Rosellina Balbi della scienza tedesca ». Ed il professore Philipp 4enard,· che pure era scienziato autorevole, e professore all'Università di Heidelberg, giungeva a dire: « La scienza tedesca? Ma, si risponderà, la scienza è e rimane internazionale. Ebbene, ciò è falso: in realtà la scienza, come ogni altro prodotto umano, è legata alla razza e condizionata dal sangue ». Einstein, a seconda dei casi, era stimato dai nazisti un ciarlatano o l'arcidemonio; e la fisica « ebraica», « un fenomeno di degenerazione della fondamentale fisica tedesca». Anche nell'Unione Sovietica, peraltro, è stato solennemente affermato il principio della partiticità della scienza (non già in nome della razza, naturalmente, bensì nel nome della classe): principio che « esige uno stretto legame tra le ricerche scie11tifiche e i compiti della lotta di classe del proletariato ». È pur vero che affermazioni del genere risalgono al 1951, ma il recente revirement di Krusciov autorizza il sospetto che l'orientamento attuale del regime sovietico nei riguardi della cultura coincida, press'a poco, con quello anteriore al « disgelo ». Lo scienziato, nondimeno,, ha un vantaggio sull'intellettuale di formazione umanistica: per la natura stessa del suo lavoro, egli è portato a considerare l'opera di ricerca come un fine a sé stante, e non sempre si pone il problema della utilizzazione che della sua opera verrà fatta. L'esempio dei fisici tedeschi, che lavorarono prima ..per il nazismo,, po,i per gli Stati Uniti o per l'Unione Sovietica, è di per sé eloquente (ed è significativo che uno scienziato quale Oppenheimer senta la necessità di auspicare un'azione comune « di intellettuali, artisti, filosofi, docenti, scienziati, uomini politici, con lo sco1 po di rimodellare la sensibilità e .le istituzioni di questo mondo, il quale di un rimodellamento l1a bisogno, se noi tutti vogliamo so,pravvivere » ). Allo scrittore, comunque, non è offerto alcun alibi di comodo; egli deve affrontare un'alternativa precisa, scegliere fra due concrete possibilità. La prima, è quella di cedere al conformismo: ed è sempre una resa, anche quando la concezione che gli viene imposta coincida, in larga misura, con quella cui egli sarebbe liberamente pervenuto. Basti pensare a Yetvuscenko,, che è certamente un intellettuale espresso dal gruppo sociale dominante nel suo paese, e del quale nessuno mette in dubbio la sincerità ideologica; opp,ure a Lukàcs, il quale venne accusato di tradire la formula di Lenin per avere paragonato l'attività degli scrittori, nel partito comunista, all'attività del partigiano: u11'attività, cioè, che non può regolarsi con la disciplina meccanica propria degli eserciti regolari (in altri termini, per avere sostenuto, come osserva Istvan Mészaros, « l'indipendenza relativa dello scrittore»). Ora, a no,i sembra che la limitazione della libertà di un intellettuale finisca per togliere valore al suo messaggio: non soltanto perché legittima il sospetto sulla sincerità di ciò che egli dice, ma anche e sopratutto perché, nel dirlo,, egli no,n ha avuto la possibilità di indagare sulle co,ntraddizioni della realtà che lo circonda, di superare inevitabili dubbi, e di comporli, finalmente, in una libera e pacata sintesi. Fu Gramsci a scrivere che « co-mprendere e valutare realisticamente la pos1z1one e le ragioni dell'avversario 50 Bibliotecaginobianco
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