talento, e che chi vuol morire muoia in santa pace, purché a me sia dato di vivere per la verità » ), Bobbio commenta: « Spinoza sapeva esattamente quale sorta d'impegno fosse quello che spettava al filosofo. Non già ch'egli non fosse impegnato: era impegnato per la verità. 51 Bibliotecaginobianco
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