Giornale a più voci Norberto Bobbio, del quale abbiamo già citato alcune illuminanti osservazioni, ha ricordato il successivo evolversi del pensiero di Croce sul problema dei rapporti fra la politica e la cultura. Da principio, Croce affermò che il dovere dei filosofi è di disinteressarsi della çosa pubblka; in un secondo momento (che coincise con gli anni della prima guerra mondiale), egli riconobbe come il primo dovere di un intellettuale consista nel servire la verità (ciò che implica, necessariamente, un interesse politico); e finalmente, durante il ventennio fascista, si convinse che « la cultura ha una funzione politica sua propria, che è appunto la difesa della libertà», intesa come suprema coscienza morale. Non a caso Vittorio De Caprariis, nella sua recente commemorazione di Croce, concludeva con le parole scritte dal filosofo nel 1925: « A noi, come a tutti coloro che lottano per un ideale, spetta ripetere le parole di Lutero innanzi alla Dieta di Worms: 'Qui sto io. Non posso altrimenti. Dio mi assista. Così sia'. Noi non dobbiamo almanaccare sui risultati della lotta e sulle probabilità della prossima vittoria, ma mantenere il nostro posto e combattere». I filosofi del nostro tempo, osserva Gian Luigi Falabrino, « hanno avuto in sorte lo strano dovere di vivere e di pensare in un tempo nel quale la filosofia si è fatta anche con gli e$erciti, le polizie segrete, i campi di eliminazione, i processi delle ' grandi purghe '. Come possiamo meravigliarci se la cultura è in grande disordine, se mancano le certezze fondamentali, e se i miti irrazionali sembrano aver rinnovato il loro vigore?» Se, dunque, malgrado il patto stretto da certi ambienti intellettuali con le classi dominanti (patto che è stato giustamente definito come un autentico contratto di alienazione del proprio pensiero), un po' dappertutto si avverte fra gli uomini di cultura questo disagio, questa inquietudine, questa insofferenza, bisogna dare al fenomeno una valutazione positiva: esso sta a significare che l'esigenza della libertà è una parte insopprimibile della vocazione di un intellettuale, proprio come i calcoli e le misurazioni sono la premessa indispensabile per l'opera di un architetto, o, per quella di un medico, la conoscenza del corpo umano e delle sue reazioni. Qualcuno obietterà: nel caso dell'architetto, o del medico, si tratta di conoscenze tecniche, non già. di esigenze spirituali; e nessuno ha mai chiesto a un architetto di costruire un palazzo senza procedere ai necessari rilievi, nessuno ha obbligato un medico a eseguire, bendato, un'operazione chirurgica. Sul primo punto, c'è da osservare che, quando un'esigenza spirituale diventa determinante ai fini dello svolgimento di un certo lavoro, essa ne costituisce la premessa, sì, diciamolo pure, « tecnica»; quanto poi all'autonomia degli scienziati, va ricordato che neppure la scienza è sfuggita ai teorizzatori della partiticità culturale. L'esempio più clamoroso, naturalmente, è quello dei nazisti, che arrivarono addirittura a distinguere scienze di razza diversa: nella Germania nazista, ricorda Schirer, si insegnava la fisica tedesca, la chimica tedesca, la matematica tedesca; l'idea che la matematica potesse essere giudicata indipendente dalla razza, scriveva nel 1937 il « Deutsche Mathematik », portava « in sé il germe della distruzione 49 BibliotecaG.inoBianco
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