Nord e Sud - anno X - n. 41 - maggio 1963

Rosellina Balbi Il chierico irrequieto Il recente rilancio, nell'Unione Sovietica, di una « politica culturale»; il disagio nel quale da tempo si vanno dibattendo moltissimi scrittori ed artisti americani; il riaffiorare di antiche polemiche sul comportamento degli jntellettuali italiani nei confronti della dittatura fascista, ripropongono, ancora una volta, il problema dei rapporti fra politica e cultura; o, se si vuole, il problema della funzione che l'intellettuale è chiamato a svolgere nella società, e delle regole di condotta che gli derivano dal fatto stesso di essere un intellettuale. Si tratta, come ognuno sa, di un problema tutt'altro che nuovo, e che già s'impose all'attenzione di molti uomini di pensiero (Croce e Gramsci, tanto per far qualche nome: ma si potrebbe risalire nel tempo, sino ai filosofi greci). Per Gramsci, « ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli dànno omogeneità e consapevolezza della propria funzione, non solo nel campo economico, ma in quello sociale e politico». Non ci sembra, peraltro, che questa constatazione autorizzi la concezione strumentale della cultura che se ne fa discendere, ossia il dogma della sua « partiticità »: nel senso che, a nostro avviso, il legame tra l'intellettuale e la classe dominante risulta valido unicamente nella misura in cui l'intellettuale è libero di accettarlo. E, quando diciamo «libero», vogliamo dire, secondo l'espressione di Norberto Bobbio, « non impedito ». Gli impedimenti, scrive Bobbio, possono essere tanto materiali che psichici o morali: « i primi ost~colano o rendono difficile la circolazione e lo scambio delle idee, il contatto degli uomini di cultura; i secondi, ostacolano o rendono difficile o addirittura pericoloso il formarsi di un sicuro convincimento attraverso le falsificazioni di fatti o la fallacia dei ragionamenti, se non addirittura attraverso pressioni di vario genere sulle coscienze». È sintomatico, dunque, il disagio al quale accennavamo in principio; e che viene avvertito, in misura sempre crescente, non soltanto nei paesi a regime comunista (i quali respingono il principio della libertà individuale come un valore borghese, senza avvedersi che esso è bensì « un acquisto fatto dalla classe borghese, ma è un acquisto per tutti, anche se la classe borghese l'abbia realizzato di fatto per pochi »), ma anche nei paesi di demòcrazia liberale: costretti ad entrare irrevocabilmente nel trionfante ingranaggio della produzione e del consumo, gli intellettuali americani, ad esempio, si riducono molto spesso alla funzione di spettatori, magari disgustati, ma pur sempre spettatori; essi « non si ritengono responsabili di niente, perché non credono di poter fare qualcosa in quel mondo ». È dunque, la loro, una sorta di tetra rassegnazione, una resa, un'autocritica ante litteram, anche se la posizione di questi uomini di cultura è indubbiamente diversa da quella di Ehrenburg al tempo di Stalin, o di Piovene al tempo di Mussolini. Non offrono una volontaria· collaborazione al sistema che disapprovano, d'accordo: qualche volta, peraltro, il silenzio può di~entare complicità. 48 BibliotecaGino Bianco

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